Cattiverie d'ordinanza
Dove si parla di invidia e non di riscatto, di cosa rappresenta il Napoli per Troisi e Sorrentino, dei colori di Milano, di Plagio e copyright e del nome della Franzoni su una tazza.
E ho fatto una svastica in centro a Bologna, ma era solo per litigare (Gaetano, Calcutta)
Sono stati giorni molto importanti per chi ama la narrazione sportiva. Se non ti piace il calcio, ti prego, continua a leggere. Perché sto parlando proprio a te. E non perché nutro la velleità di convincerti, non è assolutamente una mia priorità. Penso che si possa vivere benissimo senza calcio, senza il tifo, e che anzi, per certi versi, si viva molto meglio.
A Napoli c’è stato un morto
E se non iniziassi da qui sarei parziale. Un ragazzo di ventisei anni. La dinamica non è ancora chiara. Il Prefetto parla di “episodio slegato dai festeggiamenti”. Non consola. Nel Capodanno fuori calendario messo in scena dalla città, è successo uno di quei drammi che proprio il Capodanno ha portato spesso a Napoli. Una pistola in strada, un colpo, una vittima, una famiglia che piange. È completamente sbagliato legare questo episodio al calcio, è altrettanto sbagliato slegarlo totalmente e fare finta di nulla.
Ma perché mi interessa tanto lo scudetto del Napoli?
Potrei dire “perché ho tanti amici napoletani”, ma non è così. Ho anche tanti amici juventini, romanisti, milanisti. A me interessa ciò che c’è dietro, la letteratura, la narrativa. Antica o moderna che sia. Di narrazione sportiva ho parlato spesso, in tanti romanzi c’è il calcio, e molti dei miei scrittori preferiti lo utilizzano per identificare lo spazio, il tempo, la sospensione dell’incredulità. Eshkol Nevo (La simmetria dei desideri), Nick Hornby (Febbre a 90’, ma non solo, nella sua narrativa l’Arsenal è una costante), Jean-Paul Sartre, Eduardo Galeano, Pier Paolo Pasolini che diceva che è “l’ultima rappresentazione del nostro tempo”, fino ad arrivare a Enrico Brizzi, grande tifoso del Bologna che una sera, davanti a una birra – lo stavo intervistando per Rivista11 – mi disse che amava la curva “perché è un ambiente democratico, è il posto dove il tornitore e l’avvocato contano uguale, perché non si è giudicati dal punto di vista del censo, ma da quello della lealtà”.
Mi ha fatto sorridere vedere Paolo Sorrentino a bordo campo fare il raccattapalle a Napoli durante la partita contro la Fiorentina. Un ruolo che, di solito, viene affidato ai bambini e che invece, per una volta, viene svolto da un premio Oscar. Che sorride e si mette in posa, beato, come se non desiderasse altro nella vita.
È stata la mano de Dios
Inutile che vi spieghi quanto ha contato il calcio per Sorrentino, e quanto Diego Armando Maradona nello specifico. È molto più interessante cercare di capire quali sono le parole più utilizzate dai napoletani – non dai tifosi, dai napoletani in generale – per descrivere quello che sentivano. “Riscatto” è una parola sbagliata. Parla di riscatto chi Napoli non la vive, non la conosce, non la legge, non la studia. Chi non ha mai letto Maurizio De Giovanni o chi non ha mai visto un film di Massimo Troisi. È proprio a Troisi che si ispira gran parte della narrativa di questo scudetto: se quello del 1987 è stato sintetizzato con il titolo “Scusate il ritardo”, questo del 2023 è “Ricomincio da tre”. È proprio Massimo Troisi che spiega, in una conversazione indimenticabile con Lello Arena, perché non si ricomincia da zero.
Lo scudetto del Napoli non è un riscatto, ma il risultato di un progetto imprenditoriale che riporta il titolo a Sud dopo trentatré anni di scudetti che hanno fatto la spola tra Milano e Torino e che è stato ottenuto con i conti a posto. Ma più che la narrazione del riscatto – non sarebbe da napoletani essere così banali – mi ha colpito quella dell’invidia. Le parole più belle le ho lette da Vincenzo Salemme:
Vi prego, adesso non dite che lo scudetto è un’occasione di riscatto, non dite che come festeggiamo noi non sa festeggiare nessuno. Vi prego, non raccontate la nostra gioia come fosse una buffa commedia.
Vi prego, non statevene al di là del vetro a guardarci, divertiti dal nostro clamore. Vi prego, non siate felici della nostra felicità come si è felici quando il meno attrezzato prevale sul forte. Vi prego, non fatelo, non siate così ingenui!
Se volete un consiglio, vi prego, invidiateci.
Perché noi siamo quelli più forti. Perché noi siamo quelli che hanno avuto tanto, anzi troppo. Vi prego, lamentatevi perché siamo i favoriti, i viziati, i troppo ricchi. Di sole, di mare, troppo cuore, sapore, calore. Vi prego, non pensate che questo Napoli sia sazio, non pensate, con un errato senso di superiorità, che questa squadra allegra e possente abbia finalmente regalato la gioia a una città dolente. Vi prego, non fate questo errore perché noi siamo una città felice.
