E ho scritto di Pesche, ma era solo per litigare
Dove si parla del gusto della bella conversazione perso nelle morse degli algoritmi. Di lunedì, quando non si palesano nemmeno gli spacciatori di popper.
Questa newsletter esce di lunedì pomeriggio perché sabato e domenica sono stato impegnato in un team building, perché avevo detto che non avrei scritto ma ho preso molti appunti e mi è venuta comunque voglia di farlo e perché avevo voglia di ribaltare lo status quo uscendo di lunedì sera quando “non si palesano nemmeno gli spacciatori di popper” (cit.).
Avevo cose troppo urgenti da dirti, per cui non ce l’ho fatta a non scriverti.
Ti capita mai? È il contrario di quello che ci accade di solito. Abbiamo tanto da dire, ma non troviamo il tempo, rimandiamo. Non abbiamo voglia. Io cerco di fare l’esercizio opposto. Trovare un momento buono per fermarmi e ripensare a ciò che mi è capitato.
Ho iniziato a scrivere a Palermo sabato sera. Poi è successa una di quelle cose che ti fanno passare la voglia di mandare una newsletter, a maggior ragione dopo aver annunciato che non sarebbe uscita. Sabato notte sono tornato in albergo verso l’una, mi sono messo a scrivere ma al momento di salvare la bozza è saltato tutto. Cancellato. Perso. Andato. L’ho preso come un segnale, e ieri sera durante il volo verso Milano mi sono rimesso a scrivere la newsletter.
Non verrà mai come quella di sabato sera. Meglio così, tutto sommato.
Da oggi a mercoledì sono a Milano, poi a Bologna, Pisa per l’Internet Festival - dove parleremo di salvezza e fine del mondo - e ancora a Bologna per l’unplugged di Hacking Creativity.
Queste sono le settimane per cui vale la pena fare il mio lavoro
Si viaggia molto, si conosce gente, si lavora ad orari più flessibili (perché si è costretti, così come si è costretti ad adattarsi ad ambienti diversi, dalla hall dell’albergo all’aeroporto), si incontrano un sacco di persone e si accumulano tantissimi stimoli che spesso e volentieri si trasformano in progetti. Potrei o vorrei fare sempre questa vita? Forse no. Viaggiare è anche fatica, la flessibilità ha un prezzo (banalmente quello di scrivere una newsletter o rispondere alle mail di domenica sera), la mia routine va a farsi benedire. E sebbene io sia una persona piuttosto distante dalla routine, a 44 anni devo stare attento all’alimentazione, all’esercizio fisico, al sonno e ad una serie cose di cui dieci anni fa mi interessava relativamente.
Ha ragione Nicolò Andreula, però, a dire che prestiamo molto tempo a pensare al “cosa” del nostro lavoro a discapito del “come”. E invece il come è importantissimo. Quando arrivi ad un certo grado di consapevolezza dei tuoi mezzi, ti interessa molto di più come lavori. Sono felice se ho opportunità di apprendimento continue, se posso relazionarmi con persone che mi arricchiscono, se posso pesare retribuzione e tempo. Se posso usufruire, a intervalli regolari, di vacanze e tempo libero per potermi dedicare ai miei interessi, se posso lavorare con persone piacevoli e interessanti anche fuori dal contesto lavorativo. A te, invece, cosa motiva? Hai mai provato a pensare davvero al “come” del tuo lavoro?
Ora dovremmo parlare di Pesche
ma in realtà ne ho già parlato. Anzi no, perché ho semplicemente scritto un post di pancia due minuti dopo averlo visto. Senza la pretesa di assurgermi ad opinionista, scrivendo che a me era piaciuto. L’ho trovato attuale, e questo mi sento di confermarlo. Soprattutto in una frase:
“Allora dopo la chiamo per ringraziarla”
Mi rendo conto che non è la frase più originale del mondo ma per me a livello pubblicitario funziona tantissimo. Perché è priva di iperboli, e le iperboli sono state e sono ancora il male del marketing. Aggiungo, prima di parlare dell’opportunità di mettere in scena una famiglia di separati (e come vengono rappresentati), a me colpisce molto il tono di voce: molti hanno scritto “triste”, io dico “malinconico” e sono due cose molto diverse.
Malinconico non è nostalgico
I due personaggi sono nelle fase in cui si stanno chiedendo se la loro scelta è quella giusta, e noi spettatori non possiamo e non dobbiamo sapere tutto. Se è lui ad aver lasciato lei o viceversa. Se lo hanno fatto di comune accordo. Sappiamo che nessuno dei due ha voglia di scherzare o di ridere (magari stanno pensando al mutuo o a problemi di lavoro che abbiamo tutti e inoltre l’ironia è quasi definitivamente sparita dalla pubblicità italiana, tema che merita una puntata a parte), ma che non hanno rancore. E il tema della gratitudine tra persone che non si amano più, nell’era della violenza verbale sui social, e di quella fisicamente tristemente nota a tutti noi (nel 2023 sono già 14 le donne vittime di femminicidi), ha un peso specifico molto rilevante.
Non si inizia mai con non
Mi ha colpito molto anche il claim con due negazioni: “Non c’è una spesa che non sia importante”. Un dogma - quello delle negazioni - sempre difficile da infrangere. Più volte mi è capitato di vedere dei miei copy rimandati indietro perché iniziavano con “Non”. E invece a me piacciono moltissimo, e li trovo persino funzionali.
