C'è (un) tempo
Dove si parla di un pomeriggio in moto, di come gli Obama abbiano cambiato lo storytelling, di una generazione che odia il punto, di maglie da calcio iconiche e dell'importanza della pausa
Uomini vanno, chi per prode chi per danno, per lo mondo tuttavia (detto lupesco)
Ciao, spero che questa mail ti trovi bene o che, quantomeno, ti trovi. Di questi tempi, sarebbe già ottima cosa.
L’incremento, inesorabile, degli out of office mi persuade a mettere in pausa questa newsletter ad agosto. Per cui, ci salutiamo per qualche settimana. Dopo una stagione di viaggi resterò in Italia: tra Puglia, Calabria e Basilicata, per la precisione. Parteciperò ad alcuni festival, tra cui il Vivinpuglia l’8 agosto al MurMur di San Pietro in Bevagna, andrò a trovare molti amici, staccherò dalla routine più che dal lavoro perché avrò parecchie cose da scrivere. Con la consapevolezza che non è il lavoro a sfiancarci, ma i processi. E da quelli devo e dobbiamo necessariamente staccare.
Non è la scrittura a stancarmi. Non è la creatività intesa come pensiero, né l’ideazione di eventi e percorsi di formazione. Non lo sono gli incontri, gli speech, i libri, non lo è scrivere questa newsletter di sabato mattina da un treno dopo aver dormito pochissimo. E, infine, non lo sono le relazioni se si tratta di belle relazioni. Quelle che prevedono si possa parlare anche (o soprattutto) di un libro, di un film, di buone idee, persino di nulla, semmai. Tutto questo non stanca e non mi stanca.
Ieri Nicolò (Andreula) è venuto a prendermi a lavoro. Avevamo un impegno (un talk) la sera a Noci. Mi fa “andiamo a mare”. “Nic, devo lavorare. Vorrei chiudere delle cose”. “Anche io, portati il computer ti porto in un bel posto”. “Va bene - gli rispondo - facciamo che la mattina lavoriamo e dopo pranzo partiamo?”. E così da buoni easy rider, ci siamo avviati in moto verso la Valle d’Itria. Ho dovuto annullare una call, ma ne è valsa la pena. Abbiamo bisogno di persone che ci portano in bei posti e ci chiedono di staccare. È stato un pomeriggio bellissimo, in cui non è venuto fuori niente semplicemente perché non era quello l’obiettivo.
Ma sono sicuro che nei prossimi mesi ci ricorderemo di questa giornata e quando accadrà qualcosa, e accadrà, ne riconosceremo l’enorme valore. Perché come dice Ivano Fossati c’è un tempo'è un tempo per seminare e uno più lungo per aspettare
Io dico che c'era un tempo sognato che bisognava sognare. E, allora, che questa estate possa essere, anche per te, quel tempo sognato. Quello in cui non aspettarsi nulla: né la semina, né l’attesa. Né la fatica di dover generare qualcosa, né quella di sostenere il peso della aspettative.
Come scrisse il mio amico Fabio Fanelli, “si va in ferie dai processi più che dal lavoro”.
Esiste un modo semplice per capire se ti piace la tua vita, un test rapido e chiaro che ti dà la misura di quanto sei felice di quel che fai: basta che aspetti la domenica sera, e guardi come ti senti. Tutto qua, non serve altro. Perché il fine settimana puoi passarlo a riposare o a divertirti, ma il sabato passa e passa la domenica mattina, con la colazione tranquilla e magari un pranzo fuori. Poi il sole cala e gli fai una bella foto col telefono per fermarlo sullo schermo, ma il tempo non lo fermi, il tempo porta il buio e la domenica sera, e davanti a te si scoperchia il panorama del lunedì e di un’intera settimana uguale al solito. E da qui, da come ti senti davanti a questo panorama, capisci quanto ti piace la tua vita.
