Cosa sto facendo davvero?
Dove si parla di migrazione verso spazi più significativi, di meaning economy e integrazione narrativa. E di quanto il senso sia più importante della della portata.
✍🏻 “The planner sees difficulties as a problem. The storyteller sees it as play.”
– David Pearl, in This Sentence
Ho scoperto questa quote grazie a Ludovica De Santis di Disal Consulting, l’ho letta sotto uno dei tanti post dedicati ad ABCD, A Bari Capitale Digitale. Non posso che iniziare questa puntata di L’ho fatto a Posta da qui, dalla fine di un evento, e da quello che ti lascia. Quando tutti e tutte scrivono, raccontano, condividono, vuol dire che sei riuscito a creare quel senso di community che aiuta le persone a sentirsi meno disconnesse. Un piccolo paradosso, nell’epoca dell’iperconnessione e dello scrolling infinito.
Quella in cui ci sentiamo sempre più soli, scettici, frammentati. Antonio Di Bacco, nel suo Perbacco, scrive:
I social non sono più piazze: sono diventati feed infiniti, pieni di pubblicità camuffate da post, e post camuffati da vite.
La relazione digitale è evaporata sotto il peso della performance.
Le decisioni di abbandonare il fact checking prese ultimamente dalle grandi multinazionali come Meta hanno ulteriormente abbassato i livelli di fiducia verso queste piattaforme.
Eppure, qualcosa si muove. Le persone stanno iniziando a migrare verso spazi più piccoli, più lenti, più significativi.
Gruppi su Discord, forum tematici, circoli locali, newsletter, eventi in presenza. Il digitale si sta riconfigurando attorno a ciò che è intimo, selettivo, autentico.
Non si cerca più viralità, ma senso. Non si misura la portata, ma la partecipazione.
A Bari Capitale Digitale è stato questo: partecipazione. Senso. Non solo voglia di apprendere, di formarsi o di aggiornarsi. Per quello basterebbe iscriversi ad un corso online. Piuttosto voglia di esserci o, se vogliamo utilizzare un termine molto in voga adesso…
Meaning economy
Ne ha parlato Andrea Fontana su Linkedin, qualche giorno fa:
C’è un silenzio che si insinua nei corridoi delle aziende. Non è il silenzio del burnout, né quello della paura. È il silenzio della 𝐝𝐨𝐦𝐚𝐧𝐝𝐚 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐫𝐢𝐨𝐫𝐞. “Cosa sto facendo davvero?”; “Perché lo sto facendo?”.
Negli ultimi anni abbiamo imparato tutto su performance, efficienza, KPI, scale-up, growth hacking. Abbiamo imparato a crescere, 𝐦𝐚 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐚 𝐜𝐚𝐩𝐢𝐫𝐞 𝐯𝐞𝐫𝐬𝐨 𝐝𝐨𝐯𝐞. E così, nel cuore della cultura aziendale, oggi riaffiora una sete di significato. Una nuova spiritualità, non religiosa, ma rituale. Intenzionale. Esistenziale. La mindfulness nei team non è solo una pratica. È una richiesta implicita di presenza (a proposito, il mio libro in uscita il 12 maggio si chiama proprio così, Presenza). Le pause silenziose nei workshop non sono solo tecniche. Sono aperture al respiro, alla verità, alla fragilità. Il business non è più solo luogo di produzione. Sta diventando, lentamente, spazio di trasformazione. 𝐍𝐨𝐧 𝐬𝐢 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚𝐧𝐨 𝐬𝐨𝐥𝐨 𝐫𝐢𝐬𝐮𝐥𝐭𝐚𝐭𝐢. 𝐒𝐢 𝐜𝐞𝐫𝐜𝐚𝐧𝐨 𝐫𝐢𝐭𝐢. 𝐑𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐢𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨. 𝐑𝐢𝐬𝐩𝐞𝐜𝐜𝐡𝐢𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨. Le aziende sono sempre più chiamate a essere spazi di senso.
Gli eventi, aggiungo io, anche.
Perché anche le aziende che partecipano ad un evento o stringono una partnership con una media company o con un creator, oggi, non cercano “vetrine”. Cercano nuove relazioni, nuove community, desiderano uscire dalle logiche algoritmiche per costruire nuovi legami. È questa la vera sfida.
Ed ecco che un evento si trasforma in un “laboratorio vivo di possibilità, un palco condiviso dove le storie si intrecciano alle strategie, i sogni ai dati, il futuro alle radici” (Valentina Marchei, citando il mio Mare a Sinistra).
