Dillo pure che sei offeso
(Ma se hai qualcosa da dire dillo adesso, non aspettare che ci sia un momento più conveniente per parlare)
È una settimana particolare. Difficile. Tormentata, ancor prima che travagliata. Quello che è successo a Giulia, quello che succede tutti i (ormai non) santi giorni alle donne vittime di violenza è inaudito, inaccettabile.
Sono un uomo, e mi sento parte del problema.
Sarebbe molto semplice elencare i motivi per i quali non dovrei esserlo, ma derubricare le violenze a gesti isolati di gente poco sana di mente è - a mio modestissimo avviso - un errore imperdonabile e che non risolverà il problema.
Questa puntata di L’ho fatto a Posta esce nella giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. Ho provato a raccogliere i miei pensieri in un pezzo pubblicato dal sito Alley Opp.
Lo scrivo anche qui, qualora te lo fossi perso:
Sono giorni che penso a Giulia, ma non solo a lei. Mi auguro che molti maschi abbiano provato, come ho provato io almeno per un momento, a riavvolgere il nastro della propria educazione e formazione: in famiglia, a scuola, in tutti gli altri contesti intrisi di mascolinità tossica.
Questa cosa andava fatta prima ma, vi prego, iniziamo dai piccoli cambiamenti. Iniziamo a non far passare più nulla: uscite dalle chat di Whatsapp in cui la donna viene trattata come un oggetto: fatelo notare una volta, due al massimo, poi abbandonate. Non è divertente, non lo è mai stato.
Litigate con lo zio, la zia, il nonno di 90 anni che fa una battuta sessista pensando di far ridere: “Te la sei presa bella, è brava anche in cucina?”. Non è più il tempo del quieto vivere, nemmeno a Natale.
Chiedetevi e chiediamoci se è corretto mandare messaggi passivo-aggressivi ogni volta che ci sentiamo rifiutati o semplicemente non siamo al centro dell’attenzione. Perché noi non siamo il centro di nulla, nemmeno se siamo fidanzati, compagni, mariti. Sdegnatevi se allo stadio qualcuno dice alla guardalinee “Devi stare a casa a fare i piatti”. Non fa ridere. Che nessuno rida più per ‘ste merdate.
Puntualizzate che se in una call ci sono uomini e donne non è che si prendono decisioni solo rivolgendosi agli uomini, quello accadeva nei “Leoni di Sicilia”, nell’800. E nemmeno. Ci sono mille altre cose che potete e che possiamo fare: la prima è parlare di quella volta in cui abbiamo esagerato. Magari si è trattato di un piatto buttato a terra, di una porta sbattuta con veemenza, di una serie di chiamate troppo insistenti nel cuore della notte perché “mi devi rispondere“.
È capitato a tutti noi, lo abbiamo fatto e non dobbiamo vergognarci a dirlo. Piuttosto, dobbiamo vergognarci a rifarlo. Lo abbiamo fatto perché nessuno – i genitori, la scuola, la caserma, lo sport – ci ha educato a essere rifiutati, e invece fa parte della vita.
Siamo tutti, un po’ o tanto, parte del problema. Iniziamo a diventare una piccolissima parte della soluzione.
In una sua canzone Niccolò Fabi dice
Dillo pure che sei offeso
Dalle donne che non ridono
Dagli uomini che non piangono
Dai bambini che non giocano
Dai vecchi che non insegnano
Ma se hai qualcosa da dire dillo adesso
Non aspettare che ci sia un momento
Più conveniente per parlare
Ed è così. Non c’è un momento più conveniente per parlare, per discutere, per rimetterci in discussione. Per essere delusi e offesi.
Non ho molto altro da aggiungere, se non l’impegno a fare qualcosa di concreto. Con La Content organizziamo corsi, e allora perché non farne uno di educazione affettiva e sentimentale? Mi piacerebbe andare nelle scuole, nelle università, nelle comunità. Abbiamo attiviste come Leandra Borsci all’interno, un network di amiche e professioniste che possono aiutarci (mi vengono in menta Ella Marciello, Roberta Zantedeschi, il Reb Collective). Noi uomini resteremo ad ascoltare, e a imparare.
