Ampliare la zona di comfort
Da una riflessione di Richie Norton, la necessità di rivedere alcuni luoghi comuni sul lavoro, partendo da un'esperienza personale.
Qualche settimana fa, parlavo con una mia collega di zone di comfort. Quante volte abbiamo sentito dire che bisogna abbandonarle per crescere, fare nuove esperienze, raggiungere un traguardo? Io ci sono nato in una zona di scomfort, quindi credo davvero di non fare testo.
Mi sono laureato in Lettere moderne – con un ottimo 110 e lode, ci tengo a dirlo – con una serie di persone che mi davano pacche sulle spalle e dicevano: «Un altro disoccupato, auguri!». Due giorni dopo, mi ha chiamato l’ufficio leva per ricordarmi che non potevo più rinviare il militare e così mi sono messo a fare un dottorato in Letteratura contemporanea perché l’idea di entrare in Marina non è che mi interessasse tanto. Siccome avevo fretta di lavorare, ho deciso di fare un master in Marketing e Comunicazione, contemporaneamente.
Sono stato scelto da Indesit Company per lo stage e sono partito in direzione di Fabriano. Dove fosse Fabriano non ne avevo la minima idea. Però “il treno io l’ho preso, e ho fatto bene”. (Pablo, Francesco De Gregori)
Sono arrivato in un paese molto diverso dalla città dalla quale venivo, ho fatto un giro in centro e ho deciso subito che sarei dovuto scappare. Poi ha prevalso la mia voglia di emergere e, alla fine, ho pensato: «Vabbè, sono solo sei mesi». Una mia amica spagnola mi scriveva per chiedermi se mi mancasse il mare, io le rispondevo che dalla finestra della mia nuova camera si vedevano i monti e che quel cambio di panorama non era tanto male. «Al final te gustò el verde», mi scrisse una sera, due anni dopo.
Nel frattempo, avevo imparato a fare una rassegna stampa, tra sveglie alle sei e scritture di comunicati sulle nuove lavatrici. Ho capito cos’è la comunicazione interna, come si cura un house organ, sono stato persino il “cocco” del Presidente Vittorio Merloni (è una bella storia che racconto qui). Poi però è arrivato un nuovo capo che un giorno mi ha detto: «Tu quando ti togli davanti al cazzo?». Io pensavo scherzasse, che si riferisse al mio contratto, e gli ho risposto: «Il mio progetto scade tra dieci giorni. Resto?». «No», ha replicato lui. E così, sono uscito piangendo quella sera. A furia di raccontare quanto fosse bella quell’azienda, me n’ero innamorato io. Ci sono stato male, mi sono messo a cercare altro. Ho pensato di tornare, ma poi ho incontrato un’imprenditrice, Marina, che mi ha detto: «Vieni da me, insegni Italiano ai manager stranieri e, nel frattempo, ti metto in contatto con aziende che cercano uno come te. A proposito, che fai tu?». Non lo sapevo bene, ma era arrivata un’agenzia di Ancona che cercava un account, e io ho accettato. Nel frattempo mi ha scelto anche l’Ikea di Bari. Preso dal dubbio, sono sceso a casa, ho lavorato lì per tre giorni e poi sono fuggito davanti all’idea di avere il turno di domenica e non poter arbitrare.
Ho deciso di fare l’account, anche se non capivo di cosa si occupasse. Nei film americani era una figura fighissima che andava a feste, vernissage, pranzi con i clienti. Io dovevo telefonare a gente che non sapeva chi fosse Lamponemedia. Dopo qualche giorno di non ambientamento, ho deciso di cambiare strategia: visto che sapevo fare bene una cosa, scrivere, ho comunicato che avrei aperto un blog e una newsletter e che i potenziali clienti li avrei attratti così. Era il 2007, ha funzionato. Poi sono arrivati i social, il personal branding e qualche incontro particolarmente fortunato, come quello con Amaya e Graziano Giacani. Con quest’ultimo – qualche anno più tardi – abbiamo deciso di accettare una proposta molto allettante di una grande azienda che voleva aprire un’agenzia di comunicazione. Sono stati due anni intensi, pieni di soddisfazioni (e pure di soldi), ma noi volevamo autonomia e quell’autonomia non ci è stata data. Ce ne siamo andati. In realtà, me ne sono andato prima io.
La mia ultima azienda, prima di mettermi in proprio, organizzava eventi. Era fighissima, si facevano un sacco di fine settimana fuori, cene con Federico Buffa, con Seth Godin e con il meglio del marketing. Ma a mia madre avevano diagnosticato un tumore al pancreas, io avevo già perso mio padre (lo racconto in questo podcast per il Sole 24 ORE) e così non sono riuscito a lavorare come volevo e come avrei potuto. È stata un’esperienza negativa, me ne prendo la responsabilità. Mia madre è morta, io mi sono licenziato perché mi sentivo completamente svuotato. E forse perché, sotto sotto, era arrivato il momento di fare il libero professionista. Tornando a casa, ho chiamato la mia amica Carlotta Silvestrini e le ho detto: «Mi licenzio, mi aiuti tu a trovare un posizionamento e un brand?». Posso solo dire che siamo stati bravi. Lei, almeno, lo è stata.
Ho iniziato a fare ciò che mi veniva meglio: comunicare attraverso le storie. Nel giro di un anno, i miei collaboratori stretti sono diventati tre, poi almeno altri cinque e così Marco mi ha detto: «E se facessimo una società?». «Ma no, io non le so fare ‘ste cose». Ebbene, l’abbiamo fatta e l’abbiamo chiamata come il gruppo Facebook che avevamo: La Content Academy (poi è diventata anche una Factory).
Nel giro di un paio d’anni, sono uscito ripetutamente dalla zona di comfort. Dovevo fare lo storyteller, sono dovuto diventare imprenditore, esperto di risorse umane, psicologo, account, creativo, connettore. Ogni giorno mi sveglio e penso: «Cosa possiamo fare oggi per anticipare i tempi?».
E se quello che va bene oggi, domani non andasse più bene?
Ieri ho letto – grazie a Mirko Cafaro – un pezzo di un consulente americano, si chiama Richie Norton. Dice: “Non devi uscire dalla tua zona di comfort per raggiungere un obiettivo. Devi ampliarla, cosicché l’obiettivo ci stia comodamente”.
Pensare di abbandonare qualcosa di sé è un ostacolo che può essere visto anche come insormontabile; pensare di spingersi a un livello successivo, in una dimensione diversa, può produrre, al contrario, una spinta verso il nuovo percorso.
Non uscire dalla zona comfort, ampliala.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta.
Spero potrai passare un bel fine settimana. Se ti va, tra mezz’ora sono in aula (virtuale) a parlare di Influencer Marketing per La Content. Se vuoi partecipare, posso ospitarti. Mandami un’email a cristiano@lacontent.it o un messaggio WhatsApp al 3386287834.
In cambio ti chiedo di dare giusto un’occhiata alle nuove proposte de La Circle. Un anno a 49 euro, in offerta limitata, per poterti formare su crescita personale, crescita professionale, storytelling, content, social e molti altri temi. Gira l’info a chi ritieni opportuno, è il mio consiglio a chi chiede: «Cosa posso fare per formarmi continuamente?».
Ah, parliamo anche di zone di comfort e scomfort.
Tu, intanto, raccontami la tua. Se ti va.
bellissimo spaccato di vita… non conoscevo tanto retroscena, e sono felice che tu l'abbia condiviso, assieme alle tue considerazioni…
Grazie