Cover (Serata di)
Dove non si parla di Sanremo, ma di cinque canzoni che sono state un turning point per la narrazione (cantata) del nostro Paese.
Questa puntata di L’ho fatto a Posta esce alla vigilia della serata cover di Sanremo, ma non parla di questo Sanremo. Hanno parlato già in tanti, forse in troppi, dell’attualità, quindi mi piace che questa puntata sia una raccolta di storie che vengono dal passato. E che magari non sono mai state raccontate così.
Le cover che vorrei vedere io al Festival. Dei turning point di una manifestazione che piaccia o no questo Paese lo spiega benissimo e che, per un motivo o per un altro, non sono ancora state cantate.
Contiene molti link, aneddoti salva serata, collegamenti che ChatGPT non riuscirebbe a fare nemmeno se torturato dal sottoscritto per nove ore di fila.
Spunta la luna dal monte, Pierangelo Bertoli e i Tazenda (1991)
L’applauso più lungo e sentito del Festival di Sanremo, ad oggi, è stato tributato nel 1991 ai Tazenda e a Pierangelo Bertoli. Il gruppo sardo guidato da Andrea Parodi, insieme al cantautore romagnolo, portarono sul palco dell'Ariston “Spunta la luna dal monte”. La canzone originale è scritta in sardo, si chiama “Disamparados”. Il significato è: rifiutati, emarginati, abbandonati. Sono le persone che ha cantato in molti suoi brani un altro grande cantautore: Fabrizio De Andrè.
Un genovese che ha amato così tanto la Sardegna da impararne - e cantarne, appunto - la lingua. Una lingua presa in giro, osteggiata, controversa. Tanto che le prime reazioni della critica verso il pezzo di Bertoli furono “È il Festival della canzone italiana… cosa c’entra il sardo?” C’è un altro antefatto in questa storia: quella di un altro “sardo nato altrove”. Gigi Riva, uomo di lago, lombardo di Leggiuno, che viene mandato a giocare a Cagliari contro la sua volontà. Vincerà uno scudetto, vivrà e morirà a Cagliari, si innamorerà di quei disamparados che ogni fine settimana va a trovare per bere vino e giocare a carte. Sarà ispirazione, anche lui, di questo testo. Pierangelo Bertoli riceve in dono un affresco dei Tazenda - un paesaggio in cui la luna sorge da dietro alle montagne e dei bambini abbandonati che giocano “tra volti di pietra, tra strade di fango” - e ne scrive il testo in italiano.
“All’inizio sembrava una sorta di Frankestein mal riuscito, ma dopo l’applauso di Sanremo capimmo che Spunta la luna dal monte era già una evergreen” dirà il chitarrista dei Tazenda, Gino Marielli. La canzone sdogana l’uso del dialetto nella canzone sanremese, anche se si fa fatica a non definire il sardo una lingua. Dopo verranno i Pitura Freska con “Papa Nero” in veneziano, tutto il filone napoletano che va Nino D’Angelo con “Senza giacca e cravatta” a Geolier in gara quest’anno, Davide Van De Sfroos con Yanez in dialetto comasco. Tutte canzoni che hanno, in un modo o nell’altro fatto la storia di Sanremo. Ma nessuno ha raggiunto le vette di Spunta la luna del monte.
Beni intonende unu dillu.
Signor Tenente, Giorgio Faletti (1994)
Esattamente 30 anni fa saliva sul palco di Sanremo un comico. Era già stato al Festival ma nei panni di Vito Catozzo, un vigilante sprezzante del pericolo, dalla virilità discutibile, sempre in lotta con il mondo che lo prende a schiaffi. Ma questa volta, Giorgio Faletti, non ha nessuna intenzione di prestarsi a quello che lui stesso definisce "un umorismo di barzellette".
Attacca con un incipit parlato che fa presagire al peggio. Perché è stonato, impossibile da cantare, difficile persino da recitare. E poi quel titolo "Minchia, Signor Tenente", che ci spiazza. Perché parola dopo parola ci accorgiamo che non solo Giorgio Faletti non ha nessuna intenzione di farci ridere, ma vuole darci dei pugni allo stomaco con sentenze come "Minchia Signor tenente, lo so che parlo col comandante" o "E siamo stanchi di sopportare quel che succede in questo paese, dove ci tocca farci ammazzare per poco più d'un milione al mese". Faletti, un comico, parla di mafia. E non degli eroi, ma dei dimenticati: la scorta, i poliziotti, gli appuntati.
La sera della finale si presenta con la barba non rasata, con la faccia stanca, la voce della paura - "Che poi se c'è una chiamata urgente se prende su e ci si va lo stesso" -, il coraggio di chi non vuole più essere Vito Catozzo. Arriva seconda, ma guadagna un posto nella hall of fame delle rivoluzioni sanremesi.
