Domandare è lecito, rispondere è cortesia
Dove si parla di frustrazioni, micro abitudini, scrivanie analogiche, comunic-azione, brand storytelling. E della rivalità tra due sublimi registi avversari.
La sensazione più frustrante di questa epoca è, probabilmente, quella di perdersi i pezzi. Non bastano email lunghissime di recap, tool di project management dove condividere i documenti e i flussi, board di Mirò sempre aggiornate. Siamo costantemente a rincorrere, a recuperare email, messaggi che arrivano da tutte le piattaforme, vocali che non possiamo ascoltare perché magari, nel frattempo, siamo in call o con altre persone.
Ci hanno insegnato che fare molte domande è buona pratica, che è sintomo di intelligenza, di proattività, di curiosità. Non ci hanno messo in guardia su quanto tempo si possa perdere a rispondere a domande stupide o quanto se ne possa guadagnare anticipandole.
Il mondo è diventato demanding
Ci siamo abituati a chiedere a un assistente vocale di calcolare il tempo di cottura della pasta anziché guardare l’orologio, a un telecomando di scegliere la nostra serie TV preferita, a un tool di Intelligenza Artificiale di scrivere un’email al posto nostro. Siamo diventati moltiplicatori di domande: solo oggi scorrendo tra le email e i messaggi ne conto – l’ho fatto davvero, le ho contate – circa 76. La metà di queste avrebbe trovato facilmente una risposta se il testo fosse stato letto con più attenzione.
Domandare è lecito, rispondere è cortesia
Già, solo che se moltiplichiamo la cortesia per 76, ammesso che ogni domanda preveda circa uno o due minuti di tempo, abbiamo sommato circa due ore. Da qui in poi è tutta rincorsa. Soprattutto c’è modo e modo di domandare una cosa. Prendi, per esempio, tre domande e prova a formularne una unica, magari con un solo punto interrogativo. Scommettiamo che è più efficace. Senza punto interrogativo.
Ma come fai a fare tutto?
È una delle domande, a proposito, che mi viene posta più spesso. A volte mi verrebbe da rispondere: “Non lo so”. Altre volte: “E chi ti dice che ci riesca?”. Poi, alla fine, scelgo la strada della verità. Cerco di equilibrare il più possibile le attività che generano ricavi con quelle che creano entusiasmo. A volte coincidono, ma non sempre. Mi do piccoli obiettivi extra lavoro: scrivere una newsletter a settimana, per esempio. O leggere dieci pagine di un libro al giorno (sommandole, diventano più di tremila, circa dieci libri in un anno). Fare sport ed esercizi per la mia schiena. Fare una telefonata a una persona che non sento da tempo. È curioso, ma queste micro abitudini ci insegnano che siamo noi i padroni del tempo, che urgenza genera altra urgenza e che, per non perdere i pezzi, a volte, la cosa migliore da fare è fermarsi un attimo.
La scrivania analogica
Quando mi sento sopraffatto, quando mi sembra di essere sopraffatto, cambio scrivania. Ho deciso di averne due nel mio ufficio principale, una digitale con il computer, il monitor, lo smartphone e una analogica con i libri, le matite, i taccuini. Free smartphone. In questo modo cerco di mettere ordine nei miei pensieri, decido anche – banalmente – se per ricevere una risposta da una persona sia meglio mandare un’email, un messaggio, fare una call o telefonare. Sulla scrivania analogica leggo molto, scrivo, telefono. Delego, se necessario.
Ricordati di ringraziare
Un’altra delle cose che mi genera frustrazione – oggi siamo in tema – è la mancanza di un “grazie”. Non mi riferisco a quelli di circostanza, ma a chi deliberatamente si dimentica di rispondere a chi gli ha dedicato tempo, professionalità e impegno. Ecco, questa cosa mi fa tremendamente incazzare: per questo, quando lo faccio io, mi fa sentire molto in colpa. Dedicare dieci/quindici minuti al giorno a rispondere a chi ha lavorato per noi (magari anche semplicemente mandandoci un preventivo o un’idea) è una cosa che dovrebbe essere scontata, ma non lo è.
Quante persone hai ringraziato ieri?
Un nuovo (vecchio) modo di fare brand storytelling
Danone ha donato il suo jingle a PizzaAut.
È nata da una cena ai tavoli di PizzAut tra Elio – testimonial Danacol – e Fabrizio Gavelli, Presidente e Amministratore Delegato di Danone Italia e Grecia, la collaborazione per contribuire concretamente alla realizzazione del progetto di espansione di PizzAut, la prima pizzeria gestita da ragazzi autistici. L’azienda ha donato un suo storico asset, il jingle di Danette e il claim “Troppo buona”, per la realizzazione di un video.
Danone sceglie quindi di supportare (anche economicamente) un’azienda che non avrebbe la possibilità di fare un investimento pubblicitario così importante. È un’operazione di marketing? Certamente. È un’azione concreta che aiuta un progetto di inclusione? Altrettanto certo. Per il brand essere cancellato o momentaneamente sostituito non è una tragedia, anzi. Siamo di fronte a uno di quei casi in cui la comunicazione si tramuta in azione: racconto una storia che supporto. Dico, quindi faccio.
