Il marketing sta benissimo, tu?
Dove si parla di pasta in bianco, di special edition di maglie da calcio, di storytelling e hide marketing, dei commercial del Super Bowl e del PED (prendi, e distruggi)
Uno dei piatti più chiacchierati del momento è la pasta in bianco del ristorante 10_11 dell’hotel Portrait di Milano. Premetto che non l’ho mai provata, ma questa notizia - letta su Vanity Fair grazie ad un articolo scritto dalla bravissima Margo Schachter, tra le altre cose nostra docente di food storytelling a La Classe - mi ha incuriosito tantissimo.
La pasta in banco non è, di fatto una ricetta, almeno non lo è mai stata prima che lo chef Alberto Qaudrio la rendesse tale. La mangiano i bambini, e raramente gli adulti. A me è capitato quando ho cercato di fare la pasta aglio, olio e peperoncino per poi scoprire che in casa non avevo né l’aglio, né il peperoncino.
Qui siamo ben oltre l’accontentarsi, però. L’olio non c’è nella ricetta, il burro neanche. E non provate a metterci il formaggio sopra, perché la ricetta segue delle regole molto precise. Le protagoniste sono le croste di parmigiano e i fusilloni di Pietro Massi.
«Ci faccio una specie di risotto, non la cuocio quindi in un’acqua salata, ma in un brodo che facciamo con le croste, come facevano le nonne. Il brodo prima lo filtro, la parte solida la lavoriamo per ottenere la parte croccante del piatto, mentre il brodo viene fatto decantare in modo che la parte solida, quella grassa e quella liquida si separino. Nell’acqua ottenuta cuocio la pasta al dente e poi la manteco con la parte grassa, quasi una panna, al momento».
Ho provato a ripetere la ricetta a casa, ed è stata una debacle totale. Ma non è questo il punto. Il punto è che la pasta in bianca preferita da molti influencer - campagna? trend? - costa 24 euro al piatto. Lo so che state sorridendo, è state pensando che in certe trattorie vicino casa un primo buonissimo e molto più condito lo pagate meno della metà, ma sono convinto che la pasta in bianco continuerà a far parlare di sé, mentre per molti è già diventata la ricetta iconica dell’anno.
È tutto marketing, dirà qualcuno di voi.
Vero, ma perché il marketing deve per forza essere considerato qualcosa di negativo? Mi capita spesso di dover ribattere, di dover trovare una risposta a questa frase. La colpa è anche di chi il marketing l’ha usato in maniera scorretta, di chi ha reso popolari frasi come vendere il ghiaccio agli eschimesi, di chi ha una concezione molto aggressiva di una materia che di per sé è bellissima. L’obiettivo di ogni azienda è vendere un servizio, e a vendere non c’è nulla di male. Così come non c’è nulla di male a cercare un pubblico, a decidere un prezzo che sarà accettato o meno dal mercato e servirà anche a posizionare un determinato prodotto, a pensare come diffonderlo, a come renderlo notiziabile. È qui la piccola lezione che ci portiamo a casa: la pasta in bianco, di per sé non avrebbe nulla di notiziabile. È l’anti-storytelling per eccellenza, un piatto privo di ingredienti. Eppure qui diventa eccellenza, esaltazione di pochi ingredienti, racconto.
Fenomenologia della maglie da calcio
Quando un simbolo, il trenino di Miguel Angel Guerrero Paz (che in realtà, citando Antonio Spera fu "più volte vagone che capotreno"), si trasforma in icona, succede che diventa maglia da calcio grazie al featuring tra Robe di Kappa e LC23.
La SSC Bari ha lanciato una nuova special edition, puntando su un'esultanza storica imitata in molti campetti di provincia, a costo di sbucciarsi le ginocchia su certi terreni. Un'esultanza finita anche in un film dei Vanzina.