Minchia, Giorgio Faletti.
Finalmente tu, Fiorello (1995)
Per raccontare “Finalmente tu” bisogna spiegare chi era Fiorello nel 1995. Grazie al successo del programma Karaoke aveva conquistato una popolarità clamorosa, tanto da spingere Max Pezzali, non un cantante qualsiasi, a presentarsi al Festival dello stesso anno con una canzone nettamente inferiore a quella che cederà al suo amico Rosario.
“Senza averti qui” è un brano privo di sussulti, spento, sembra addirittura dedicato a Mauro Repetto e alla sua assenza. “Senza averti qui, non è che ci si senta liberi” dice Max. A Rosario Fiorello, con il quale ha già duettato in “Come Mai” vincendo il Festival Italiano - una alternativa made in Fininvest, condotta da Mike Bongiorno - lascia “Finalmente tu”. È una canzone, una della ultime scritte con Repetto, perfetta per Sanremo: orecchiabile, romantica, con frasi memorabili come “voglio guardare addormentarsi gli occhi tuoi”. L'obiettivo è uno solo: vincere.
Fiorello è Dio, ma non è un cantante e probabilmente soffre l’enorme pressione mediatica, acuita anche dalla presenza della co-conduttrice Anna Falchi, sua fidanzata dell’epoca. Quest’ultima si esibisce portando sul palco dell’Ariston un dimenticabile “Ca*zomerda” che in finlandese, sua lingua d’origine, vuole dire "Guarda il mare".
Poco prima della serata finale, con Fiorello strafavorito, i rumors parlano di un pesante litigio, eufemismo, tra i due. Fiorello appare poco concentrato, stona sul più bello e scivola al quinto posto, lasciando il trono della vincitrice a Giorgia (Come saprei). Qualche anno dopo, Carlo Verdone girerà con Beppe Fiorello un film che non è passato alla storia. Si chiama “C’era un cinese in coma” e la trama sembra ispirata a ciò che accadde in quel periodo al fratello di Beppe: Rosario.
Che non è più tornato a Sanremo in gara, ma oggi è una delle colonne della storia del Festival insieme al suo amico Amadeus.
Finalmente, loro.
Sulla porta, Federico Salvatore (1996)
È il 1996 quando Federico Salvatore porta al Festival una canzone molto controversa: “Sulla porta”. Premessa. L’artista, in quegli anni ospite fisso del Maurizio Costanzo Show, aveva inventato due personaggi: Federico e Salvatore. Il primo borghese, della Napoli bene, che ripudia il folklore partenopeo. Il secondo l’esatto opposto. Nei suoi testi, solo apparentemente comici, canta le contraddizioni di una città e di una cultura, ammiccando alle profonde divisioni tra nord e sud Italia. Su tutte, “Azz”: un titolo che ha condizionato molto la carriera dell’artista, ricordato principalmente per quelle tre lettere. A Sanremo però Federico Salvatore dismette, proprio come Faletti due anni prima (con Signor tenente), i panni di comico. Siamo davanti ad un turning point del Festival perché è il primo, in un epoca non proprio LGBTQ+ friendly, a sollevare il tema del pregiudizio e dei tabù nei confronti dell’omosessualità.
Ci avevano provato anche Grazia Di Michele e Rossana Casale nel 1993, ma “Gli amori diversi” è una canzone meno dirompente, seppur bellissima. Si è parlato anche di Uomini soli dei Pooh, ma questo verso fa capire che la canzone non è esclusiva “Per donne che li han rivoltati e persi o solo perché sono dei diversi”. Sulla Porta racconta la storia di un ragazzo che dice addio a sua madre, rivelandole di avere intenzione di andare a vivere con un uomo. Affrontando il pregiudizio e l’incomprensione della donna, esprime l’amore - “quando il mio desiderio era di piacerti e allora col rossetto e con il tuo ventaglio in bagno mi truccavo per assomigliarti” - ma anche e soprattutto il peso di quel rapporto tossico: “Sulla porta sulla porta quante volte mi hai fermato sulla porta con quei falsi crepacuore che sparivano all'arrivo del dottore”. Il brano è scritto da Giancarlo Bigazzi; l'armonia prende spunto da un tema che lo stesso Bigazzi scrisse pochi anni prima per le musiche di Mediterraneo, il film premio Oscar di Salvatores. Un tema lento che identifica il pope greco. L’autore, anzi gli autori (perché con Bigazzi ci sono Beppe Dati e Marco Falagiani) non erano nuovi a temi caldi: basti pensare a "Perchè lo fai" scritta con Masini (che parla di tossicodipendenza) e “Gli uomini non cambiano" scritta per Mia Martini, uno dei primi brani ad affrontare della violenza degli uomini sulle donne.