A proposito di brand storytelling
Mi permetto di segnalarti un bel libro di Joseph Sassoon dal titolo Brand Storytelling e Metaverso. La tesi che sostiene è che nella società contemporanea, dove mondo reale e virtuale si fondono, sia fondamentale approcciare il brand storytelling abbandonando la comunicazione verticale “uno a molti” in favore di approcci collaborativi e di creazioni di senso condivise da marchi e utenti. Cosa c’entra il Metaverso? Quella che oggi sembra (ancora) una bolla destinata a scoppiare è per l’autore l’esito di una convergenza fra tecnologie che cambieranno radicalmente il modo in cui viviamo, socializziamo, lavoriamo, ci divertiamo.
“Per le marche si presentano così per la prima volta immense opportunità di comunicare se stesse, i loro mondi, i loro uomini e le loro donne, i loro prodotti e servizi, in formati digitali, sì, ma potenziati da una tridimensionalità iperrealistica e la possibilità di interazione assolutamente inedite”.
Ancora una volta, vincerà chi comunica in modo autentico, efficace, originale. Chi sarà abile nel creare uno storytelling condiviso.
Forme – Sono tutte storie
Me lo avete chiesto in molti/e… (si inizia spesso così). In realtà sono già 30 le persone che si sono pre-prenotate a Forme, il prossimo corso di storytelling e scrittura organizzato da La Content. A grande rischiesta, ecco lo spoilerone sui docenti e sulle “forme” di racconto:
Quante forme posseggono i contenuti? E quanto è importante conoscerle?
Dal racconto breve al romanzo, dalla sceneggiatura televisiva al podcast.
Dalla newsletter al post per i social, dalla cartolina al diario di viaggio.
Un corso in cui dovrai alternare computer, taccuino, microfono, note vocali e fogli Google.
Perché il contenuto conta, ma anche la forma.
Eccome.
Il viaggio – Claudio Visentin
Tra podcast e romanzo – Chiara Tagliaferri
Il racconto breve – Giorgio Biferali
I contenuti social – Sebastiano Iannizzotto e Valentina Rivetti
La sceneggiatura televisiva – Federico Favot
Il saggio e la traduzione – Andrea Marcolongo
Il romanzo – Nicola Lagioia
La newsletter – Nicolas Lozito
La performance/lo speech – Laboratorio con Vera Gheno
La sceneggiatura cinematografica – Gennaro Nunziante
L’editing, la prima stesura è una merda – Alessandra Minervini
Infine
La notte dei pesci banana – Alessandra Minervini, Cristiano Carriero (+ guest)
Se vuoi bloccare il tuo posto, rispondimi a questa lettera o scrivimi a cristiano@lacontent.it Fino a fine mese il costo del corso è di 300 euro (poi passerà a 370 e, infine, a 520. Giusto per essere trasparenti).
Io sono Cristiano Carriero, questa è L’ho fatto a Posta e, prima di salutarti, voglio comunicarti una bella notizia su ABCD (A Bari Capitale Digitale): a grande richiesta, ci sono altri 100 biglietti! Iscriviti a questo link per non perdere la possibilità di partecipare.
Ti lascio, infine, una suggestione sulla lettura che sto facendo in questo periodo. Ho iniziato a leggere La bella confusione di Francesco Piccolo.
Pensavo fosse un romanzo, in realtà non solo non lo è, ma è un vero e proprio saggio, un documentario su due film che hanno segnato la storia della cinematografia italiana: 8½ e Il Gattopardo. Ecco, a proposito di forme, ero convinto che la cosa non mi interessasse e che mi sarei addirittura annoiato. Invece è incredibile constatare come si possa partire da un’immagine potentissima – Claudia Cardinale che corre da un set all’altro cambiando ogni volta colore dei capelli – per spalancare un mondo intero. Un Paese in cui la cultura è ancora politica, l’epopea di un celebre romanzo rifiutato e poi riscoperto, le vicende personali di due sublimi registi avversari: Luchino Visconti e Federico Fellini.
Sto amando questo libro, ma soprattutto sto amando l’idea che esista la possibilità di raccontare una storia reale senza dividere la verità documentata dai racconti. Perché vorrebbe dire – come nel caso di Fellini – non aver rispetto della sua ricostruzione epica del mondo.
Ciò che conta è che le architetture fantasiose siano appoggiate su impalcature solide
P.S. Iniziamo a essere in tante/i e ne sono davvero felice. Se vuoi supportare questa newsletter e darmi la possibilità di dedicare ancora più tempo alla ricerca, allo studio e alla scrittura, condividila e suggerisci alla tua rete un paio di buoni motivi per iscriversi. Grazie!
Tante volte purtroppo la domanda per molti è la via più veloce, quella che richiede meno tempo e meno sforzo. Quando nella maggior parte dei casi la risposta è già in una mail o in un contenuto a disposizione di chi chiede. Spesso, a costo di apparire "antipatico", sostengo che bisognerebbe tornare ogni tanto a fare degli esercizi di comprensione del testo. Come a scuola 😅