Le maglie da calcio sono un mercato interessantissimo: da un lato ci sono i tradizionalisti, quelli che chiedono a gran voce che la tradizione non venga mai toccata, dall’altra i collezionisti che amano queste iniziative, le seconde e terze maglie che sono spesso terreno di sperimentazione ardita, le edizioni speciali come quella realizzata dal Bologna con Macron con Elisabetta Franchi o quella del Napoli con Marcel Burlon. Sempre di più calcio e lifestyle vanno a braccetto con l’intenzione di far diventare le divise da gioco dei veri e propri capi di streetwear. Se la tradizione è rappresentata al meglio da Real Madrid che tende a non sporcare mai la camiseta blanca, la sperimentazione ardita è il campo preferito del Napoli - stessa proprietà del Bari - che lancia dalle 10 alle 12 maglie a stagione.
Edizioni limitate di cattivo gusto, quindi paradossalmente oggetti artistici e desiderati. O forse, come diceva Nicolás Gómez Dávila, di questi tempi la bruttezza di un oggetto è il segreto del suo moltiplicarsi su scala industriale.
Negli ultimi decenni la maglia da calcio - spiega Patrizio Altieri, founder di Goallactions, solo la maglia - è diventata molto più di un indumento ufficiale: piuttosto, è identità, appartenenza. Ancora, espressione del desiderio di esibire sé stessi e i propri sentimenti attraverso qualcosa di tangibile. Oggi, con l'evoluzione dei modelli di consumo e il passaggio dall'off-line al digitale, le maglie da calcio passano dagli armadi alle bacheche online, e dalle bacheche online a nuovi armadi: il collezionismo di maglie da calcio, così, è il nuovo trend della cultura pop.
Siccome quello delle maglie da calcio è un mercato che amo, ho deciso di investirci. ma di Goallactions vi racconterò un’altra volta. Vi dovevo una immagine del mio trenino preferito.
Il Superbowl è il Sanremo di quelli là
Dopo aver detto per una settimana che Sanremo è il nostro Superbowl, sono usciti i commercial ufficiali, quelli da 7 milioni di dollari l’uno (per 30 secondi). La curiosità è che, a causa della crisi economica, si è fatta fatica a chiudere la raccolta anche a causa della scomparsa degli inserzionisti del comparto crypto che negli ultimi anni erano stati protagonisti. Vado subito con la mia preferita, quella di PopCorners, chiamata Breaking Good.
Presente tutto il cast di Breaking Bad: Walter White (Bryan Cranston), Aaron Paul (Jesse Pinkman) e Tuco Salamanca (Raymond Cruz).
Interessante anche Rockstars di Workday con Ozzy Osbourne, Billy Idol, Paul Stanley, Joan Jett e Gary Clark Jr.
Mentre la più divertente è Best of us di Pringles che gioca sull’idea di rimanere incastrati nel tubo di Pringles.
Ce ne sono tante altre bellissime, vi rimando alla playlist realizzata da Mizio Ratti, uno che di spot se ne intende (seguitela e seguite la sua newsletter).
L'arte di cambiare: come raggiungere i tuoi obiettivi
Raggiungere i tuoi obiettivi non è sempre facile. A volte ti scontri con la pigrizia, in altri casi è la dimenticanza a frenare i tuoi progressi. Spesso procrastini contro il tuo interesse e la mancanza di fiducia in te stessa mina le tue capacità di resistere alle difficoltà.
Per ognuno di questi problemi esistono metodi e tecniche che possono aiutarti ad aumentare la tua consapevolezza e nel rendere più semplice il cambiamento di cui hai bisogno. L'impegno deve essere costante, ma anche su questo puoi lavorarci.
Il workshop (gratuito) ti fornirà alcuni strumenti pratici, da adottare da subito nella tua vita.
Sei pronta/o a cambiare?
Riflessioni che mi sono piaciute e che forse ti sei perso/a
Tornando a Sanremo, ho trovato molto interessante questa riflessione di Gaetano Contento, CEO di Never Before Italia, su un fenomeno come l’Hide marketing.
