Il prezzo del (finto) sold out
Dove si parla di stadi che non si riempiono ed eventi da riconsiderare.
«Si torna a casa tutti un po’ più felici dopo un concerto di Max Pezzali».
Qualche giorno fa Tiromancino (Federico Zampaglione) ha pubblicato un post nel quale scoperchia un vaso di Pandora: quello dei cantanti che fanno il grande il salto, i tour negli stadi. Concerti che spesso, per molti di loro, si rivelano una illusione, prima, e un flop poi.
Davanti a questo dato di fatto ci si muove in due modi: si annulla e si fa una brutta figura - sempre perché in questa società dire "non siamo riusciti a riempire uno stadio, abbiamo fatto un passo più lungo della gamba" non è accettabile - oppure si prova in tutti i modi a riempire almeno la curva con biglietti gratuiti, offerte speciali, sconti di ogni tipo. In questo modo l'immagine è salva, ma si accumula un debito, spesso sostenuto dal/ dalla cantante stesso, raramente dal management.
Questa dinamica mi ha fatto venire in mente il mondo degli eventi di marketing e comunicazione (e non solo). Ogni brand, ammesso che tutti possano considerarsi un brand, punta a fare eventi sempre più grandi ma non tutti ci riescono, semplicemente perché non hanno un marchio e una community in grado di spostare migliaia di persone. E allora si affittano location enormi, si chiamano speaker con nomi altisonanti e cachet costosissimi, ma presto ci si accorge che la ricetta non è valida per tutti, e che le persone non si spostano solo per un bravo o una brava speaker e non acquistano un biglietto perché abbiamo molti follower su Instagram. D’altronde la messa in liquidazione di Freeda - ne ha parlato in maniera molto puntuale Alessia Camera - vorrà pur dire qualcosa. E così, anche in questo caso, si tende a regalare biglietti per non fare brutta figura. Sia mai vedere foto di una sala mezza vuota.
Fan non equivale a vendita
Scrive Federica Mori di Libri di Marketing, una community che con pazienza, dedizione e lavoro, si è conquistata un ruolo nel mondo degli eventi (compreso il nostro, Storytelling Festival). Lo diciamo sempre ai clienti dell’inutilità di like e follower. Nel mondo del Digital e degli eventi, Community non equivale a persone che ti seguono davvero o sono disposti a spendere 50/10/150€ per il tuo evento. Lo vedo tutti i giorni. Ed è sempre peggio. Si punta a far vedere quanto si è diventati grandi e fighi, a sparare numeri faraonici senza dire davvero quanti di quei partecipanti sono paganti. E te lo dice una che ha sempre biglietti gratis quasi ovunque, per me e per il mio team. E da qui capisco spesso tante cose: quando mi regalano 5/10/15 biglietti, spesso senza nemmeno chiedere quante persone davvero mi porterò, so che quei 5/10/15 biglietti serviranno solo per il famoso comunicato stampa di chiusura dell’evento. Sto per dire una cosa impopolare e fraintendibile ma la dico lo stesso: piccolo è bello. Rivalutiamo il piccolo, quello che permette davvero di relazionarci con le persone, e di capire la nostra dimensione.
Quanti eventi di formazione ci sono oggi in Italia?
Tra piccoli e grandi parliamo di quasi 500 eventi, senza contare i webinar online, i workshop organizzati dalle associazioni, le iniziative di singoli che oggi aggregano più pubblico di brand che hanno costruito la loro reputazione nel tempo. Un esempio? Andrea Girolami, autore di Scrolling Infinito, con le sue Creator Masterclass sta costruendo una community sempre più fedele. Questo grazie a contenuti originali, la capacità di aggregare e intervistare creator di altissimo livello, costanza e la giusta percezione della differenza tra online e offline.