La notizia che all’Ariston ci sarebbe stata una canzone sull’omosessualità, e che a cantarla sarebbe stata un comico, indignò i conservatori quanto i progressisti. Il testo di Sulla Porta venne sottoposto a censura dai dirigenti Rai, e Federico Salvatore dovette eliminare la parola omosessuale dalla canzone. Alla terza serata, però, Federico Salvatore decide di sovvertire la censura e cantare la versione originale. Scivolando dal terzo al nono posto. Non sarà l’unica controversia di quel Sanremo, con Elio e le Storie Tese che si vedono soffiare all’ultimo la vittoria da Ron e Tosca con Vorrei incontrarti tra cent’anni. Per un po’ non si parlerà più di omosessualità a Sanremo, ci tornerà Povia in “Luca era gay” nel 2009, ma la sua è una canzone che prova a ristabilire lo status quo: “Luca era gay e adesso sta con lei; Luca parla con il cuore in mano Luca dice sono un altro uomo”. Una canzone fuori tempo massimo, destinata ad essere dimenticata presto. A differenza di Sulla Porta, un brano che scardina i tabù e apre la via che porterà fino a Brividi, la prima canzone d’amore che un uomo dedica a un altro uomo.
ps: fate attenzione, nel video, alla presentazione di Pippo Baudo, visibilmente imbarazzato nel NON dire la parola omosessualità.
Non ho più la mia città, Gerardina Trovato (1993)
Negli anni 90 Sanremo Giovani è una fucina di talenti che si esibiscono in contemporanea ai Big con una serata, quella del venerdì, dedicata a loro. Sono anni in cui non ci sono i talent show, né i social e per molti cantanti Sanremo è un vero e proprio battesimo. Nella classifica finale dei Giovani spiccano tre nomi.
Sono quelli che faranno strada. Per la prima classificata, Laura Pausini, e per il terzo, Nek, sarà una lunga strada. L’altra ad un certo punto si fermerà, ma nel 1993 è in stato di grazia. La sua canzone si chiama “Non ho più la mia città”, lei è Gerardina Trovato.
Scena: lei, Gerardina, è seduta su un cubo e suona la chitarra elettrica. Se Laura Pausini è angelica e Nek arriva terzo con una canzone contro l’aborto in cui dice testuali parole “Respira in te, gioca e non sa che tu vuoi buttarlo via”, Trovato è l’esatto opposto.
Ha i capelli corti, orecchini da gitana, vocalità impressionanti da blues. Il ritmo della canzone è incalzante, la personalità che esprime sul palco disarmante. “Non ho più la mia città” non è solo una storia dedicata a Catania, citata nel secondo verso della canzone, ma contiene tantissimi tematiche che per la prima volta vengono trattate sul palco dell’Ariston.
La paura di andare via, la malinconia, ma anche la voglia di non rassegnarsi all’idea di lasciare la propria terra. Sono lontani i temi di “Amara terra mia” di Modugno. In “non ho più la mia città”, non si tratta né di andare né di tornare. Si tratta di partecipare al cambiamento.
Che non può non partire dall’unico verso che non è di Gerardina Trovato, ma di Paolo Borsellino. “Chi non ha paura di morire, muore una volta sola”. È così che Gerardina Trovato porta a Sanremo anche il più delicato dei temi: la mafia, la non accettazione di quella realtà e di una terra bellissima in cui però c’è ancora troppo sangue.
E la voglia cantata sempre più forte, ritornello dopo ritornello, sempre più incalzante nel ritmo, di aspettare “ancora una stella cadente”.
Io sono Cristiano Carriero, speaker, imprenditore e grande appassionato di musica italiana, e questa è L’ho fatto a Posta. Prima di andare, ti lascio con cinque cose che non mi sono piaciute di questo Sanremo. Senza rancore.
Le scarpe di John Travolta e la strategia di U-Power: se il tema è purché se ne parli, ok. U-Power paga il gettone dell’ospite internazionale, prepara una task force social, fa vestire John elegante e gli mette ai piedi le nuovissime scarpe della linea lifestyle. Peccato che il brand sia noto per la linea anti-infortunistica. L’esibizione di Travolta diventa solo forma, senza contenuto. Anzi, il contenuto fa schifo (non solo per colpa degli autori, di Amadeus e di Fiorello) e la Celeb non firma la liberatoria. Russel Crowe ha dimostrato che se vuoi fare un’ospitata di un certo tipo, la fai. Se il tuo unico obiettivo è fare il guitto per mostrare le scarpine anti-infortunistica in versione lifestyle, è anche colpa tua.
