La comunicazione è un posto dove ci piove dentro
Perché continuo a credere che si salvino vite pensando e parlando (e scrivendo) bene.
Io di comunicazione non so niente.
“A me interessa l’errore, l’anomalia che sfugge ai grandi numeri, la parola poetica che clandestinamente entra perfino in uno spot pubblicitario o in un cartello stradale. Non mi interesso e non mi occupo di comunicazione più di quanto mi occupi di informatica o di economia o di altre materie che entrano nella nostra vita di tutti i giorni mascherate da altro. Uso il computer, ma non so come funziona. Con la comunicazione è più o meno la stessa cosa, non so come funziona, e rispetto al computer mi interessa ancora meno approfondire, per paura di trasformarmi in un insetto, come è successo quella mattina a quel personaggio di quel racconto”.
(Lorenzo Jovanotti, prefazione di La comunicazione è un posto dove ci piove dentro, libro di Roberto Olivi).
Credo abbia piovuto parecchio, metaforicamente, negli ultimi tempi. Mi sono posto molte domande sulla comunicazione, sul mio valore aggiunto e su quello di chi lavora con me. Su ciò che cercano le aziende oggi e sul perché dovrebbero affidarsi a un/una professionista o a un’agenzia. Ho sempre pensato che il ruolo del comunicatore sia tremendamente serio. Spesso mi capita di leggere colleghi e colleghe che scrivono che noi non salviamo vite. Eppure io non sono esattamente di questo parere. Credo che si salvino vite pensando e parlando bene. Si generano opportunità e posti di lavoro, business che permettono di guadagnare e investire, di assumere persone, di generare valore per le comunità. La comunicazione, oggi, non è una conseguenza, è un mindset. Non si deve adattare, deve guidare. È il nostro “purpose”, come dice l’amico Paolo Iabichino. È azione, e mica a caso ha questa stessa parola all’interno. O forse c’è un “caz(i)” di troppo, dovremmo parlare di comunione, perché di questo si tratta: mangiare pezzi diversi della medesima pagnotta e bere sorsi della stessa fonte. Un modo per partecipare, di più, per essere in qualcosa, per essere di qualcosa, per essere qualcosa, qualcuno, per sentirsi parte di.
Quello che resta è tutto, e solo, pubblicità.
Scritture ribelli e Post Social Media Era
“Curioso pensare che la vera scrittura ribelle possa essere gentile, educata, rispettosa delle intelligenze altrui. Per chi frequenta gli andirivieni pubblicitari considerare l’interlocuzione con il pubblico non è esattamente una priorità, anzi.
Ci siamo fatti riconoscere all’estero stigmatizzando nella figura della “casalinga di Voghera” l’idealtipo della responsabile d’acquisto poco scolarizzata, iper-televisizzata, priva di senso critico, facile preda delle sbornie consumistiche dello sboom economico
dal secondo dopoguerra alle televisioni commerciali. Il che ha minato alla base anche il palinsesto culturale del nostro Paese che su bagaglini e velinami ha costruito la propria matrice narrativa e, ahimè, anche politica. E siccome questi sono tempi in cui tutto è diventato politica, serve gente che si ribelli scrivendo”.
È la prefazione di Paolo Iabichino al libro di Ella Marciello, Scrittura Ribelle, che uscirà il 4 febbraio, edito da Hoepli e curato dal sottoscritto – che ha un solo merito, quello di aver proposto all’autrice di scrivere un manuale di scrittura che lei ha trasformato in un contro-manuale. Ella non lo sa perché non gliel’ho ancora detto, ma credo sia uno dei migliori libri sulla scrittura usciti negli ultimi anni. Non è solo un oggetto bello – come tutti gli oggetti di comunicazione dovrebbero essere – ma un saggio ricco di ispirazioni, riflessioni ed esercizi.
Prova, per esempio, a partire da qui la prossima volta che decidi di imbatterti nella scrittura:
Quanto è buono il mio argomento?
La mia idea è difendibile e valida?
Sto usando una posizione razionale e ragionevole sulla questione?
A quali strumenti posso affidarmi per presentare al meglio questa idea e affrontarne la complessità?
Devo approfondire l’argomento o toccare solo leggermente le questioni chiave?
Quali altri punti di vista dovrei affrontare?
Quali sono i miei obiettivi?
Quali fonti di informazione dovrei consultare?
Per me gennaio sarà un mese ricco di novità: dal 24 sarò impegnato in un corso di storytelling con Bernadette Jiwa, per la quale tradurrò, per il mercato italiano, il libro What Great Storytellers Know. Insieme a Sebastiano Zanolli sto scrivendo un saggio che parla della Post Social Media Era. Ti do un piccolo spoiler di una probabile copertina, ma sono prove, si accettano consigli!