Lo storytelling è ad un punto di svolta: vuoi per l’integrazione con l’IA, vuoi perché lunghezza e brevità non sono più un fattore. Nell’era del contenuto lampo, ci vuole pazienza ma soprattutto coraggio per costruire format che resistono nel tempo. Gli algoritmi ci dicono che trenta secondi possono avere un impatto maggiore di trent’anni di esperienza e che brand sul mercato da un secolo stanno cercando partnership con creator capaci di influenzare i trend con un video su TikTok.
Fernet Branca per Dolly Noire
Prendete il caso di Fernet Branca che crea una capsule collection che ha “il sapore del passato, il linguaggio del presente e l’ambizione di durare nel tempo. Un’operazione di branding che non si limita al prodotto, ma si fa storytelling visivo e identitario, anche con l’aiuto di Sick Luke”. Scegliendo anche attentamente dove comunicare, in questo caso su Collateral, un magazine dedicato alla cultura pop.
Questo è fare storytelling oggi: saper connettere storie e opportunità, selezionare community disposte ad ascoltare, saper scegliere i media in un contesto molto più ampio di quello che eravamo abituati a considerare fino a pochi anni fa. Creare, costantemente, credibilità.
Ma la vera mascotte della collaborazione è lui, il coccodrillo. Simbolo storico dell’amaro, oggi torna in versione remixata da Dolly Noire: indossa una tee, un cappellino street e stringe fiero una bottiglia di Fernet. Un’icona pubblicitaria anni ’20 che si trasforma in personaggio da collezione, a metà tra ironia e orgoglio.
Il risultato è una collezione che non solo si indossa, ma si racconta. Che trasporta il vissuto di una città, Milano, e lo traduce in estetica. Un modo, per Fernet-Branca, di riaffermare il proprio legame con la creatività (basti pensare al restauro della Torre Branca o alla Collezione Branca), e per Dolly Noire, di esplorare nuove narrative restando fedele al proprio DNA.
Il mio amico Matteo Pogliani parla di integrazione narrativa.
Lo fa partendo dalla nuova stagione di Mare Fuori: Lavazza rappresenta un esempio efficace di brand integration ben riuscita. Un altro trend da tenere d’occhio quando ci approcciamo a progetti di storytelling e content creation. In Mare Fuori il caffè non è semplicemente mostrato, ma diventa parte integrante della trama: all'interno del carcere, - scrive Matteo - alcune attività di recupero ruotano proprio attorno al mondo del caffè, veicolando una metafora positiva e coerente con i valori del brand.
A differenza di un semplice product placement – che si limita a mostrare il logo o il prodotto – Lavazza riesce a inserirsi nella narrazione in modo naturale, credibile e valoriale, senza (troppe) forzature. Il marchio non è troppo invasivo, la cultura del caffè, elemento chiave dell’identità Lavazza e parte della nostra quotidianità, emerge con forza. Questo approccio dimostra come un brand, se ben integrato nella storia, possa diventare parte del messaggio stesso, rafforzando la connessione emotiva con il pubblico, e andando oltre la visibilità: entra nel racconto, lo arricchisce e si lega al senso profondo della scena.
Perché la Brand Integration Funziona
Genera fiducia: quando è coerente, l’integrazione diventa un’estensione naturale della narrazione, valorizzando il brand e generando affinità con il pubblico. Questo crea empatia e fiducia.
Crea memorabilità e narrability: la narrazione lascia un impatto emotivo più forte del semplice posizionamento e, spesso, attiva in modo unico anche le PR, massimizzando ancora di più la visibilità del progetto.
Favorisce l’engagement: il pubblico percepisce l’autenticità e quindi è più “ingaggiato”: partecipa, commenta, condivide.
Misura risultati concreti: non è sempre facile misurare alcune di queste attivazioni, ma abbiamo comunque, oggi, la possibilità di non lavorare al buio. I KPI variano molto da dove stiamo realizzando l’integration e dobbiamo quindi settare, a monte, il giusto percorso di misurazione.
Il futuro del branded content non è più "mostrare un prodotto", ma nel dargli un ruolo nella storia, anzi, nelle storie d’interesse per i nostri utenti. La brand integration, se fatta con intelligenza e sensibilità creativa, non interrompe il contenuto: ne diventa infatti parte. E quando il brand è parte della storia, diventa parte anche della vita del pubblico.
Servono nuove competenze, e un dialogo costante tra storyteller, PR, data analyst e creator. Le storie sono ovunque, sono il mindset e il punto di partenza. Anche quando si investe su una startup per cambiare il mercato delle capsule e raccontare una nuova storia. Sempre Lavazza, acquisendo la startup italiana Caffemotive, ha dato il via al processo di ricerca e sperimentazione che ha permesso di presentare, durante la Milano Desing Week 2025, Tablì, un sistema di tabs, ovvero delle “pastiglie” di caffè che viene pressato e utilizzato in una macchina apposita.