Il fatto di avere 15.000 iscritti a Substack - è un numero molto alto - non lo ha condizionato quando ha iniziato a fare eventi gratuiti (nel suo caso si tratta di una scelta precisa) per un numero limitato di persone. Ma sono sicuro che presto Andrea farà un evento per il quale compreranno un biglietto almeno 500 persone. E se non ci pensa lui, glielo propongo io. E comunque ci ha confermato che torna anche a Storytelling Festival e ne siamo molto felici.
Il successo del Festival di Digital Journalism di Francesco Oggiano è un altro indicatore. Tra gli eventi di “comunicazione” che hanno ottenuto più eco nell’ultimo anno ce n’è uno che, solo un anno fa, non esisteva.
Una volta che inizi a firmare i primi contratti con i fornitori, a prendere impegni di spesa per me vertiginosi e annunciare il Festival, non puoi tornare indietro. E purtroppo non funziona che prima trovi i soldi e poi organizzi e annunci l’evento. I due treni corrono paralleli, e quasi sempre a essere avanti è il secondo (Francesco Oggiano)
Oggiano sapeva di poter contare su una community molto fedele e su rapporti consolidati con tutti gli speaker. Anche in questo caso, il sold out non è una naturale conseguenza, ma il compimento di un percorso che passa per la scelta di un posizionamento, di un prezzo e di un timing. E, ovviamente, di una location. La cosa più difficile da comprendere è la fatidica domanda: cosa spinge le persone a prendersi un weekend, fare un viaggio, spendere soldi per l’accomodation, acquistare biglietti aerei e, infine, il ticket dell’evento? La logica, è esattamente la stessa di un concerto.
Nessun cantante oggi - forse solo Vasco - può limitarsi alle canzoni. Serve pensare ad uno spettacolo che deve essere disegnato sulle aspettative del pubblico. Una decina di anni fa - mi piace raccontare questa storia - sono stato ad un concerto di Max Pezzali in un Palazzetto, ad Ancona. Eravamo pochissimi, Max presentava un nuovo album ma quello spettacolo non aveva anima. Tornai a casa pensando che non sarei stato mai più ad un suo concerto e che l’epoca degli 883 era finita. Dieci anni dopo Max ha fatto tre sold out di fila a San Siro e io sono tornato con tutti i miei amici a cantare a squarciagola, come non succedeva da un pacco di tempo.
Come mai? (questa era facile, vabbè): Max ha ricreato - probabilmente pensando all’amico Fiorello - il più grande e coinvolgente karaoke d’Italia.
Eviterò di citare i miei eventi, non è questa la sede. Quindi non ti racconterò la genesi di Storytelling Festival, né parlerò di ABCD che è un’idea di Nicolò Andreula che ho avuto il piacere di supportare in questi anni. Parliamo piuttosto di cosa ha portato Offline di Learnn in pochi anni ha diventare un punto di riferimento e ad aggregare oltre 2000 persone, Marketers World, WMF di cui ho parlato la settimana scorsa, gli eventi di Performance Strategies, azienda per la quale ho avuto il piacere di lavorare e che continua a crescere con una lungimiranza di scelte che posso solo applaudire, compresa l’ultima di assumere come General Manager di ROI comunicazione Andrea Fontana, mio maestro di Storytelling. Sono concept molto diversi, ma ben definiti.
Eventi dove sai già chi incontrerai, e questo non è un aspetto da sottovalutare, anzi è un altro elemento che li accomuna ai concerti: vado a sentire gli 883 perché so che incontrerò i nostalgici e potrò cantarci assieme.
In un panorama che ci vuole sempre più performanti, capire qual è la nostra vera dimensione è la cosa più complicata e al tempo stesso sana del mondo. Comprendere quando investire, quando alzare il tiro, quando fare lo step successivo è una questione di branding e percezione. Serve tanto lavoro e tanta consapevolezza per non ritrovarsi a dover riempire gli stadi (e le location) con gli omaggi. Ma soprattutto per non andare in perdita o ritrovarsi a dover annullare tutto. Che poi, detto tra noi, non c’è nulla di male a dire che una cosa non è andata come ci aspettavamo: liberiamoci da questo stigma, please.