Fidarsi del marketing
Giovedì scorso ho moderato la presentazione del libro di Carlotta Carucci, Emozioni al centro - strategie di marketing emozionale per una comunicazione efficace e consapevole. È stato un bell’invito a “Fidarsi del marketing”, che è anche il titolo che ho scelto per la prefazione che ho scritto per lei. Ti condivido alcuni stralci:
La prima volta che ho sentito parlare di Emotional Marketing è stato grazie a Carlotta. Mi prendo la licenza di raccontare un aneddoto personale, credo che le prefazioni servano anche a questo. Non conosco benissimo Carlotta, non ci siamo visti così tante volte come questa intimità di scrittura potrebbe suggerire. E allora la prima domanda che mi sono posto, prima di approcciarmi alla pagina bianca, è stata: quando e come si è creata questa intimità? Molto è stato merito di quello che chiamiamo, a volte inopportunamente, personal branding. Non c’è niente di costruito nei nostri “brand”; Carlotta e io siamo quello che scriviamo, che pensiamo, che portiamo sui palchi degli eventi ai quali partecipiamo. Siamo imprenditori oltre che comunicatori, abbiamo un tipo di leadership che si basa sulla trasparenza, sulla sincerità, sulle emozioni. In questi tempi incerti, è difficilissimo far “sentire” le emozioni. Eppure, credo sia la vera sfida del marketing. Tutti (de)scrivono, tutti raccontano – pensando di saperlo fare -, in troppo vivono la comunicazione come una serie di task da smarcare e non come una grande missione.
“Le azioni – scrive Carlotta - sono sempre sottoposte a vincoli di carattere sociale, culturale e linguistico che le precedono”. E che cos’è la comunicazione se non “azione”, un modo per spingerci oltre il prodotto che vendiamo, renderlo una promessa, una missione se mai. Mi trovo spesso a dover contraddire chi dice che noi comunicatori “non salviamo vite”. E credetemi non voglio passare per un workaholic, non lo sono. Credo però che una buona comunicazione possa salvarle eccome le vite. Chiedetelo a chi lavora per società quotate in borsa, dove una parola usata bene o usata male, una fotografia poco efficace o un video ben realizzato possono cambiare tutto. E ci vuole lucidità ogni giorno a prendere la decisione giusta, magari per tanti clienti diversi, che operano in business diversi. Ci salva la preparazione, la creatività non è una scusa. Preparati e mai prevenuti.
Io e Carlotta ci conosciamo poco, forse ci siamo visti cinque volte in tutto. Però ci siamo aiutati, ci siamo ascoltati, ci siamo capiti. La cosa più bella è che ci siamo fidati. Ora vorrei che questa prefazione terminasse con una promessa. Promettimi che ti fiderai del marketing. Fa sorridere no? Lo abbiamo sempre maltrattato, ogni volta che lo nominiamo è per dire qualcosa di negativo “È tutto marketing”. Che vuol dire finto, artefatto, costruito. Tu invece fidati del marketing, ma aiutaci a cambiarlo.
Fidati del marketing, ma dillo pure che sei offeso.
Io sono Cristiano Carriero e questa è la mia newsletter, L’ho fatto a Posta.
Ieri sera è iniziata La Casse di Digital Storytelling, ed è stata una grande emozione aprire questo percorso. Ci sono più di 12 lezioni, ma la sensazione è che ne aggiungeremo ancora altre. C’è ancora posto, se vuoi.
A gennaio iniziamo un corso di scrittura biografica con Lucy. Si chiama “Lessico Familare” o, se preferisci, “La mia famiglia e altri animali”. Fatti un regalo, e non solo perché c’è lo sconto del black friday. Sali a bordo. La famiglia è una fucina di storie ricca di legami, conflitti, amore, rimorsi e rimpianti, equivoci, vicinanza, assenza, ricordi. Il pretesto perfetto per iniziare a raccontare. Con noi ci saranno Rossella Postorino, Chiara Tagliaferri, Marco Missiroli, Grazia Calandrone, Teresa Ciabatti, Matteo Fontanone, Alessandra Minervini. I migliori racconti che verranno fuori da questo corso verranno pubblicati su Lucy. Sulla cultura e io penso che non ci sia occasione migliore per scoprire da dove veniamo e soprattutto dove stiamo andando.
ps: credo sia il momento di dire che il mio romanzo, 24 dicembre, non è un libro sulla vigilia di Natale, ma la lettera di un uomo, e di un padre, che insegna a sua figlia a rispettare le scelte della madre, Alice.
Ti abbraccio, fa buon weekend e scendi in piazza (e fai sentire la tua voce).