Veniamo però al vero tema di questa puntata: la polarizzazione. Ho letto molti commenti negativi su questo commercial, la maggior parte da amici e professionisti che stimo moltissimo. Faccio anche i nomi: Paolo Iabichino, Osvaldo Danzi (che mette sul piatto anche la situazione dei lavoratori di Esselunga), Nicolò Andreula, Ella Marciello che parla di narrazione tossica. Cito un suo passaggio perché lo condivido in pieno, sebbene io non abbia visto questo nello spot:
Troppi adulti non si separano facendo una vita d’inferno, e conseguentemente facendola fare ai propri figli, in virtù di questo sillogismo cattolico per cui “finché morti non vi separi” pare essere l’unica possibilità, anche se si lasciano dietro morti e feriti (o magari siamo noi a morire). Perché almeno nessuno potrà dirci che la nostra è una famiglia monca, rotta.
(Ella Marciello)
Ci sono state anche civilissime discussioni tra noi, ma la colpa è stata mia. Sono io che ho scritto una cazzata in chiusura del mio post (grazie Monica D'Ascenzo per avermelo fatto notare): Chi ci vede del marcio, lo vedrebbe anche nelle pesche.
Ergo mi sono elevato a giudice, errore.
Scelgo questo strumento, la newsletter, per ribadire che non solo la stima per chi la pensa diversamente da me è immutata, ma sono felice di averli letti per riconsiderare la mia posizione e confermare che per me il commercial funziona.
Non sono d’accordo con chi dice che punta sul senso di colpa, semplicemente perché in nessun passaggio dello spot la bambina chiede ai due genitori di tornare insieme. Anzi, nella mia lettura la traduzione della sua frase è: “vogliatevi bene comunque, rispettatevi”. Ma questa, ripeto, è solo una mia lettura.
Chi scrive, il sottoscritto, è per la famiglia queer.
Ho scritto un romanzo (un paio di anni fa) che parla di questo. La protagonista è un padre che scrive una lettera a sua figlia, Amaranta, e le racconta di sé, della madre Alice che ha scelto di amare uno degli amici del protagonista e che con lui avrà un figlio.
Ho pianto tanto ultimamente. Ma oggi è stata una bella vigilia. Alla fine i mappamondi sono serviti solo a far giocare i bambini, hanno spostato le puntine un po’ come abbiamo fatto noi in questi anni. Chi passando per l’America, chi tornando, chi facendo il giro del mondo in nave. Chi accogliendo turisti di tutto il mondo a Bari. Ti avrei voluto raccontare tutto subito, anche che presto avrai un fratellino - si chiamerà Ernesto, come me - ma non ho voluto svegliarti. Noi al solito, abbiamo fatto un po’ come ci pare con i legami di sangue. Sì, Ernesto avrà un altro papà, che è un fratello per me. Come è mio fratello Giovanni. E Sandro. Come è mia sorella Valeria. Non ci avevamo capito nulla, Amaranta. Non è una questione di dove vai, ma di chi scegli di diventare. E siamo tornati tutti perché questa città non solo non ha colpe, ma ha il merito di averci aspettati. Adesso aspetta te, ancora una volta. Tu fregatene sempre, fai le tue scelte. Non permettere a nessuno di farti spiegare chi fa parte della tua famiglia e chi no. Di chiamare fratellastro qualcuno solo perché ha un genitore diverso dal tuo. Questa è la mia storia, figlia mia, ed è anche la tua. Amaranta dolcissima, tra poco è Natale.
Questo lo dico solo a scanso di equivoci. La pubblicità è un’altra cosa: il suo scopo - cito Mizio Ratti - è quello di vendere e non gliene frega di lanciare messaggi sociali.
E per vendere sfrutta tantissimo il registro emotivo.
Quindi se trovi che questa campagna sfrutti le emozioni della gente non prendertela con le campagne di Esselunga, perché svolge bene il suo compito, ma prenditela piuttosto con tutta la pubblicità. (Mizio Ratti)
Magari non sono maturi i tempi per vedere in uno spot di un supermercato (non dimentichiamoci mai di considerare la categoria merceologica, Esselunga non è Apple) una famiglia queer con una bambina felice e serena nonostante la separazione dei genitori. Accadrà, sono piuttosto certo che la vedremo in altri spot, ma per il momento viviamo in un contesto sociale ed economico in cui malinconia e una legittima preoccupazione sono più efficaci. È manipolatorio? Non penso forse quella l’intenzione, ma parliamone.
Serenamente.
Che non è un avverbio messo lì a caso, ma vuol dire: parliamone in un contesto diverso da quello dei social. Un contesto in cui è possibile avere opinioni differenti, divergenti. Un contesto e una modalità che preveda arricchimento e confronto, che non sia soltanto una gara a chi ce l’ha più lungo (devo prima o poi trovare un corrispettivo femminile, ma temo sia un problema maschile) o alla ricerca di approvazione sociale. Un contesto infine, dove sono persino ammesse sfumature.
Nel frattempo grazie a Paolo, Osvaldo, Nicolò, Ella e a tutti quelli che non la pensano come me. E a Carlotta Silvestrini che mi ha mandato un messaggio bellissimo per dirmi (è l’unico pezzo che riporto) che “il gusto della bella conversazione si è perso nelle morse degli algoritmi”. E questo a me non piace.
Io sono Cristiano Carriero, storyteller e autore, e questa è L’ho fatto a Posta monday night edition.
Incontriamoci dal vivo
Pisa, 6 ottobre, Internet Festival
Bologna, 7-8 ottobre, hacking creativity unplugged
Milano, 19 ottobre, Smau (parlerò di storydoing)
Bari, 27 e 28 ottobre storytelling festival (ultimi biglietti)
Buon lunedì sera, ci risentiamo in settimana. Nel frattempo, se cerchi altre newsletter molto belle le trovi qui.
Ti abbraccio!
Ciao Cristiano, non riesco a partecipare all’evento ma sarò a Bologna il prossimo weekend, è possibile incontrarsi comunque per due parole?