Cose piuttosto rivoluzionarie
Dove si parla di quanto sia brutta la parola "fratellastro" e di quanto sia bello aspettare l'occasione giusta per fare pace.
Che brutta parola “fratellastro”.
Quando ero piccolo, mia madre ribadiva spesso che i due figli di mio padre erano, in realtà, due fratellastri per me. Sono cresciuto con questa parola nella testa. Chi l’ha inventata deve aver avuto qualche turba da bambino. Tipo Cenerentola – per intenderci – costretta a fare servizi e osteggiata da tutta la famiglia, matrigna compresa. Anni a pensare di cambiare i termini, arrivando addirittura a usare genitore 1 e genitore 2 in luogo di madre e padre, e nessuno ha mai pensato di alleggerire la parola “fratellastro” o “sorellastra”.
Io ci ho scritto un romanzo, che in realtà parla di tante altre cose. E giovedì scorso, durante una presentazione a Locorotondo, un meraviglioso paese in provincia di Bari, le ho sciorinate tutte.
Ho provato a fare un piccolo elenco
Sono e siamo riusciti a parlare in maniera profonda di amicizia, di nostalgia, di ritorni, di vigilie celebrate e di promesse tradite, di Bari, di lettere, di sacchi di juta, di poliamore e di ceralacca bollente, di Alice (o Elis), di Amaranta – quella di Marquez e quella di Pieraccioni –, di figli, di viaggi (e miraggi), di angoli del presente e di curve della memoria, di stagioni, di Bartebly lo scrivano (e del suo «I would prefer not»), di cantanti da crociera, di padri che non sanno piangere e di figli che non sanno pronunciare la parola “papà”. E poi abbiamo continuato con discorsi su fratelli e sorelle, sui fratellastri e su chi ha inventato questo maledetto termine, sui ministeri della famiglia fino ad arrivare alla tibia di João Paulo, l’attaccante più brasiliano che il Bari abbia mai avuto.
Quante storie ci possono essere in un romanzo. A volte me le dimentico, quando ne parlo. Ma nella settimana del Salone del Libro di Torino, mi sembrava giusto ricordare che straordinaria forma di narrazione sia il romanzo. Anche per chi, come me, per campare si occupa di altro. Comunicare, però, vuol dire mettere in comune (qualcosa con qualcuno) e con questa storia penso di esserci riuscito. 24/12 non è un libro su Bari. E nemmeno sulla vigilia di Natale. È un libro che parla di quante sfumature può donarci la vita. E di quanto è importante sapersela gustare, secondo dopo secondo.
A proposito di testi, nelle librerie si parla sempre di più di Smart Thinking
Si tratta di un tema che include libri di categorie trasversali, come self-help, scienza, psicologia, business, tecnologia, memoir, con un taglio rivolto al futuro e all’innovazione. Luca Conti ha scoperto che questo modo di classificare le novità di alcuni generi non è, in realtà, nuovo. Il Financial Times ne parlava in un articolo nel 2014 e, sempre nello stesso anno, qualcuno faceva delle considerazioni in merito a questi scaffali su Reddit.
Tra l’altro, c’è un sito/blog che segnala libri, che si chiama – caso vuole – Smart Thinking Books. Al di là del termine “smart”, è a mio avviso interessante come la libreria sia stata capace di andare oltre i generi e raggruppare libri con un obiettivo comune: far pensare in modo più aperto e rivolto al futuro. È un segnale, forse, del fatto che il cambiamento passa dalla contaminazione di tante tematiche diverse.
Alessandro Baricco mi ha spedito un libro sui nomi dei fiori. Tu li conosci i nomi dei fiori? Sai che sono oltre 10.000 solo per noi italiani? Eppure, ne conosciamo solo una decina – a voler essere generosi. Eppure, continuiamo a usare la parola fratellastro.
Anche di questo parleremo, tra una settimana, a La Content Fest. Impareremo a dare i nomi giusti alle cose e, soprattutto, a pensare in modo più aperto e rivolto al futuro.
Ho fatto una cosa piuttosto rivoluzionaria
Una di quelle cose che non si fanno mai, per paura o per pudore. A volte per orgoglio. Quasi dieci anni fa, ho lasciato l’agenzia di comunicazione dove sono cresciuto. Quella, per intenderci, in cui ho mosso i miei primi passi e sono diventato un pezzo del professionista – buono o cattivo, decidi tu – che sono ora. Da Lampone Media ho avuto tante possibilità: imparare a fare l’account – anche se allora non sapevo minimamente cosa facesse un account –, iniziare a fare il copywriter leggendo i manuali di Luisa Carrada, scoprire l’universo dei social media. Da Lampone Media ho conosciuto Francesca, che mi ha insegnato a essere un commerciale oltre che un creativo, ho portato Graziano Giacani che oggi è l’ideatore del Brand Festival, ho lavorato insieme ad Amaya Rodrigo, per me una delle migliori art director mai conosciute. L’ho convinta persino a restare ad Ancona – non chiedermi come – quando stava per andarsene a Londra: ci ho lavorato insieme per tre anni, poi sono andato via io.
Non è stato facile, Francesca non l’ha presa bene. Non ci siamo parlati per alcuni anni, lei si è sentita tradita, io non ho avuto la forza di spiegarle che per me era arrivato il tempo di nuove avventure. L’ho sempre presa come una cosa positiva, però: in qualche modo, voleva dire che Francesca a me ci teneva tanto e, prima o poi, sarebbe arrivata l’occasione per tornare a fare qualcosa insieme. Quando abbiamo pensato a La Content Fest, avevamo bisogno di qualcosa di diverso. Di un logo che parlasse di workation: l’unione delle parole work + vacation (lavoro + vacanza). Ho alzato il telefono e ho espresso un desiderio a Francesca:
«Mi piacerebbe lo faceste voi, la trovo una cosa straordinariamente romantica. Se lo potesse fare Amaya, poi…».
«Certo, stavo pensando proprio a lei».
Ed eccola qui, Amaya, a disegnare il logo della Fest. Oh, noi qualche posto ce l’abbiamo ancora. Però fai presto, perché manca una settimana. Troverai più di 15 relatori, oltre 100 partecipanti, un luogo meraviglioso. E tante belle opportunità.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta. Sabato prossimo sarò impegnato con l’evento, quindi potrei non farcela a scriverti. Ma vediamo, magari il tempo lo trovo lo stesso.
Ah, domenica è il mio compleanno. Non voglio regali, ma se proprio vuoi farmene uno, mi basta un messaggio su WhatsApp (3386287834) in cui mi dici che cosa posso migliorare di questa newsletter, che cosa ti piace e, soprattutto, se c’è qualcosa che posso fare per te.
Buon fine settimana!