Interessante è una parola comoda
Metaverso, disagio produttivo, problem solving e la cultura influenzata dalle piattaforme di streaming.
In questi giorni si parla molto di Metaverso. O meglio, molti ne parlano e pochi hanno capito davvero che tipo di esperienza sarà. Quando me lo chiedono, faccio sempre lo stesso esempio:
“Hai presente le call che oggi fai su Zoom?”.
“Be’, sì”.
“Domani potrai farle in una sala riunioni virtuale, seduti allo stesso tavolo. Basterà indossare un paio di occhiali, o qualcosa del genere”.
“Uhm. Eccitante. E non bastava la call?”.
In effetti, credo di essere stato riduttivo nella mia spiegazione. Il secondo esempio che mi viene è quello dell’asta del Fantacalcio, il terzo una pizza virtuale con gli amici. Però ecco, non è che la cosa mi smuova proprio l’anima. In compenso il fine – cito le parole di Mark Zuckerberg – mi sembra nobile:
In questo futuro, potrai teletrasportarti istantaneamente come ologramma per essere in ufficio senza essere pendolare, a un concerto con gli amici o nel salotto dei tuoi genitori per raggiungerli. Questo ti aprirà più opportunità, ovunque tu viva. Potrai dedicare più tempo a ciò che conta per te, abbattere i momenti nel traffico e ridurre la tua impronta di carbonio. Qui non si tratta di passare più tempo sugli schermi; si tratta di rendere migliore il tempo che già trascorriamo.
Se posso essere sincero, la comunicazione mi sembra più interessante del prodotto.
Chiedo venia, ho usato una parola comoda: interessante.
Distanti dalle parole, usiamo la stessa per tutto, buttiamo emozioni diverse sotto lo stesso ombrello perché è più semplice aggregare che distinguere. Fateci caso a quante volte usiamo "interessante", fate caso al perché, guardate il contesto: è parola comoda, non impegna, tira dritto verso il disimpegno emotivo, disinnesca il dialogo. Forse è per questo che la usiamo. Da quella sera – dopo aver visto Captain Fantastic – ci faccio caso. Ho imparato a rimandarla indietro ogni volta che si butta in acqua per prima e, un po' alla volta, sto insegnando alle altre a nuotare.
Stefania Zolotti
Netflix e Amazon influenzano la cultura?
In settimana, due articoli hanno attirato la mia attenzione. Il primo è Come i criteri di Netflix influenzano i nostri gusti: a delineare i generi (musicali o cinematografici), fino a cinquant’anni fa, contribuivano – a parte i media tradizionali di settore, le radio e la critica – le esperienze delle persone nella condivisione tra amici e/o la ricerca attraverso i diversi scaffali nei negozi di dischi o nelle videoteche. L’uso di quei generi, pur tra molti limiti e frequenti forzature, era parte di più estese pratiche sociali. Nella musica, nell’arte e in molti altri ambiti, le nostre preferenze sono in gran parte il risultato della cultura in cui siamo cresciuti: una moltitudine di persone intorno a noi che ci dicono cosa è bello. È come se le piattaforme di streaming si sforzassero invece di far finta che i gusti non siano un fenomeno profondamente sociale. Le loro raccomandazioni algoritmiche sembrano avere un effetto di “appiattimento e standardizzazione”, ancor più pronunciato quando la natura profondamente sociale dei gusti è ridotta al minimo e il contenuto è decontestualizzato.
Il secondo articolo che ti segnalo richiede uno sforzo in più perché è in inglese, ma affronta, di fatto, lo stesso tema. Il titolo è Is Amazon Changing the Novel?
Niente esclude che la classificazione culturale delle piattaforme di streaming o di acquisto di libri – come Amazon, appunto – possa tenerci lontano da determinate categorie o voci, limitando di fatto la nostra esperienza e modellando la cultura popolare in funzione di particolari necessità.
Nel nuovo paesaggio letterario, i lettori sono clienti, gli scrittori sono fornitori di servizi e ci si aspetta che i libri offrano una gratificazione immediata.
Il disagio produttivo
Riprendendola da Vaughn Tan, ti propongo un’idea stimolante su cui lavorare.
La vita e il lavoro non vanno sempre come vogliamo. Ci troviamo ad affrontare momenti di disagio, inevitabili, e con il tempo tendiamo a evitarli. Ci abituiamo a scegliere la via più breve, meno impegnativa e più remunerativa. Quando ci troviamo di nuovo ad affrontare una strada impervia, tendiamo a scoraggiarci, a fare più fatica (sul piano psicologico): non siamo più abituati.
Come risolvere questo problema?
Una soluzione è cercare il disagio volontariamente, non per soffrire, ma per aumentare di proposito il livello di difficoltà della nostra vita quotidiana. Un po’ come giocare a un videogame a un livello più avanzato, perché il livello base è troppo facile per noi. Tan lo chiama disagio produttivo e ha pensato di creare un mazzo di carte composto da azioni da mettere in pratica, una al giorno, ripetendole nel tempo.
In questo modo ti abitui a non associare il disagio a qualcosa da evitare, ma lo affronti così come la vita te lo propone, senza cercare scorciatoie o rinunciare in partenza.
Alcuni esempi?
Andare in un ristorante dove non c’è il menù nella tua lingua e ordinare senza sapere bene cosa sia la pietanza scelta, senza tradurre con lo smartphone o senza guardare le immagini;
guardare un programma televisivo o un film in una lingua che non conosci, senza sottotitoli;
ammettere, in un meeting con colleghi, di non conoscere qualcosa che loro si aspettano che tu conosca bene.
N(u)ove competenze chiave per il problem solving
Sul blog di Erin Casali mi sono imbattuto, grazie alla stanza di Crescita Personale di Luca Conti, in un documento dell’organizzazione inglese Nesta sulle competenze relative al problem solving.
In questa newsletter mi voglio concentrare sulle nove competenze chiave, quelle racchiuse nel cerchio bianco centrale.
Agilità: flessibilità nel rispondere ai cambiamenti.
Orientamento all’azione: privilegiare il fare e l’imparare facendo.
Curiosità: il desiderio di esplorare nuove possibilità.
Riflessione: l’abitudine di pensare criticamente a ciò che si fa.
Coraggio: il non aver paura di rischiare.
Concentrazione sui risultati: il fare per ottenere dei risultati.
Immaginazione: visualizzare scenari e ipotesi di lavoro alternative.
Resilienza: resistere e recuperare velocemente da situazioni critiche.
Empatia: mettersi nei panni degli altri, vedersi dal loro punto di vista.
Nella nostra Circle, un prodotto de La Content, Luca Conti propone questo esercizio:
Fermati 15 minuti. Concentrati su ognuna delle nove competenze. Chiediti: è una tua abitudine utilizzare quella competenza nella tua esperienza quotidiana?
Se sì, scrivi in una o due righe un esempio di quando l’hai usata recentemente. Se no, riconoscilo e pensa a un’azione che potresti realizzazione oggi o domani per metterla in atto.
Puoi farlo anche qui, rispondi pure a questa email o scrivimelo nei commenti!
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta.
Ti auguro un buon weekend! Per me sarà di duro lavoro visto che entro domenica devo consegnare l’editing del mio romanzo. Ti regalo un backstage per farti capire di che fatica parlo :)
P.S. Ti ricordo che tra qualche settimana inizia il nostro Corso di Storytelling e Scrittura e poi nulla sarà più come prima!
P.P.S. Se qualcosa di questa newsletter ti ha colpito particolarmente, condividila sui tuoi social taggandomi, in modo che possa ringraziarti e partecipare alle discussioni. Ci tengo!