(Fabio Genovesi - Cadrò, sognando di volare)
Ieri sera, a Noci (Bari), abbiamo parlato di talenti e ritorni. Di utopie e progettualità. Del sogno del ritorno, di restanza e tornanza, in certi casi di “arrivanza”. Dell’opportunità di diventare cittadini temporanei anziché turisti. Anche per pochi giorni. Abbiamo parlato di Mare a sinistra e, ogni volta che lo racconta a qualcuno, mi sembra che l’utopia prenda sempre più forma, che si trasformi in azione plausibile e possibile. Abbamo parlato di obiettivi, più che di sogni. Non è questo, forse, quello che deve fare chi comunica?
Quando un prodotto o un’idea ha successo, spesso dimentichiamo il ruolo cruciale che il marketing e la comunicazione hanno avuto nella sua adozione. Steve Jobs non era un tecnologo, era un pubblicitario: tantissime idee, compresa l’intelligenza artificiale - ne abbiamo parlato qualche giorno fa a Match, evento organizzato da CNA a Senigallia - hanno dovuto affrontare un notevole scetticismo iniziale finché lo storytelling non ha contribuito a delinearla, quell’idea.
Ne ho parlato anche in un articolo, in inglese, per It.com
Check out this truly inspiring interview where Cristiano unveils the difference between storytelling and storydoing, and also between stories and content. As a communicator myself, much of it really resonated with my own professional and personal perspectives (Polina Druzhkova, Communications Lead it.com)
Si chiama How to Tell Your Brand Story in the Age of Distraction
Questo è ciò che faccio, e che vorrà fare sempre meglio. Ed è anche per questo che mi prendo questa piccola pausa. C’è un tempo sognato, che bisogna sognare.
Barack e Michelle Obamaa’s Call to endorse Kamala Harris
C’è spessissimo la famiglia Obama dietro alcune tra le più semplici (non banali, semplici quindi divine), ma al tempo stesso potentissime, strategie di comunicazione degli ultimi 20 anni. In questo video Barack e Michelle - uso solo i nomi perché di questo si tratta, una conversazione tra amici - chiamano Kamala e le dicono che il momento è arrivato e loro la sostengono. Ci sono le loro voci, il video diffuso su Youtube, Instagram e TikTok, il movimento di Harris che ovviamente non può fermarsi, e infatti cammina, perché è impegnata con la campagna politica, la confidenza della telefonata ma al tempo stesso la condivisione con il mondo. E noi sappiamo che è tutto vero, ma al tempo stesso tutto costruito, ma tutto enormemente verosimile.
Un po’ come 12 anni fa celebravamo questa foto
L’emozione di un istante, tutta la carica simbolica ed emotiva che sintetizza un percorso duro che si scioglie in un abbraccio liberatorio, per tutti.
Ed è significativo che questa immagine simbolo sia una costruzione comunicativa e non una fortunata occasione casuale ed estemporanea, come spiegò, all’epoca, Vincenzo Cosenza evidenziandone la natura di “falso storico”.
Quella immagine - scrisse il Professor Giovanni Boccia Artieri - è lì per essere un pezzo della nostra storia di cittadini connessi, è adatta al contesto e al mezzo. Più avanti, quando la rivedremo nella compattezza testo/immagine. Profetico.
(ps: grazie Vanessa per l’ispirazione)
Generazione senza punti
Mi ha colpito molto questo video su TikTok: ha generato più di 20.000 commenti e parla di un nuovo scontro generazionale. Pare che alla GenZ non piacciano i punti alla fine di un messaggio.
Ne ho scritto anche su Linkedin, Andrea Fontana ha riassunto la questione così:
Senti, per noi della Gen Z, il punto alla fine di un messaggio può sembrare, beh, un po' troppo definitivo. Siamo cresciuti con i social media, i messaggi istantanei e le chat che scorrono senza sosta. Quando comunichiamo, cerchiamo di mantenere un tono amichevole e continuo, quasi come se stessimo parlando faccia a faccia. Un messaggio senza punto alla fine ci dà la sensazione che la conversazione sia ancora aperta, che ci sia spazio per aggiungere altro, per continuare a parlare. Mettere un punto alla fine di una frase può sembrare come mettere un punto e basta: è come dire "ecco, ho finito di parlare", con un'aria di definitività che non sempre intendiamo. È un po' come chiudere una porta con forza anziché lasciarla socchiusa. Quando vediamo un punto, possiamo percepirlo come se chi ci sta scrivendo fosse arrabbiato, secco o distante. È strano, lo so, ma nella nostra testa funziona così. In definitiva, preferiamo lasciare le cose un po' più aperte, più flessibili, perché così possiamo continuare a comunicare senza interruzioni o malintesi.