Martedì sono stato a Milano, invece
Per Chiamarsi Bomber sono andato a San Siro a fotografare, insieme ad Alessandro Lupelli, la passione di Milano per le sue due squadre. Il blu contro il rosso, il cielo e le stelle contro l’inferno e il diavolo. Le coppie con la sciarpa del Milan e dell’Inter, le mamme con i figli che indossano due maglie diverse. Milano ha una sua anima, ed è inclusiva. In tutto.
Quindi anche nel tifo. Al derby si va insieme. In metro ci si siede accanto, milanisti e interisti. Allo stadio si canta, si esulta, ci si prende in giro, ma poi si torna a casa assieme. A volte, nella stessa casa.
Giocare con lo storytelling
La settimana scorsa ti ho parlato del gioco OK Boomer!, oggi è la volta di Plagio. L’ho trovato splendido per chi fa il mio lavoro, e in generale quello del comunicatore: un partecipante legge una carta con una frase tratta da un libro e tutti gli altri devono completarla. Ognuno dovrà scrivere qual è l’originale, tenendo conto che il partecipante deputato a leggere scriverà proprio quella.
Un esempio:
La prima volta che incontrai Dean fu poco tempo dopo… (J. Kerouac, Sulla strada)
Ogni partecipante deve impegnarsi a continuare la frase creando la combinazione più credibile tenendo conto anche dello stile dell’autore (se lo conosce) e del livello di conoscenza degli altri partecipanti. Spoiler: dopo tre turni è molto probabile che gli altri partecipanti inizieranno a conoscere il tuo stile e dovrai cambiarlo.
Il gioco si presta bene anche a sessioni di brainstorming ed esercizi di scrittura, perché aiuta a lavorare bene con le parole: inserirle in un contesto credibile e verosimile.
Cattiverie d’ordinanza
Anche in questo caso, obbligatoria premessa. Io di Piattini Davanguardia sono cliente e ammiratore. Mi piace molto il loro stile, il loro modo di comunicare, ho spesso acquistato prodotti nel negozio di Bari e quindi faccio veramente fatica a prendere posizione sulla polemica scoppiata in questi giorni su diverse testate nazionali.
L’oggetto della discordia è questo:
Quella tazza l’avevo vista, come quelle di Rosa e Olindo e tante altre. Il sarcasmo può ferire, far incazzare, urtare la sensibilità di qualcuno. “Stiamo parlando di una mamma che ha ucciso il proprio figlio”, giusto per citare uno dei tanti commenti sul web. Riccardo Pirrone ha fatto una bella riflessione sull’opportunità del black humor – lui se ne intende – nonché sul copyright in merito all’utilizzo dei nomi e delle frasi a scopi commerciali che l’azienda (in grande crescita) dovrà iniziare seriamente a considerare. Ti riporto il post di risposta di Piattini Davanguardia.
A te il giudizio, io continuerò a comprare i miei regali da Piattini, ho ragioni molto più nobili per boicottare un business. Il che non vuol dire che farei una riflessione su un certo tipo di humor e magari ritirerei l’oggetto dal mercato. Fosse anche solo perché il pubblico “non in target” si è sentito offeso e sta facendo di tutto per fartelo capire. E pesare. E anche perché la morale che colgo da questa vicenda è che, a volte, può capitare che per due anni non dica niente nessuno – questa tazza è nel negozio dal 2021, almeno – e all’improvviso la merda (pardon) ti arrivi in faccia tutta assieme.
(Io comunque ho la tazza “E tu invece splendi”. Tra il black humor e Pasolini, preferisco il secondo)
La mamma non si tocca
Siccome stamattina ho deciso di far incazzare qualcuno, di qui la citazione di Calcutta, sappiate che a me questa campagna sa di Fake. Together, che dice vagamente che “la campagna è stata bloccata”, senza specificare da chi, Control che non smentisce, le influencer che ne parlano (a pagamento), il mockup discutibile, la notiziabilità ecc.
Vale tutto, ma fino a un certo punto. Mizio Ratti ha parlato dell’importanza dell’etica pubblicitaria e ne ha parlato nella sua newsletter. In ogni caso, buona festa della mamma, la campagna sarebbe stata bellissima se fosse uscita.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta, puoi trovare tutte le informazioni su di me su Linktree. Se la newsletter ti è piaciuta, puoi offrirmi un caffè.
La settimana prossima sarò a Bari per i Business Marketing Talks il 19 maggio – il titolo dello speech lo trovi qui sotto –, mentre è di oggi la notizia che oltre a essere speaker, sarò anche moderatore di una delle sale del Web Marketing Festival.
Il 19 maggio iniziamo anche Forme, il corso di storytelling de La Classe: se non sei già iscritto e hai voglia di venire a dare un’occhiata alla prima lezione, scrivimi a cristiano@lacontent.it o al 3386287834.
La prima “forma” di narrazione sarà il taccuino e, credimi, sarà un viaggio stupendo. Buon fine settimana!