Due tre cose che mi sono riuscite
Dove si parla di sindrome dell'impostore, teoria del piano inclinato, comunicazione e immagine, siti statici e dinamici, community che diventano aziende, successi e fallimenti dolorosi.
Tra una settimana inizierà La Classe (Digital Storytelling) e mi sento in dovere di fare il punto sul mio mestiere. Ho sempre sofferto, come tanti e tante, della sindrome dell’impostore ma a giugno della scorsa estate ho raggiunto la maggiore età dei miei anni di lavoro: sono diciotto.
Fabriano, stazione di Fabriano
Ho iniziato nel 2005, in maniera piuttosto rocambolasca ma non casuale. L’occasione era quella di andare a lavorare per una multinazionale “tascabile” - il Presidente la chiamava così - di cui avevo sentito parlare talmente bene che prima di andare a fare il secondo colloquio, il primo lo avevo fatto a Roma, non avevo controllato nemmeno dove fosse quel paese. Quando arrivai a Fabriano e feci un giro in città, pensai soltanto “Vabbè, sei mesi passano in fretta”. Indesit, ufficio Comunicazione e Immagine. Quella seconda parola “immagine” mi faceva venire voglia di indossare camicie con i gemelli e camminare a testa alta. Era chiamato anche “l’ufficio del Presidente”, perché era l’unico che nell’organigramma aziendale riportava a lui e non all’AD.
Ci scrissi anche un pezzo di discreto successo chiamato Lo stagista e il Presidente
Imparai parecchie cose in quei due anni. Regola numero uno: l’ultimo arrivato fa la rassegna stampa. Controregola: l’ultimo arrivato fa la rassegna stampa se è capace e (soprattutto) se è affidabile. Quindi niente scherzi con la sveglia. Regola numero due: non importa che impegni abbia la tua tutor, ma avrà tempo per te la sera, quando tutti sono già andati via. E infatti ricordo benissimo le parole di Lea: “Eccoci fido scudiero, che ne dici di guardare il comunicato stampa assieme, adesso?”. Regola numero 3: la comunicazione è un tema tremendamente serio. Altro che “non salviamo vite”. Abbiamo contribuito a salvare reputazione, posti di lavoro, fatturati, forse anche qualche vita. Quando il mio capo mi disse “Tu quando ti levi dal cazzo?” risi. E lui mi disse “No, seriamente. Non posso tenerti”. Uscii fuori dall’edificio e piansi. Senza vergogna. Ero felice lì dentro, ero incredibilmente felice a Fabriano.
Questo annuncio non è scritto da un copywriter
Di azienda non volli più sentirne parlare per un po’ (ammesso che le aziende volessero sentir parlare di me), volevo realizzare il mio sogno di fare il copywriter e comprai un sacco di libri sul tema. Ma nessuno mi voleva come copywriter. Un giorno lessi l’annuncio di una agenzia che cercava un account - senza farmi troppe domande su cosa facesse realmente un account in una piccola agenzia della Baraccola di Ancona - e mi candidai. Decisi che tempo 3 mesi e avrei fatto il copywriter. Mi presero, e il primo giorno Francesca mi disse “Questo è l’elenco dei contatti da chiamare, buon lavoro”. Io che da piccolo non volevo rispondere nemmeno agli amici di scuola e inventavo ogni scusa per non fare gli auguri agli zii al telefono. Rischiavo di durare una settimana; poi chiamai un mio amico nerd e gli chiesi quanto mi sarebbe costato farci un sito internet “dinamico”. All’epoca o eri statico o dinamico, non c’erano altre alternative. Mi disse poco, gli risposi “facciamolo”. Ci misi la faccia e parte del budget (questo a Fra non l’ho mai detto). Lo aggiornavo ogni giorno. Francesca mi chiedeva perché non telefonassi, io gli risposi che i clienti sarebbero arrivati leggendoci sul sito. Avanguardia pura. Rideva, ma secondo me ci credeva anche lei. E infatti successo. Ogni giorno scrivevo un pezzo, i clienti ci contattavano, io andavo a trovarli, scrivevo i progetti e ogni tanto i claim delle campagne. Tanto il copy non c’era. Alla fine diventai un bravo account, fino a quando non arrivarono i social.
