Caro Babbo Natale
Racconta, prometti, mantieni, chiedi: quando abbiamo imparato a negoziare con Santa Claus, ma ancora non lo sapevamo.
“Caro Babbo Natale”,
iniziava più o meno così la letterina. Mia madre mi dava carta e penna, mi faceva sedere per bene e mi diceva di scrivere. Era un buon esercizio, innanzitutto perché bisognava spiegargli che mi ero comportato bene.
“Sai, credo di essere stato bravo. Ho preso ‘bravissimo’ al compito di italiano e non ho mai fatto urlare la mamma”. Io lo sapevo, sotto sotto, che quella lettera finiva nelle mani dei miei genitori, quindi stavo molto attento a non dire bugie. Anche perché, subito dopo, iniziava il lavoro di negoziazione: chiedevo al mediatore Babbo Natale di portarmi regali ragionevoli, in virtù di come mi ero comportato.
“Siccome non ho fatto nemmeno un giorno di assenza a scuola, ho pensato che potrei provare a chiederti il Sega Master System. Lo so, non mi hai mai regalato un computer, però ti prometto che lo userò per un paio di ore al giorno e solo dopo aver finito i compiti”.
Non so se ci hai mai fatto caso, ma forse è stato in quel momento, e con quelle letterine, che abbiamo iniziato a trattare con una persona più grande di noi, a negoziare. A chiedere qualcosa in cambio della promessa di essere bravi, educati e rispettosi. A misurare il peso delle nostre richieste per non dover sopportare una delusione.
«Babbo Natale ha detto che non ce la fa a portarti la bicicletta, quest’anno. Però se vieni promosso a pieni voti e impari a suonare il pianoforte, l’anno prossimo te la regala», mi disse un giorno mia madre.
In fondo, andava bene anche così, a un certo punto – una volta scoperto che erano i miei genitori a decidere per Santa Claus – il mio era diventato più un esercizio di storytelling (e di purpose) che altro. Scrivevo lettere per capire cosa mi fossi guadagnato con le mie azioni e quanto ancora potessi spingermi con le parole.
“Sai, Babbo Natale, l’altro giorno ho fatto arrabbiare papà. E io lo capirò se non ti darà questa letterina, perché magari ce l’ha ancora con me e non trova giusto che tu ti scomodi per portarmi i regali che non mi sono meritato. Però ecco, volevo dirti che io gli voglio un sacco bene e che non lo farò mai più”.
Ci ho ripensato dopo tanti anni, a quelle lettere. A quanto peso davo a ogni parola, a ogni concetto, a ogni promessa. A ogni perdono. Forse dovremmo imparare a farlo anche oggi, quando scriviamo email a clienti, partner e collaboratori e non ci chiediamo qual è il nostro obiettivo, quale dono vogliamo ottenere e cosa siamo disposti a dare o a promettere in cambio. La solennità con la quale scrivevamo il nostro impegno a Babbo Natale non l’abbiamo più ritrovata. Dovremmo riprovarci più spesso a scrivere a un uomo così importante, pur consapevoli della sua non esistenza, per prendere un impegno.
E così, io ci ho voluto riprovare:
Caro Babbo Natale,
l’ultima volta che ci siamo scritti ero bambino e avevo appena compiuto dieci anni. Ti chiesi un Sega Master System con la promessa di usarlo solo un paio d’ore dopo lo studio. La buona notizia è che io quella promessa l’ho mantenuta. E infatti mi sono diplomato, laureato e poi ho fatto tutta una serie di cose buone, tra cui mettere su un’azienda che si occupa di comunicazione: si chiama La Content. Faccio fatica a dirti che mi sono comportato bene con la stessa leggerezza di allora, credo sia un problema legato alla maturità. Ho fatto cose belle e cose meno belle. Non ho più scritto lettere ai miei, e di questo sono dispiaciuto. Non ho salutato mio padre. Ho provato a salutare mia madre e, anche se lei non mi poteva più ascoltare, sono sereno. Ho perdonato e mi sono perdonato. Faccio bene il mio mestiere, ci metto tutto me stesso, almeno. I miei non volevano che giocassi per più di un paio d’ore al computer perché così avrei potuto leggere, scrivere, guardare film, disegnare e stare in silenzio, semmai. Ecco, questo mi manca. Ho riempito troppo quel tempo. Non ho più un Sega Master System, ma ho uno smartphone – tu sai sicuramente cos’è, anche se l’ultima volta che ci siamo scritti non esisteva – che prende molte più ore rispetto alle due che mi erano concesse quand’ero piccolo. È sempre presente: si illumina, suona, è colorato, una specie di trappola del Bianconiglio. Ma io sento di avere ancora tanto da scrivere, da leggere, da dire. Amici da vedere e abbracciare, storie da raccontare. Tu dammi l’opportunità di farlo: di tornare a viaggiare, a incontrare, a conoscere gente nuova. A lavorare su progetti entusiasmanti, ad avere l’energia di scrivere e condividere, non per forza sui social. Credo si possa fare, no? Io, come sempre, ci metterò del mio, tanto lo sai che per me scrivere è promettere, altrimenti diventa un mero e vuoto esercizio di stile. E a me gli esercizi di stile stavano sulle palle da bambino, figurati adesso. Tuo Cristiano.
Ti va di scrivermi la tua lettera? Non ci pensare troppo. Siediti un attimo, respira. Raccontati, prometti, mantieni.
Non è forse questo il segreto di quello che tutti chiamano storytelling?
Ah, se non dovessimo vederci né sentirci prima di Natale, buone festività!
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta.
P.S. Questa è l’ultima (news)letter del 2021, a meno che io non decida di fare un’edizione speciale – non lo escludo. Mi prendo una piccola pausa natalizia, sarò impegnato con il tour del mio nuovo romanzo: si chiama 24 dicembre e uscirà tra qualche giorno.
Saranno giornate intense anche per via del lavoro. Con La Content ci stiamo riposizionando. Faremo più digital storytelling e meno progetti legati ai social. Anche la formazione cambierà: sarà più esperienza, esercizio, confronto. Introdurremo altre materie, come la narrazione sportiva e il personal branding. Stiamo stringendo partnership nuove, capendo chi siano i clienti ai quali possiamo portare valore e quali no. Sicuramente mi dedicherò a questo fino alle feste, se vuoi saperne di più, sai dove trovarmi! Ti lascio anche il mio numero: 3386287834. Non si fa spesso, ma sono contento se mi mandi un messaggio anche solo per dirmi che sei arrivata/o fin qui.
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