Sostanzialmente si tratta di capsule senza involucro. Una rivoluzione, più che un’invenzione, ora bisognerà capire come reagirà il pubblico: il periodo è difficile, il potere d’acquisto è ai minimi termini e la tecnologia non permette alle Tablì di essere compatibili con nessun sistema a capsule precedente. Resta da vedere quanto il consumatore finale sarà disposto a spendere per salvare il pianeta e quanto resterà fedele alla sua più recente abitudine.
Io sono Cristiano Carriero, storyteller e speaker, e questa è L’ho Fatto a Posta, la mia nicchia di lentezza in un mondo che va troppo veloce. Prima di andare, un regalino per te:
Le 5 newsletter sullo storytelling che hanno cambiato il modo di raccontare (e lavorare)
1. Total Annarchy – Ann Handley
Perché seguirla: Ann non scrive per un pubblico. Scrive come se fossimo nel suo soggiorno, davanti a una tazza di caffè. Ti parla di email, di tono di voce, di come vendere meglio con parole vere.
Nella newsletter "How to write a better About Us page", Ann smonta il linguaggio aziendalese pezzo per pezzo e mostra esempi reali di pagine "Chi siamo" che funzionano perché raccontano una storia. Insegna a scrivere un "About" che non sia autoreferenziale, ma orientato al lettore: chi sei, perché fai quello che fai, e cosa rende la tua storia unica.
“Be specific. Nobody remembers a generic hero.”
2. The Tilt – Joe Pulizzi
Perché seguirla: Pulizzi ha inventato il content marketing prima che fosse cool, oltre a scrivere per me l’introduzione del libro Content marketing (pat pat sulla spalla). Oggi aiuta i creator a costruire business fondati sul racconto. Concretezza, casi studio, dati, ispirazione.
Link
Analizza newsletter di successo e ti spiega come monetizzano, come tengono alta l’attenzione, come costruiscono community narrative.
“You don't need millions of readers. You need a thousand who care deeply.”
3. Austin Kleon’s Weekly Newsletter
Perché seguirla: Quasi 300.000 iscritti, l’autore di Ruba come un artista e Semina come un artista è uno dei miei punti di riferimento. Ogni settimana link, libri e pensieri che ispirano chi racconta con parole e immagini.
Austin Kleon mi ha insegnato a condividere progetti creando una community, consapevole del fatto che le grandi storie sanno essere coinvolgenti e riescono ad arrivare lontano solo se appartengono a chi ti legge (e non solo a chi scrive).
Ecco il link!
4. The Marginalian – Maria Popova
Perché seguirla: Ogni post è una mini-opera d’arte. Maria collega Seneca a illustratori del ‘900 e riflette su tempo, memoria, umanità.
Una delle sue newsletter parte da un appunto di Virginia Woolf e finisce col raccontare come dare forma al silenzio.
In un articolo intitolato “Virginia Woolf on the Relationship Between Loneliness and Creativity”, Popova analizza come Woolf percepisse la solitudine non come un'assenza, ma come una presenza intensa e fertile.
Puoi approfondire qui
5. One Story to Start – David Perell
“Non iniziare con un’introduzione. Inizia col conflitto.”
Perché seguirla: Ti insegna a raccontare per il web. Ogni newsletter parte da una storia vera e arriva a un consiglio pratico.
Un passaggio molto interessante dei contenuti di Perell è quello sulla dopamina: I social ci spingono alla gratificazione istantanea. Uno storyteller, invece, deve puntare su valore duraturo, non su like passeggeri.
Scrivere è solo l’atto creativo. È finire qualcosa, pubblicarlo, e sapere che hai lasciato un’impronta.
Spero di averlo fatto, con te, in questa puntata, ci vediamo alla prossima!
Prima di andare:
🧠 La Content ha lanciato un nuovo corso di AI per il marketing e la creatività digitale con Fulvio Julita.
6 incontri online pensato per freelance del mondo marketing, content creator e responsabili comunicazione di PMI che vogliono integrare strumenti di AI generativa nei loro flussi creativi.
Il focus principale sarà su scrittura e storytelling d’impresa, con moduli dedicati anche alla creazione di immagini, video, suoni e contenuti multimediali.
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Prossimamente ci vediamo ad Ancona, al Festival Scollegamenti (24 maggio), a Ravenna per i Flamingo Talks (3 giungo) e a Bologna per il WMF (4 giugno).
A ottobre (24 e 25), la community de La Content, si ritrova a Bari per Storytelling Festival, trovi i biglietti qui.
Buon fine settimana a te, mandami una cartolina virtuale al 3386287834!
Grazie per la citazione Cristiano e per aver integrato in questo tuo numero altri preziosi elementi.
Alcune delle newsletter che hai citato non le conosco, approfondisco. Promettono bene.