La foto della scuola non mi assomiglia più
A proposito di ardori giovanili, abilità e semplicità: meno news, più letter
Ciao, io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta, secondo numero. Caparezza dice che il secondo album è sempre il più difficile, quindi so già che l’aspettativa è molto alta, ma proverò a non deluderti.
A scuola
Questa è stata la settimana del ritorno, ne ha parlato anche Internazionale in un bellissimo pezzo. Non si considera mai abbastanza quanto rilievo abbiano i primi giorni di scuola nell’imprimere un segno all’anno che comincia. Una canzone di Jovanotti dice che la foto della scuola non mi assomiglia più, ma i miei difetti sono tutti intatti. Primo fra tutti: quello di non indossare il grembiule. La verità è che non mi riconoscevo né nei blu né nei bianchi. È sempre bello però riguardare questa foto: ci sono dottori, ingegneri, avvocati, biologhe marine, ricercatrici, copywriter come la mia compagna di banco Francesca (guarda tu il caso, a volte), giornaliste e fotografe di fama internazionale.
Soprattutto, c’è Mariella: la Maestra. Questa frase non è mia, ma credo fortemente che tra le due o tre persone più importanti nella vita di un uomo e di una donna ci sia l’insegnante delle elementari.
Tu cosa ricordi del tuo maestro/a?
La scuola ha ispirato diversi film e libri. La prima volta in cui ho visto “Auguri professore” sono rimasto incantato da due minuti in particolare (questo è il momento in cui devi cliccare Play):
È questo quello che vuole da te la tua professoressa? La concezione che Manzoni e Leopardi hanno del dolore? Leopardi riteneva che non se ne potesse più di piagnistei, lui pensava che la politica vera era dare al mondo occupazioni grandi, movimento, vita. Che il fallimento maggiore della politica era non mettere a frutto gli ardori giovanili: il desiderio di vivere che hai dentro. Sì, anche tu. E la rabbia per non poterlo gridare.
Quando si incontrano docenti così, è più facile incuriosirsi, innamorarsi delle cose. Alcuni pensano che riguardi solo la scuola, invece è una questione di leadership. Trasmettere abilità, rende abili. Trasmettere intelligenza rende intelligenti. Trasmettere speranza aumenta la speranza.
“La scuola” di Herman Koch è un gran bel romanzo: implacabile colpo al cuore del perbenismo, sferzante satira del conformismo che governa le relazioni fra esseri umani e, allo stesso tempo, lucido sguardo sulle fragilità umane. Una velata – nemmeno tanto – critica ai metodi educativi preconfezionati: il protagonista è il peggiore della classe e forse della scuola, che ha in odio, con tutto quel suo buonismo prezzolato.
Fingeva di leggere, ma si capiva subito che era tutta scena, che non era vero, però il resto del mondo doveva poter vedere che lui se ne stava lì “tranquillo a leggere”. Un libro non si tiene così, come lo teneva mio padre, quando si sa di avere ragione.
Qual è il libro più bello che hai letto o il film più bello che hai guardato sul tema della scuola?
La semplicità
Sono mesi, forse anni, che ci penso. Il più grande traguardo per un comunicatore è arrivare alla semplicità. L’ha detto anche Paolo Sorrentino a Venezia, quando ha presentato “È stata la mano di Dio”.
Con l’età ho capito che ci sono tante cose non necessarie a cui è inutile pensare. Per cui, forse, d’ora in poi farò film più semplici. Poi, a furia di parlare dei miei dolori, mi sto annoiando dei miei dolori. E sto scivolando in una discreta felicità.
Ok, lui è Paolo Sorrentino e noi no. Eppure trovo molto ispirazionale questo passaggio. Così come trovo straordinarie le persone che sanno spiegare le cose in maniera chiara, diretta. Semplice, appunto.
Come Erick Loi, Executive Creative Director di Independent Ideas, con il quale recentemente ho fatto una bella chiacchierata sul nostro argomento preferito.
Ovviamente, 10 punti “L’ho fatto a Posta” per chi coglie da quale film venga la nostra ossessione per la sincerità.
A che ora è la fine del mondo
Ti capita mai di ricevere telefonate fuori dall’orario di lavoro? A me sempre, ammesso che ci sia un orario di lavoro per chi fa un mestiere come il mio. Essendo un ibrido tra imprenditore e consulente, l’orario cerco di impormelo io. Siccome mi pregio di essere al servizio degli altri – e non la trovo per nulla una cosa di cui vergognarsi – seguo un orario piuttosto universale, almeno per il mio meridiano: 9.30/13 e 14.30/19. Circa, eh. Vuol dire che lavorando sia con Milano sia con Bari devo avere un po’ di flessibilità verso le fisime del Nord (call alle 14, tipo) e quelle pugliesi (“ti posso chiamare alle 19.30?”) che non sono da meno.
