E ho scritto un romanzo, ma è solo per litigare
È uscito 24 dicembre e questo mi sembra un bel modo per dirti davvero di cosa parla
Questa lettera è una sorta di special edition. Esce a pochi giorni dal Natale e per me è un’occasione per parlare del mio romanzo e della strana sensazione di sentirsi chiamare “scrittore”. Mi piace dire che non sono uno scrittore, un po’ per umiltà, molto per rispetto di chi con questo lavoro - scrivere libri - ci campa, e quindi può definirsi tale. Io, grazie a Dio, vivo di altro. Sono un comunicatore, e mica è detto che le due cose siano così distanti.
In fondo quello che conta davvero è avere qualcosa da dire. O meglio, non solo. Un buon comunicatore deve avere qualcosa da dire e saper scegliere la forma adatta per dirla. E qui il gioco si fa più complicato (aggiungerei che deve saper scegliere il timing, ma poi diventa un corso di storytelling). Non sono riuscito a pensare ad una forma migliore di un romanzo per raccontare l’amore per la mia città. La necessità, direi quasi l’urgenza di scrivere una storia che parlasse di amicizia, di fratellanza e sorellanza, di legami di sangue che a volte sono meno forti e importanti di quelli che ci scegliamo. Di quanto sono brutte le parole “fratellastro” e “sorellastra”, dispregiativi che non aiutano a sentirsi parte della stessa famiglia. Del fatto che a Bari, il 24 dicembre, scoppia sempre un’estate improvvisa e al tempo stesso attesa.
Di Vigilie e sabati del villaggio post moderni, di priscio - una parola che solo a Bari ha una connotazione così forte -, di poliamore. Di paternità, oltre che di maternità. Del desiderio di Alice di sentirsi donna, prima ancora che mamma. Di drammi, di malattie senza un nome preciso, della mancanza di una parola per definire un genitore che perde un figlio. Non c’è, nessuno ha provato a dare un nome a questo dolore.
(minuto 59.50 si parla del romanzo)
Sentivo l’urgenza di parlare di una generazione che ha quasi quarant’anni, di due decadi importantissime per ogni persona: quelle in cui si cerca lavoro, si trova, si perde, si ricomincia. Ci si innamora, ci si sposa o si sceglie di restare liberi (ora scrivono così sulle carte di identità) si fanno figli o si chiamano nipoti quelli dei propri amici. Questa era la mia urgenza, prima l’ho fatto in una forma che la mia amica Alessandra Minervini definirebbe minzione narrativa, poi mi sono messo lì con tecnica e dedizione ed ho trasformato il flusso in una romanzo.
Se hai piacere puoi leggermi in cartaceo o in ebook, il 7 gennaio alle 18 faremo anche un book club per parlarne. Avrei piacere ci fossi, anche se lasci il romanzo a metà: se vuoi iscriviti rispondendo a questa mail. E siccome amo raccontare le storie con media diversi, ho scritto anche una canzone: si chiama, appunto, 24 dicembre.
Ascoltala e fammi sapere cosa ne pensi.
Io, intanto ti auguro buon Natale, anche se mi hanno detto che non si deve dire più e dobbiamo scrivere “Buone festività”. Scegli pure tu la frase che preferisci.
Ti abbraccio.