La blogosfera e i social media
“Potremmo usare Facebook per i clienti”. Francesca non ha mai provato a fermarmi. Continuava a sorridere e mi lasciava fare. E Facebook fu. E poi Twitter. E video per Youtube. Cambiai biglietto da visita, ci scrissi “Social media manager” perché mi sentivo figo. Luca Conti nel frattempo scriveva il primo libro su Facebook in Italia. Il secondo Facebook Marketing mi chiese di scriverlo con lui. Per Hoepli. Non guadagnavo molto in agenzia. Chiesi l’aumento, Francesca me lo concesse. Un anno dopo chiesi di andare via. Non era più una questione di soldi, ma di ambizioni. Scelsi di sposare un progetto di un’azienda IT che voleva fare un’agenzia di comunicazione al proprio interno: non ci veniva nome decente, nacque Questagenzianonhanome spinoff dell’Apra, oggi Var Group. Tre anni più tardi lessi l’annuncio di una azienda che organizzava eventi di formazione; era una delle migliori in assoluto: Performance Strategies. Cercavano un digital strategist, e dopo un po’ di titubanze accettai. Avrei potuto seguire tutti quegli eventi dal vivo, conoscere gli speaker, raccontarli.
“Il tuo problema - mi disse un giorno la donna che sarebbe diventata mia moglie - è che tu non vuoi vivere gli eventi dal backstage. Tu vuoi essere quello che sta sul palco”
La teoria del piano inclinato e la nascita de Lo Storyteller
Aveva ragione. Fu un fallimento. Andò tutto male, mia madre si ammalò di cancro, a me veniva da vomitare tutte le mattine quando andavo a lavoro. All’improvviso sentivo di non saper fare più nulla. Mi licenziai, e lo feci due giorni dopo che mi proposero una exit strategy. Non avevo ripagato le loro aspettative, non volevo un euro di più. Quella sera tornai a casa leggero. Mia madre stava per morire, io non avevo più un lavoro e non avevo mai fatto il freelance in vita mia. Chiamai Carlotta Silvestrini, amica ed esperta di rebranding. Le chiesi un consiglio e un preventivo. Me li diede entrambi, non sono mai stato più felice di un investimento. “Da oggi tu sei Lo storyteller” disse. “E chi lo ha deciso?”, risposi. “Io. Lo mettiamo ovunque: nel sito, nella mail, nel biglietto da visita. Tu devi solo mantenere la promessa”. “Quale?” “Quella di esserlo”. Credo di averlo fatto, in ogni caso ha portato bene.
Milano sono tutto tuo
All’inizio è stato complicato abituarsi, ma poi - mentre aiutavo RPlus a diventare Martin Brando - ho finalmente avuto l’opportunità di confrontarmi con le grandi agenzie milanesi: Edelman, Doing, infine Ad Mirabilia (con la quale collaboro ancora, felicemente). Ho aggiunto al mio bagaglio le PR, l’influencer marketing e le media relations. Ho lavorato con grandissimi clienti: Eni, Enel, FCA, Nestlé, eBay e tanti altri. Si può fare una bellissima carriera lavorando con i piccoli, ma a me mancava non avere i grandi. Un giorno mi chiama Marco e mi dice “Ma perché non trasformiamo quella bella community che hai fatto su Facebook in una azienda?”
“Ma quale, La Content Academy?”
“Sì, siamo io, te, Ale e Luisa. Ci bastano 1000 euro diviso quattro”.
Riportando tutto a casa
Tra coraggio e incoscienza dissi di sì, Quei 1000 euro sono diventate 600 mila di fatturato nell’ultimo anno, e spero molti di più l’anno prossimo. Abbiamo fatto crescere persone, abbiamo assunto, abbiamo riportato tutto a casa (a Bari, ma mi sono tenuto una sede a Jesi perché a me le Marche sono piaciute eccome), abbiamo scelto di ripartire anche dai nostri errori. È per questo che gli eventi li abbiamo fatti come diciamo noi. Così come i corsi. Non seguiamo schemi visti altrove perché, con tutto il rispetto, non ci sono piaciuti. Non ci hanno fatto tremare il cuore. In azienda ci sono anche tornato, nei due anni di pandemia quando sono stato Chief Storyteller Consultant di Banca Ifis durane il rebranding. Una cosa di cui vado orgoglioso e per la quale ringrazio infinitamente Rosalba e Francesca che avevo conosciuto ai tempi della Indesit.
Ma nulla è venuto bene come La Content, e il motivo è uno: non sono un impostore, anche se a volte mi piace pensarlo. E anche a te, forse. Sono uno che ha imparato tanto sul campo, ha studiato, ha rischiato, a volte ha fallito miseramente, poi ci ha riprovato e domani chissà. Adesso provo a mettere questi 18 anni in delle slide, male che vada la recito a memoria.
Io sono Cristiano Carriero, di mestiere faccio tutto quello che hai letto fino qui, ma scrivo anche romanzi, podcast e molte altre cose che mi danno da vivere, e questa è L’ho fatto a Posta.
Grazie, come sempre, per avermi letto fino qui. Fa buon fine settimana e se hai voglia di raggiungerci in aula venerdì prossimo, fammelo sapere!