Il futuro è una responsabilità collettiva
Lettera di Pegah Moshir Pour, dopo l'attacco degli USA all'Iran
Il silenzio non è mai stato neutrale, il silenzio legittima, il silenzio protegge.
Caro Cristiano,
oggi è una domenica d’estate e molte persone sono a mare. Come biasimarvi, forse qualcuno non ha nemmeno letto quello che è successo al mio Paese ieri notte.
Non auguro a nessuno di provare mai quello che stiamo provando noi in questo momento, di avere parenti o amici nel mezzo di un conflitto, di svegliarvi con il terrore di una chiamata che non arriva, di sentirvi impotenti davanti a un dolore che brucia.
Chi può giocare con i propri figli. Chi può dormire sereno. Chi può spegnere il notiziario e tornare alla propria giornata ha un privilegio immenso, e quel privilegio però richiede consapevolezza.
I luoghi della mia infanzia in questo momento stanno tremando. Teheran è sotto attacco e lì ci sono i miei ricordi, lì c’è ancora gente, ci sono persone alle quali voglio bene. E oggi che ho difficoltà a sentirle non c’è internet e i messaggi restano senza risposta da più di 48 ore. La gente non dorme, ha paura anche solo di chiudere gli occhi, e anche io da qui, da lontano, mi sento inutile: quando sento il rumore degli aerei guardo su al cielo, con timore.
Non riesco neanche a usare le lenzuola bianche, perché ogni volta che vedo mio figlio dormire penso ai bambini avvolti nei sudari.
Viviamo con la mente spezzata, siamo in apnea mentre il mondo brucia: troppi restano a guardare comodi, distanti non solo fisicamente come ovvio che sia. Però vi ricordo una cosa: il silenzio non è mai stato neutrale, il silenzio legittima, il silenzio protegge. E domani, quando i vostri figli studieranno queste pagine della storia, vi chiederanno dov’eravate quando il mondo bruciava.
Cosa risponderete? Che era lontano? Che era complicato? Siamo esseri umani prima che bandiere, persone prima che ideologie, e ogni volta che scegliamo il silenzio, stiamo dando spazio alla violenza. Ogni volta che giriamo lo sguardo, rendiamo il dolore degli altri una eco lontana. Ma il futuro, la pace, la salvezza sono una costruzione e una responsabilità collettiva. Quando un Paese brucia o un popolo muore, nessuno dovrebbe dormire tranquillo. Vi chiedo di non essere complici, di sentire, di parlare di scegliere.
Pegah
Dear Cristiano,
I wouldn't wish on anyone what we are feeling right now: to have relatives or friends in the midst of a conflict, to wake up in terror waiting for a call that never comes, to feel powerless in front of a pain that burns.
Those who can play with their children. Those who can sleep peacefully. Those who can turn off the news and return to their day — they hold an immense privilege. But that privilege requires awareness.
The places of my childhood are trembling right now. Tehran is under attack, and my memories are there, there are still people I care about. And today, as I struggle to reach them — there’s no internet, messages have gone unanswered for over 48 hours. People are not sleeping, they are afraid even to close their eyes. And I, from afar, feel useless: when I hear the sound of airplanes, I look up at the sky in fear.
I can’t even use white sheets, because every time I see my son sleeping, I think of children wrapped in shrouds.
We live with broken minds, holding our breath while the world burns: too many are watching comfortably, distant not just in body, as would be expected. But let me remind you of something: silence has never been neutral. Silence legitimizes, silence protects. And tomorrow, when your children study these pages of history, they will ask you where you were when the world was burning.
What will you answer? That it was far away? That it was complicated? We are human beings before we are flags, people before ideologies, and every time we choose silence, we are giving space to violence. Every time we turn away, we make others’ pain a distant echo. But the future, peace, and salvation are a collective responsibility and a shared construction. When a country burns or a people dies, no one should sleep peacefully. I ask you not to be complicit — to feel, to speak, to choose.
Pegah Moshir Pour è una amica e una autrice iraniana. Si è trasferita in Italia con la famiglia quando aveva nove anni. È cresciuta tra le storie del Libro dei Re e i versi della Divina Commedia. Oggi è consulente e attivista per i diritti umani e digitali. Racconta l’Iran su «la Repubblica» ed si distingue come una delle voci più importanti nella battaglia per l’emancipazione delle donne iraniane e non solo. La notte sopra Teheran è il suo romanzo d’esordio, pubblicato da Garzanti nel 2024.
È la prima persona a regalarmi una sua lettera, dopo gli attacchi di ieri degli Stati Uniti all’Iran. Questa è la mia newsletter e, da questa settimana, oltre ad essere uno spazio di approfondimento sul mondo dello storytelling, del marketing e della cultura, diventa il luogo in cui ci scambieremo lettere e corrispondenza.
Hai una lettera da o un messaggio che vuoi condividere? Un messaggio nella bottiglia? Scrivimi la tua storia a cristiano@lacontent.it
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta.