Imparare a essere radicalmente sinceri
Dove si parla del potere del feedback, del rischio di creare ambienti di lavoro positivi e privi di stress in cui non si cresce e dell'importanza di non confondere lo storytelling con la fiction.
«Per ogni lavoro mediocre che diamo per buono e per ogni scadenza non rispettata su cui chiudiamo un occhio, iniziamo gradualmente a provare un certo risentimento, che poi si trasforma in autentica rabbia. A essere mediocre non è solo il lavoro svolto; lo diventa anche chi ne è responsabile».
Te lo dico subito: questa non è una newsletter, è qualcosa di molto più simile a una confessione.
Sono stato un dipendente, ho avuto molti capi e ne ho parlato in un numero dedicato. Come succede a tanti, anche a me è capitato di avere capi terribili, persone convinte che umiliare la gente fosse un buon modo per motivarla. Per anni ho cercato di prendere il meglio da loro, anche quando questo meglio non c’era. Eppure, nella mia testa risuonava sempre una promessa: “Se un giorno avrò una mia impresa, non sarò come loro”. Forse è stato proprio grazie a – o a causa di – questa esperienza che ho deciso di aprire una mia azienda. Il mio obiettivo era creare un ambiente in cui i dipendenti e i collaboratori potessero amare il loro lavoro e gli altri. Credo di esserci riuscito ma, negli ultimi tempi, mi sono reso conto che tutto questo non è sufficiente per creare un’impresa che cresca e migliori.
Don’t be silent
Sono riuscito, sì, a evitare gli errori di alcuni miei capi – non era così difficile, d’altronde – ma ne ho commessi molti altri. Nel tentativo di creare un ambiente positivo e privo di stress, mi sono trovato a eludere la parte difficile, ma necessaria, di ogni incarico manageriale: comunicare ai collaboratori, in modo chiaro e diretto, tutti quei casi in cui il loro lavoro non era qualitativamente sufficiente.
Questa settimana, grazie al consiglio dell’amico Luca Conti, ho scoperto questo libro, s’intitola Sincerità radicale. Parla dell’importanza di dare e di ricevere feedback e, più in generale, di costruire una cultura basata su quelli radicalmente sinceri. I feedback, infatti, sono un dono, non un bastone né una carota. Mi ci è voluto del tempo per capire che a volte l’unico aiuto che avrei dovuto offrire era, semplicemente, la possibilità di parlare.
Le critiche non dette esplodono come una bomba sporca
«Come avviene nella sfera privata, rimanere in silenzio al lavoro per troppo tempo su qualcosa che vi fa arrabbiare o vi crea frustrazione rischia di far esplodere la questione. Sembrerete, allora, individui completamente irrazionali, e metterete a repentaglio il vostro rapporto con i colleghi. Non deve succedere. A meno che non siate proprio infuriati, dite subito quello che pensate».
Lavorare da remoto è molto complesso.
Chi mi conosce sa che sono un fautore e un sostenitore dello smart working dal primo giorno, anzi ne ero stato in parte un precursore (rispetto a quanto si è verificato nel 2020), visto che uno dei miei libri di maggiore insuccesso s’intitola Mobile working ed è uscito nel 2015, quando già la parola “smart” sarebbe stata avanguardia pura.
Ma.
Perché c’è un ma:
se lavori da remoto o se devi gestire persone che lavorano in altri uffici, è molto importante che le tue interazioni siano rapide e frequenti. Questo ti permetterà di cogliere ogni tipo di segnale emotivo, anche i più sottili. Con Isabella, per esempio, mi sento tutti i giorni, anche solo per cinque minuti. Posso dire di riuscire a interpretare perfettamente ogni suo segnale emotivo, fosse anche un messaggio o una Story su Instagram. La verità è che gestire tante persone che non sono nella stessa stanza è tremendamente difficile, implica impegno, oltre alla necessità di adattarsi alle singole preferenze individuali.
Studio disperatissimo (ma content)
L’estate di eventi si aprirà con la nostra Content Fest. Il programma diventa ogni giorno più ricco, ma non tratteremo solo i temi del digital. Sono sempre più convinto che, per stare sul mercato, oltre alle competenze occorra un vero e proprio kit di Smart Thinking. Parliamo di self-help, di scienza, di psicologia, di business, di tecnologia e di umanesimo, con un pensiero costantemente rivolto al futuro e all’innovazione. Lo so che a volte è più semplice pensare che basti un corso online per diventare esperti di marketing e di digitale. Ma cosa abbiamo detto della sincerità finora? Non c’è bisogno di illudere nessuno: la verità è che non è così, un corso fatto da casa non è sufficiente.
La Content Fest è un viaggio
È un modo per aprirsi, per respirare a pieni polmoni, per prendere il sole in faccia e per farsi domande sul presente, prima ancora che sul futuro. Con Erika D’Amico ed Emanuela Ciuffoli avrai l’occasione di parlare di brand in un corso di cucina; con Francesca Marchegiano affronterai il tema dell’ecologia narrativa. Yari Brugnoni ti spiegherà Instagram come non te lo hanno mai raccontato e Davide Bertozzi ti svelerà il potere della scrittura creativa. Io e Natalia Pazzaglia ti spiegheremo come la scrittura può aiutare a superare il dolore, Nicolò Andreula ti porterà alla scoperta del futuro sostenibile, da Tinder a Greta Thunberg.
E tutto in riva al mare (o a bordo piscina), con l’opportunità di dare e di ricevere feedback molto più serenamente. Tanto che alcune aziende come Enel, Shampora e Hoepli ci hanno scelto per i loro team building (a proposito, se questa ipotesi ti stuzzica, chiamami adesso mentre leggi, 3386287834). Fossi in te, un pensierino ce lo farei. C’è ancora posto e possiamo mettere ancora a punto offerte personalizzate. Ah, ci sono anche i transfer da Lamezia e da Bari, per cui non hai scuse.
Estate caldissima
A giugno sarò speaker al Web Marketing Festival, dove parlerò di newsletter: il mio intervento si chiamerà Meno news, più letter e parlerò della forza di questo strumento, che amo (se non si fosse ancora capito).
Anzi, se tu mi rispondessi a questa lettera, mi daresti una mano a preparare un grande speech! Che dici, ti va? Puoi anche darmi un feedback. Che sia sincero e radicale, ti prego!
Infine, farò parte dei docenti di Treccani Futura, con un modulo sullo storytelling, e anche questo è un bel motivo di soddisfazione visto che inizia a essere percepito come materia di divulgazione e non come decorazione (stucchevole) fine a se stessa. Secondo me, in tanti sono vittime di un grande fraintendimento. Mi capita di percepirlo quando qualcuno mi dice: «Ah, fai storytelling? Allora ti racconto la mia storia». O quando automaticamente parte l’affermazione: «Ah, se ti dicessi la mia storia, potrei scrivere un libro...».
SPOILER sincero: non fregherebbe nulla a nessuno.
Lo storytelling è realtà
Il grande equivoco è quello di aver immaginato lo storytelling come una fiction, qualcosa di “abbastanza brillante” che vai ad appoggiare su un fatto per renderlo più attraente. Ma non è il semplice “C’era una volta”: è la capacità di bilanciare i fatti con le storie.
Immagina due sfere: quella dei fatti e quella delle storie. Chi sta esageratamente in una delle due, non ottiene i risultati sperati. Questo accade soprattutto quando parliamo a nome di un brand. Prova a scrivere una newsletter e dimentica i fatti, il perché, l’obiettivo. Che cosa resta? Una bella storia che nessuno leggerà, perché per leggere o vedere una bella storia abbiamo centomila possibilità tra libri, audio, serie TV. E la stessa cosa accade quando scrivi un post sui Social, un piano editoriale, persino un’email. Soprattutto un’email, direi.
Non è questo lo storyelling. Ripartiamo dalla definizione di Alessandro Baricco:
«Prendi la realtà, sfila via i fatti e tutto ciò che resta è storytelling».
Il nostro obiettivo è raccontare la realtà. Che poi questa possa essere emozionante, entusiasmante, prorompente, disarmante è un altro paio di maniche.
Esercitati a bilanciare i fatti con lo storytelling per ottenere la realtà. Niente di quello che è reale – prendi un qualunque prodotto, servizio, brand – è privo di storytelling. Il resto è esercizio di stile, fiction, storytelling narrativo.
Ingredienti:
1 prodotto/servizio;
3 fatti;
2 storie;
1 esempio;
1 aneddoto.
E con questa ricetta, chiudiamo. Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta. Se ti piace questa newsletter, ti chiedo di condividerla. Se non ti piace, dammi un feedback.
Facciamo così, dammelo lo stesso. Ci tengo.
Buon fine settimana!