Ecco, questa potrebbe essere la prospettiva da Gen Z.
La mia prospettiva invece da Generazione X è che la grammatica conta e se ci vuole il punto ci metto il punto.
Tu cosa ne pensi? Col punto o senza?
L’arte ben pagata delle maglie da calcio
Ha fatto molto discutere la scelta dell’Inter di presentare, nell’anno della stella, una maglia non tradizionale e che non prevede solo le classiche strisce verticali (ha fatto discutere anche la scelta dello sponsor, un’agenzia di scommesse mascherata dal .sport che lo rende sito di informazione, ma ci vorrebbe tempo a trattare anche questo argomento).
Il video hero mostra, in un parallelismo con le stelle che appaiono sulla maglia dell'Inter, altri tipi di stelle che prendono vita in varie forme grazie al contributo di diversi artigiani: scolpite, tatuate, create. La campagna esalta il legame del brand con Milano, una città che - al pari dell’Inter - crea, costruisce e dà forma alle idee e ai sogni. E di San Siro: immagino che il progetto sia stato approvato una volta che durante la presentazione, i creativi, hanno fatto vedere questa immagine.
Nel frattempo Marco Thuram, attaccante francese dell’Inter, si fa fotografare in vacanza con addosso una maglia di 20 anni fa (quella di Adriano) e il Padova (serie C) presenta la divisa di questa stagione facendola indossare ad Alexi Lalas, probabilmente uno dei più iconici calciatori stranieri mai passati, 30 anni fa ormai, dalla nostra penisola.
Nel 2023 il mercato del "football kit" (maglia + pantaloncini) è pari a 2,1 miliardi di euro. Nel 2025 è stata stimata una crescita fino a 2,33 miliardi, con CAGR (tasso annuo di crescita composto) in aumento. Il mercato della compravendita di maglie da calcio si inserisce nel mercato del second hand che vale circa 233 miliardi e destinato a sfondare il tetto dei 300 miliardi nel prossimi 10 anni. Se hai nel cassetto maglie di 30 anni fa, hai dei Rolex. Ecco perché ho deciso di investire su una startup che opera in questo mercato, Goallections (oltre perché le maglie da calcio sono una mia grandissima passione)
Era l’estate del 2011
E questa foto veniva scattata in un centro commerciale di Taranto da Giò Marinelli. Sandali Birkensotock ammucchiati, scontati del 30%, in vendita a 32 e 45 euro. A guardare la quantità di scatole, non sembra ci fosse una ressa per accaparrarsele. Ci ha scritto un bel post Nicola Di Francesco, Brand Strategy and Communications Advisor.
Oggi troviamo gli stessi modelli - scrive Francesco - tra i 75 e i 110 euro. Alcuni superano i 200 euro. Senza considerare le collezioni esclusive con Manolo Blahnik o Valentino.
A raccontarlo nell’estate di tredici anni fa, nessuno avrebbe creduto che quella ciabatta ortopedica da sfigati (cit.) sarebbe diventata un sandalo must have. Non ci avrebbe creduto neanche L Catterton, la società di private equity sostenuta da LVMH, che nel 2021 ha staccato un assegno da €4 miliardi per comprare una Birkenstock fresca di ricavi per €727 milioni. Nel 2022 il fatturato ha superato €1,2 miliardi, con un utile netto di €187 milioni. A ottobre 2023 è arrivata l’IPO da $8,6 miliardi.