Io sono Cristiano Carriero, ideatore di Storytelling Festival, autore e speaker, e questa è L’ho fatto a Posta. Organizzo eventi e anche se non sempre facciamo sold out, vengono discretamente bene. Ma oggi, ho promesso di non parlare di me. In compenso - siccome inizio a sentire il friccicorio dell’estate e del ritorno a casa - ti regalo due storie ambientate in Puglia:
Il paese che fu di mio padre
Un suono ancestrale. Mia zia che cucina il ragù, io e le mie cugine che giochiamo in strada. La controra. La possibilità di guardare da dentro ciò che succede fuori, le vite degli altri. I volti conosciuti, i passanti, i “forestieri”. Perché allora i turisti mica esistevano, e i viaggiatori non passavano da qui neanche per sbaglio. O eri di qui o eri un forestiero. Sono tornato a San Vito dei Normanni per un progetto inaspettato di marketing territoriale. Tra tanti paesi, proprio quello in cui è nato mio padre. Un’occasione per guardare questo luogo con occhi diversi, autentici. Dovrò essere abile ad osservare attraverso le fessure di quelle rezze, a cogliere le storie che passano (e che restano) da qui. La sua, intanto, mi è più chiara: “Tuo padre era un benefattore, sai quante famiglie dovrebbero fargli una statua?” mi dice oggi una persona, e non una a caso. Io abbozzo, non mi sembra vero che qualcuno lo ricordi davvero come potrei farlo io. Ma questo paese è memoria, e la memoria non si perde. Io vado a regolare il mio conto in sospeso, vado a raccontare il paese a me più caro.
Speziale - Chicago solo andata
Ero arrivato in anticipo, di almeno un’ora. Aveva smesso di piovere ma dal colore del cielo si intuiva che era solo una tregua. Ho guidato tenendo al minimo i giri, come si fa quando non si ha troppa voglia di arrivare. Io l’ho fatto per entrare nel mio passato in punta di piedi. Mi sono guardato intorno, all’entrata del paese, ritrovando case che già conoscevo. Scoprendole cambiate, leggendo il passaggio del tempo come fosse il volto di qualcuno ritrovato dopo tanti anni. Ho osservato i passanti, cercando di ricordare se li conoscevo. Ho lasciato la macchina sulla strada principale, l’unica del paese. Quella dove si svolge la vita, per tre mesi all’anno. Da piccoli, qui, giocavamo a pallone. Oggi è il luogo preferito dai turisti di passaggio. Si fermano in salumeria a comprare la mozzarella affumicata, si siedono fuori a mangiare un panino su sedie di plastica. Di fronte, c’è la vecchia trattoria “Il cortiletto”, poco più avanti il vecchio Tony Bar, il posto dove quando ero piccolo andavo a mangiare i panzerotti. Fritti cazzo. Fritti. Non al forno.
Entro nel bar, c’è una donna che sta leggendo il giornale. Ha il grembiule bianco. L’arredamento del bar non è cambiato così tanto e l’effetto di essere tornato indietro nel tempo mi toglie un po’ il fiato. Questa è casa mia, ma non mi sono mai sentito così sospeso. Sospeso è la parola giusta, perché non trovo le parole per salutarla, per ricordarle chi sono, chi eravamo.
Mi guarda, e abbassa gli occhi.
“Buongiorno” dice la donna.
“Buongiorno” le dico. “Si può avere un caffè?”
Cerco di dirle qualcosa mentre verso una bustina di zucchero e giro il cucchiaino nella tazzina del caffè. Non trovo niente, solo un sospiro che diventa un sorriso a labbra strette, una richiesta di aiuto.
“Quanti anni sono passati”, mi chiede a bruciapelo.
“Credo quindici. Forse qualcosa di più, Marta”.
“Già, quindici anni. Mamma mia. Qui è cambiato tutto, hai visto? Ti ricordi quelle serate d’estate, che non sapevamo cosa fare, e passavamo la notte a chiacchierare e a fare quel gioco…?”