Il Festival di Sanremo 2023 ci ha regalato una panoramica sul futuro del marketing e della pubblicità, e in particolare sulla diffusione dell'Hide Marketing, una nuova formula occulta che sta rivoluzionando il mondo della comunicazione. Si tratta di una strategia che permette alle aziende (e a chi fa personal branding) di far passare il proprio messaggio pubblicitario in modo subliminale, senza violare le regole sulle operazioni di affollamento pubblicitario che è diventato dal 2022 più stringente (limite per ora del 6% - fascia 18:00-24:00).
Il caso di Poltrone e Sofà è stato uno dei più interessanti: durante le serate del Festival, il brand è stato citato più volte senza essere nominato direttamente (v. “artigiani della qualità”) in un'operazione molto astuta per far passare il messaggio senza violare le regole dei messaggi promozionali. Anche il conduttore Amadeus ha saputo sfruttare la sua popolarità, aprendo un profilo Instagram che in poco tempo ha raggiunto quasi due milioni di follower e che rappresenta una bella pubblicità gratuita per il social network di Zuckerberg e anche un bel guadagno per il conduttore (gli account che superano un milione di follower possono generare fino a 50mila euro al mese, moltiplicate per 12 e il conto è fatto).
Trovate il resto qui, nel suo articolo.
Altre cose belle che mi sento di condividere
Questo post di Elisa Maliza, Digital Communication Strategist, dedicato al PED - sempre più sinonimo di “prendi e distruggi” pubblicato su Linkedin:
Il ped da 2 post a settimana+2 stories, mirroring su Facebook, Instagram (a volte anche Twitter) è morto da un pezzo. Anche l'estetica curata un tempo fondamentale su IG sta perdendo terreno. TikTok non è più un'opzione di nicchia e molti brand possono sfruttarlo pienamente (food, beauty e moda per dire solo i più evidenti). Il social media management è sempre più strategico e forse sempre meno operativo, orientato alla scoperta di content creator di talento, in linea con i brand che segue, a cui dovrà fornire una strategia, uno script da seguire che metta in risalto l'azienda e, allo stesso tempo, conservi il tone of voice del creator. Spero ci sia spazio per questa crescita perché sarebbe tutto più dinamico. E pure più divertente.
Questa riflessione di Silvia Schiavo, consulente di Scuola Holden, sullo storytelling:
Negli ultimi anni, i ricercatori hanno scoperto che le storie che contengono messaggi espliciti sono meno persuasive di quelle nelle quali i messaggi sono impliciti e indiretti. Come lo studioso di comunicazione Michael Dahlstrom ha scritto nei Proceedings of the National Academy of Sciences:
«Uno dei pochi fattori che è risultato essere d’ostacolo alla persuasione narrativa si verifica quando l’intento persuasivo diventa ovvio e il pubblico reagisce contro la manipolazione »
Jonathan Gottschall, Il lato oscuro delle storie. Come lo storytelling cementa le società e talvolta le distrugge, Bollati Boringhieri. Ecco perché il corporate storytelling ben fatto è un’eccezione: l’ansia di mettere il prodotto o il servizio o il brand in primo piano e di esplicitare il messaggio appiattiscono la narrazione e creano diffidenza e disamore nel pubblico. Vale anche per tanta pubblicità.
Ecco perché ha senso imparare a raccontare, anche al lavoro.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta. Oggi pomeriggio sarò impegnato al TedX di Rovigo con uno speech sulla Post Social Media Era. Se sei curiosa/o di sapere come si scrive un discorso per il Ted, ti rimando a questa bella conversazione fatta su La Circle (ti chiederà di iscriverti ma è free e ne vale la pena). Poi la settimana prossima sarò a Laconi (Oristano) per Once Upon a Place, un evento con focus sulla narrazione del territorio, e infine al Carnevale di Larino (cliente La Content), in Molise.
Roba che Dubai scansate proprio.
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