Hanno contribuito alcuni fattori esogeni, come:
➡ La tendenza all’abbigliamento comodo e informale, diventata realtà fenomenica durante la pandemia.
➡ Un'inclinazione a rifiutare i tradizionali codici di bellezza a favore di modelli più autentici. Un trend già evidente dalla prima campagna Real Beauty di Dove-Unilever (2004).
➡ L'adorazione – spontanea – di stilisti e celebrità (dopo la sfilata di Céline-Phoebe Philo del 2012 c'è stato un boom di vendite).
➡ Una maggiore richiesta di prodotti naturali e sostenibili (Birkenstock usa da sempre materiali come il sughero).
➡ Cambiamento climatico. Le temperature sono più alte e durante l'anno fa caldo più a lungo.
Il resto del post, commenti compresi (se stai pensando all’endorsment del film Barbie sì, si parla anche quello) lo trovi qui.
Io sono Cristiano Carriero, storyteller, imprenditore e speaker, e questa è L’ho fatto a Posta, la mia nicchia di lentezza in un mondo che va (troppo) veloce. Prima di salutarci, alcuni memo!
Martedì 30 e mercoledì 31 terrò il workshop gratuito “Vedere una storia: canzoni per la scrittura”. I posti sono esauriti sia per il 30 che per il 31 ma se hai inviato un mail per la lista d’attesa sappi che sta per arrivare la terza data!
Questa è l’ultima settimana per acquistare il biglietto dello Storytelling Festival (Bari, 25 e 25 ottobre) in offerta. Il teatro può ospitare 450 persone, tra 50 siamo sold out. Ci saranno Riccardo Scandellari, Francesca Marchegiano, Gianluca Gotto, Naoise Dolan, Francesca Lagioia, Mizio Ratti, Laura Tanfani e tanti e tante altre.
Abbiamo lanciato un corso tutto al femminile per imprenditrici che lavorano con le parole. Si chiama Imprendautrici e si rivolge a chi sente l’urgenza di valorizzare le competenze comunicative, dalla strategia alla scrittura, per raccontarsi con consapevolezza attraverso i contenuti tradizionali e digitali, a prescindere dal settore e l’ambito lavorativo. Lo hanno disegnato Federica Trezza e Leandra Borsci e saranno loro a tenere le lezioni insieme a tanti e tante ospiti, tra cui il sottoscritto. Sei lezioni online + 1 laboratorio in presenza progettato per manager, freelance, per chi sta lanciando un progetto imprenditoriale e per chi vuole mettere a fuoco il proprio futuro.
Sta per arrivare la nuova Classe di Digital Marketing, Content e Storytelling. Dal prossimo autunno ti portiamo dall’aula (virtuale o reale) all’agenzia. Anzi, alle agenzie: una di queste è La Content. Informazioni, selezioni e pre-iscrizioni a cristiano@lacontent.it. Ti rispondo io. Non pensarci a settembre, pensaci subito!
Se la tua passione è la scrittura fiction (romanzi, sceneggiature, racconti) rilanciamo la nostra partnership con Lucy Sulla Cultura. Ricominciamo da 3 e quindi: Lessico famigliare con Alessandra Minervini, La gioia di scrivere (con Matteo B. Bianchi) e Il giro del mondo in 12 libri. L’anno scorso abbiamo scritto insieme a più di 100 persone.
Un piccolo endorsement sul finale per la newsletter di Giulio Albano, un economista a cui piace raccontare: storie di Economia e società.
Ora sì è tutto, ma prima di andare ricordati di mandarmi la solita cartolina del tuo weekend d’estate. Un messaggio su Whatsapp con una breve storia di 5-10 righe. La aspetto, ma senza fretta. C’è tempo.
Questa è la mia, come copy di accompagnamento ho scelto il ritornello di una canzone di Bresh, si chiama Torcida.
“Cosa mi dà questa città, ho messo i semi nei cantieri. Ho detto sì per stare qua, ma spendo tutto negli aerei” (Bresh)
Fa una buona estate e fammi sapere se ti mancherò.
Grazie per la citazione! Un saluto.