Tutto questo per dire che le chiamate fuori orario esistono, ma ci sono diversi motivi che spingono a rispondere lo stesso. Inizio io, poi completa tu:
chi chiama è un capo o un committente importante, meglio rispondere;
chi chiama è una persona piacevole. Fa nulla che è tardi, vedrai che si scusa e sarà comunque una chiacchierata stimolante;
chi chiama non è una di quelle persone che dice “sai ho avuto un’idea” e ti vomita addosso il suo flusso di coscienza, ma una che “ho avuto un’idea, è questa e mi piacerebbe che tu facessi quest’altro”;
chi chiama è mediamente una persona che inizia la conversazione con “Ho una bella news per te”. Anche la statistica ha il suo peso;
chi chiama è un partner di lavoro che si avvicina al quadrante “amico/a*”, ovvero una persona con la quale si hanno scambi frequenti anche extra lavoro.
Non credo che, per definizione, le chiamate fuori orario siano un male, anzi. A patto che non diventino abitudine. Ho già espresso il mio elogio per il sabato mattina in un post su LinkedIn. L’obiettivo è, semmai, diventare una di quelle persone che anche quando sono fuori orario non disturbano. Ci possono volere anni, ma il risultato dura a lungo nel tempo.
Ti piace il mio elenco? Tu in quale categoria rientri?
Poi giuro che sulla tossicità delle chat WhatsApp ci torniamo nelle prossime settimane. Mi sembra urgente.
Ikigai
Il mio amico Gianluca Gotto – abbiamo scritto di sport assieme in BlogLive – e lo scopo della vita (dal suo profilo Facebook).
La foto parla da sé. Ti riconosci nell’equilibrio Ikigai?
Il lettering che non ti aspetti
Come qualcuno di voi sa, mi divido tra Bari (dove sono nato) e Jesi (dove ho vissuto negli ultimi dieci anni). La piccola e laboriosa cittadina marchigiana non è solo la città natale di Roberto Mancini, ma è anche piena di insegne fighissime.
Grazie all’amico *Giorgio Soffiato, ho scoperto il profilo Instagram “letteringdajesi” e non credo di poterne più fare a meno.
C’è di tutto, dalla macelleria alla gelateria, passando per l’albergo diurno. Contro il logorio dei font moderni (tutti uguali).
Il punto di partenza non conta. Conta aggiustare in corso d’opera.
The upshot? We’ve got to get rid of the stigma attached to correction. People who self-correct early on have an advantage over those who spend ages fiddling with the perfect set-up and crossing their fingers that their plans will work out. There’s no such thing as the ideal training. There’s more than one life goal. There’s no perfect business strategy, no optimal stock portfolio, no one right job. They’re all myths. The truth is that you begin with one set-up and then constantly adjust it. The more complicated the world becomes, the less important your starting point is.
Il risultato? Dobbiamo liberarci dello stigma legato alla correzione. Le persone che si auto-correggono fin dall’inizio sono avvantaggiate rispetto a quelle che passano secoli ad armeggiare con la strategia perfetta e a incrociare le dita che i loro piani funzionino. Non esiste l’allenamento ideale. C’è più di un obiettivo di vita. Non esiste una strategia aziendale perfetta, un portafoglio azionario ottimale, un lavoro giusto. Sono tutti miti. La verità è che si comincia con un’impostazione e poi la si aggiusta costantemente. Più il mondo diventa complicato, meno importante è il tuo punto di partenza.
(Rolf Dobelli, The Art of the Good Life)
Spunto di Luca Conti, su La Circle.
Per questa settimana è tutto, se qualcosa ti è piaciuto particolarmente, condividilo pure sui tuoi social, magari menzionandomi (sempre se ti fa piacere). O dove vuoi tu. E senza chiedere il permesso, perché è sempre bello che le cose belle vengano condivise. Uno degli obiettivi di questa newsletter che, come ha detto Desy Mantovano, è poco news e molto letter è dare il la ad approfondimenti, riflessioni e anche animate discussioni sui temi toccati.
P.S. Ho apprezzato moltissimo anche le richieste che ho ricevuto. Se c’è qualche argomento che ti interessa particolarmente e di cui vuoi che parli, chiedi pure.
Ti auguro un buon weekend!
Sei un disgraziato perché a leggerti vien voglia di mettersi a scrivere a lungo. Però resisto all'impulso e ti segnalo https://www.instagram.com/bari_type/ … che seguo da tempo, così diamo un po' di 💚 anche a Bari