“Mi ricordo benissimo. Dovevamo indovinare le canzoni che la passavano alla radio. Cinque stazioni a testa”.
“Già, cinque stazioni a testa. Le hit valevano un punto, più si andava indietro nel tempo, più i punti aumentavano”
“E Radio Maria non valeva” diciamo in contemporanea. Ridiamo. Poi ci vergogniamo.
E abbassiamo la testa, per pudore del tempo passato.
“Ma insomma, dove sei finito? Hai visto quanta gente passa da qui adesso?”
“Sei contenta?”
“Per gli affari è una bella cosa. Anche se io non sono la titolare. Per me è cambiato poco”
“Io sono venuto a vendere casa”
“Ah, allora non torni”
“No, non torno”
Marta annuisce.
“Prendi il caffè, dai”
Si volta dall’altra parte e sistema qualche bottiglia. Poi torna in cucina.
È ancora presto, ci sono un paio di famiglie in giro. Quelle che vanno al mare quando il sole è ancora basso, per paura che i figli piccoli si ustionino o muoiano di fame a mezzogiorno.
“E perché vendi casa?” Mi chiede Marta mentre prepara i panini.
Non le rispondo, mi limito ad una smorfia, vedendola tornare. Un movimento della spalle che le fa capire che posso poco, di fronte alla distanza. Che i turisti sono una bella cosa, ma io quel sogno di aprire un bed & breakfast in Valle d’Itria non ce l’ho mai avuto, né ho la capacità di gestirlo. Che non c’è posto nella mia vita per un piano B, e che non ho intenzione di tornare qui a 40 anni. Perché in fondo un ritorno non è mica un’impresa da niente (…)
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Voi fareste giocare con voi una donna?
Nemmeno il modello linguistico più evoluto al mondo sarebbe stato in grado di concepire la Juventus che visita la stanza ovale mentre Trump dichiara guerra all'Iran e al Medio Oriente tutto.
Viviamo in un'epoca dove la realtà supera di gran lunga la finzione.
La cosa più imbarazzante sono le facce dei giocatori dietro il Presidente Trump. Poteva esimersi la Juventus? Forse no, visto che Elkan è proprietario di uno dei gruppi automobilistici più importanti al mondo (a cui appartiene forse il terzo o quarto produttore automotive USA). Potevano esimersi i giocatori? La risposta ha un nome, Colin Kaepernick.
Chiedete a lui se sarebbe andato a trovare Donald Trump.
Mens sana
“Ci sono state giornate in cui ho avuto mille cose da fare e non mi è pesato, e giornate scariche in cui mi è pesato fare ogni cosa. Non è un tema di tempo, ma di energia”.
Grazie a Martina Giacomelli per questo bellissimo podcast in cui ho potuto parlare di benessere in un momento in cui sono affaticato (e non mi vergogno a dirlo).
Ho provato anche a spiegare quanto sono importanti per me gli stimoli “a lungo termine”.
In chiusura, alcuni appuntamenti:
Venerdì 27 e lunedi 30 giugno dalle 19 alle 21 sarò a GalaDigiTalks a Galatina (Lecce) per approfondire e discutere di due temi fondamentali: il futuro del lavoro e il futuro del turismo. Con me ci saranno, tra gli altri, - Nicolò Andreula, Giulio Xhaet, Leonne Kaldenbach, Emma Taveri, Manuela Vitulli, Francesca Margarito, Francesco Pio Fiorito, Sara Falangone, Ilaria Carofiglio, Grazia Cinieri.
Il 9 luglio presento Presenza all’Informagiovani di Ancona, alle 18.30
Il 18 luglio lo presento a Trani (location da definire)
Stiamo definendo una serie di date in Sardegna con l’amico Maurizio Orgiana, che mi ha promesso di esportare Storytelling Festival a Cagliari, nel 2026.
ps: se vuoi portare Storytelling Festival nella tua città scrivimi!
That’s all, folks.