In generale, credo sia arrivato il momento di riprendere il nostro rapporto con la creatività, con la parola, con lo stupore e con la meraviglia. Con le relazioni più vere, quelle durature. Fermarmi un attimo e dedicarmi a un’attività diversa dal solito – scrivere un romanzo – mi ha fatto bene. Anche sul lavoro ho cambiato alcune cose; seguirò meno progetti e perfezionerò un metodo che mi sta dando molta soddisfazione: si chiama story-training e ritengo sia la tecnica migliore per permettere alle aziende di acquisire un mindset e un’abilità di racconto che duri nel tempo.
Tu che novità hai? Ti va di raccontarmele?
Lavorare raccontando imprese (sportive)
Il primo romanzo che ho amato è stato Jack Frusciante è uscito dal gruppo.
Dopo averlo letto, ho provato a conoscere Enrico Brizzi e, qualche anno più tardi, mi sono laureato con una tesi su di lui. Poi è successo che sono riuscito a intervistarlo per Rivista 11 e gli ho confessato che mi ero innamorato del suo primo libro grazie alla storia della Danimarca campione d’Europa.
“Io ci metto sempre un evento sportivo nei miei libri – mi disse Enrico –, che sia un’impresa del ciclismo, del calcio o una camminata di cento chilometri a piedi”. Mi parlò del suo amore per il Bologna, di una trasferta a Marsiglia, del suo strano tifo per il Paris Saint-Germain – “prima che diventasse la squadra del Qatar, ovviamente”, precisò –, della sua venerazione per Marco Pantani: “Ogni volta che passo davanti alla sede del Mercatone Uno, in autostrada, dico alle mie figlie di salutare quella biglia con riverenza”.
Ero già innamorato dello sport, da quel giorno l’ho cercato ovunque. Nei romanzi di Eshkol Nevo – ne L’ultima intervista è il basket con il Maccabi Haifa –, in quelli di Fabio Genovesi, che al ciclismo ha dedicato gran parte della sua letteratura, nei racconti di Nick Hornby, che ha scritto forse uno dei più bei manifesti di sempre:
“Il calcio ha significato troppo per me e continua a significare troppe cose. Dopo un po', ti si mescola tutto nella testa e non riesci più a capire se la vita è una merda perché l'Arsenal fa schifo o viceversa”.
Con lo sport ho avuto la fortuna di lavorare: come giornalista, come autore, in azienda grazie all’esplosione del branded entertainment. Progetti legati all’inclusione, alla diversity e allo sviluppo non possono non prendere in considerazione lo sport. Imparare a raccontarlo significa aprirsi tantissime porte, anche professionali.
Nel Corso di Scrittura e narrazione sportiva che sta per partire (21 febbraio prima lezione, poi otto appuntamenti, tutti online e registrati, se te ne perdi uno), parleremo di ognuno di questi aspetti con giornalisti, autori, coach, manager di azienda.
Perché lo sport non è solo una metafora.
Alcuni nomi?
Mauro Berruto, Barbara Cirillo (Dazn), Lia Capizzi, Fabrizio Biasin, Cronache di spogliatoio, Gianni Montieri.
Tra i partecipanti selezionerò anche due dei prossimi autori della collana Clairefontaine, sullo sport. L’anno scorso, tra i fortunati titoli, anche Notturno jugoslavo, scritto da Paolo Frusca ed Emanuele Giulianelli e tradotto anche in Serbia da Laguna, la più importante casa editrice del Paese. E ancora, tra i possibili sbocchi, l’opportunità di produrre podcast, format web (con Cronache di spogliatoio), long-form e voice over. O semplicemente rendere il tuo racconto memorabile.
Le iscrizioni sono aperte fino al 31 gennaio e, se rispondi a questa email entro il 21 gennaio, ti terrò il prezzo bloccato a 470 euro (pagabili anche in tre rate).
P.S. Se pensi che un tuo amico o amica possa essere interessato, inoltragli questa email e avrà diritto a un ulteriore sconto del 20%. Digli di ricordarsi di dirmi chi lo manda!
Le belle storie vanno coltivate a allenate.
È tutto, io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta. Se vuoi saperne di più sui miei progetti, scrivermi, chiamarmi, ti ho già dato il mio numero, ma te lo lascio ancora, non si sa mai: 3386287834.
Mi raccomando, continua a far piovere dentro la comunicazione. Non sia mai succeda che diventiamo insetti.