Bob Sinclair attorniato dalle pulzelle. Lo spiega bene Giulia Blasi: Qua il problema non sono le ragazze, intendiamoci (è una cosa che andiamo spiegando da decenni, ma pare che non passi). Le donne vivono nel capitalismo come possono e ritengono giusto, e se ballare un po’ sexy dietro a Bob Sinclar ti fa svoltare un po’ di soldi, bella pe’ te sore’. Il problema è che sono decenni, appunto, che parliamo di come l’uso delle donne come decorazioni d’ambiente sia legato alla percezione che la loro funzione primaria sia quella, la bellezza, la sensualità, essere dei complementi d’arredo pensati per conferire un erotismo vago e anestetizzato a situazioni che altrimenti sarebbero poco attraenti. Sopra Bob Sinclar, che è uno che sta fermo dietro a una console, la produzione aveva piazzato un’aerialist, una di quelle acrobate che utilizzano fasce di tessuto per muoversi a mezz’aria. Una donna che faceva una cosa difficile e faticosa e che richiede preparazione. In pratica la inquadravano solo fra una mossa e l’altra, quando più che un’acrobata sembrava un caciocavallo impiccato.
Il discorso dei ragazzi di Mare Fuori (che amo). Nobilissimo l’intento, discorso che fa il pari con la presentazione di Sulla Porta fatta da Pippo Baudo nel 1996 (vedi sopra): debole. Il fatto che sia stato scritto da un uomo è un tema, ma per me (maschio bianco etero) non è il tema. Credo che l’avrei scritto non dico meglio, ma diversamente.
Il Fantasanremo. Qui so di essere fuori dal coro. Non se ne abbia nessuno, ma per me non ha senso di esistere. Il fantacalcio si basa sulla performance del calciatore: fai gol, prendi un bonus. Fai assist, bonus. Non è che prendi punti se baci tua zia in tribuna. Il Fantasanremo ci costringe a vedere cantanti con gli occhiali da sole (anche per motivi di sponsor, vedi sotto), abbracci finti, regali finti come i fiori al maestro e una serie di sceneggiate che a mio parere non onorano la manifestazione. Last but not least: i brand che partecipano vengono contrattualizzati, da quest’anno, da Rai Pubblicità. Non ci trovo nulla di male sul fatto che diventi un business, anche il Fantacalcio lo è, ma è come se quest’ultimo venisse gestito dalla Lega Calcio.
Il post dei ipanpers su Clara. Qui torna a parlare l’uomo maschio bianco etero che ha avuto pensieri impuri e lo sta ammettendo. Qualche minuto dopo ipanpers ci hanno fatto un post a loro dire ironico che ha scatenato la trivialità di molti utenti (i commenti non fanno ridere, fanno rabbrividire). Dopo qualche ore il post è stato rimosso, ma Thatsfabaofficial non ha voluto soprassedere. “È bastato che Clara si mettesse gli occhiali da vista per leggere il gobbo sul palco dell’Ariston per scatenare “ironia” a sfondo sessuale dei PanPers, con annessi commenti squallidi da parte del pubblico maschile. Sono bastati un paio di occhiali da vista e un microfono davanti alla bocca per fare di una ragazza di 24 anni “una da video porno”. Ironia (se così si può definire) becera e maschilista che siamo stufi di vedere e che non fa altro che alimentare l’oggettificazione del corpo delle donne”
La verità è che il maschilismo è insito in molti di noi, liberarsene è una fatica immane. Ma il modo migliore per farlo, mi rivolgo soprattutto agli uomini, è rimettere in discussione tanto. Sono andato in una scuola femminile, ho studiato lettere e frequento da anni ambienti di lavoro in cui il 90% delle colleghe sono donne, e molte manager sono donne. Sono in tante chat con solo donne, eppure ho tantissimo da imparare ancora e ogni giorno imparo qualcosa. A proposito di questo, sono molto orgoglioso di essere il primo speaker uomo invitato ad un evento di Puglia Women Lead: Puglia Women AI.
Bene, adesso posso andare a vedere la serata cover, dove certamente mi commuoverò ascoltando Angelina Mango che canta suo padre.
Passa un bel weekend e riposati!
ps: Vediamoci (se vuoi)!
Ci vediamo il 22 febbraio in Sardegna a Sorgono (Nuoro) con Once Upon a Place. Se hai bisogno di un codice sconto, chiedi.
Dal 8 al 10 marzo il tour di La Content e Lucy passa da Bologna con “Il giro del mondo in 12 libri” (ancora 5 posti!). Se hai bisogno di un codice sconto, ri-chiedi.
Il 22 marzo sarò speaker, a Bari, dell’evento Puglia Women AI. Se hai bisogno di codici sconti, chiedi anche qui.
Mi è piaciuto tantissimo questo articolo!🌸 ci voleva :)