L'altra faccia della Passione
Dove si parla dei mattoncini di Jenga, di metafore, di quanto coraggio ci voglia a scrivere un complimento sincero, di una passione che ci inchioda su una croce e del rischio di diventare abili.
Quando il Silvio, raccontatore di miracoli impareggiabile, si affacciò sulla scena politica, ancora si ripeteva in giro che la televisione era lo specchio della società. Era un’interpretazione ormai inadeguata: presto la società italiana sarebbe entrata dentro quello strano specchio, tutta intera come Alice e, come lei, sarebbe partita per il viaggio più colorato e spaventoso della propria Storia.
Enrico Brizzi – uno dei miei autori preferiti, mi sono laureato con una tesi su di lui – ha raccontato con ironia l’Italia all’indomani degli anni Ottanta dove, nell’agra commedia nazionale, c’è posto per passioni e amicizie. La TV, i suoi volti, gli avvenimenti restituiti sono metafora per raccontarsi e descrivere cambiamenti vissuti da tutti noi, ma di cui sembra che abbiamo perso coscienza.
Ecco quindi sigle, telefilm, partite, cartoni animati, canzoni, personaggi pubblici e privati. Da Pertini a Berlinguer, da Drive In a Colpo Grosso, il futuro narratore esordiente incontra e traduce la realtà, affresca la civiltà dell’immagine con parole sue. Attraversa la Prima e la Seconda Repubblica di questo nostro Paese sempre in attesa di un’altra primavera. Man mano emerge una figura sfondo, quella di Silvio Berlusconi – il Silvio del titolo –, prima costruttore, poi editore, infine uomo politico e di Stato.
Brizzi ne è osservatore critico e attento, avversario ma non censore
Assiste progressivamente alla trasformazione delle abitudini degli italiani, dettate poco a poco dal palinsesto della TV commerciale piuttosto che di quella pubblica. La costruzione di un immaginario quanto mai reale, che ha finito però per delegittimare la televisione come mezzo d’informazione, facendole perdere autorevolezza. Un libro del 2010, ma quanto mai attuale; uno dei migliori per capire davvero gli anni dell’ascesa di Silvio Berlusconi (che nel momento in cui scrivo è ancora vivo, con l’augurio di tanta salute). L’ho amato perché l’autore racconta un aneddoto che ho condiviso con lui all’inizio degli anni Ottanta, quando mia madre mi faceva scrivere per Natale la lettera di auguri al Presidente Pertini. Una volta mi rispose, con una lettera scritta a mano, “Molte grazie per i suoi auguri, il Presidente” e mi sembrò il giorno più bello del mondo. Ebbene sì, Sandro Pertini rispondeva alle lettere di auguri dei bambini.
Conosci il gioco Jenga?
È una specie di roulette russa dei mattoncini: ne togli uno e speri che la torre non caschi. All’inizio è abbastanza semplice, poi man mano che il gioco va avanti, diventa più difficile. La torre diviene sempre meno stabile, qualcuno ci mette troppa foga e ti lascia in una condizione difficilissima: quella di dover togliere un mattoncino senza far crollare tutto. Ho scoperto questo gioco durante un Interrail in Germania. Due ragazzi di Ancona – quanto mi sembrava lontana, allora, Ancona – ci chiesero di fare una partita, poi un’altra e un’altra ancora, e a me sembrava di essere fortissimo. Non so quante volte tu ti sia sentito bravo o brava a fare qualcosa – Si corre, sempre, il rischio di diventare abili –, ma quella volta mi è successo davvero.
La torre non crollava mai per colpa mia. A volte riuscivo persino a raddrizzarla, togliendo un pezzo. E per quanto io non ami le metafore – lo so, può sembrare strano, un sedicente storyteller che non ama le metafore, ma io ho sempre preferito le similitudini –, devo dire che questa immagine mi è ritornata limpida, nella mente, qualche giorno fa. A distanza di vent’anni. Perché lavorare ai giorni nostri è diventato un po’ come giocare a Jenga. Tu provi a muovere i pezzi, a toglierli, a conservarli con cura e speri che, con la stessa cura, si comportino gli altri. Che usino il tempo nel modo giusto, che non ci mettano fretta ma attenzione e che, in parallelo, quella attenzione non diventi una scusa per prendere tempo e non agire, perché è di azione che abbiamo bisogno. E di responsabilità. Di cura. Consapevoli che la torre può crollare da un momento all’altro, ma che la colpa non è MAI solo dell’ultimo che ha mosso il mattoncino.
This is bigger then I thought
Fuor di metafora, la domanda è: “Tu dove ti trovi nel tuo percorso professionale e personale?”. La settimana scorsa ho utilizzato le notifiche delle email come indice: quanto creano ansia, quanta curiosità, quanta felicità. Oggi voglio partire da questa illustrazione che ho trovato in AI Strategy for Sales and Marketing di Katie King per chiederti se ti ritrovi nel riquadro dell’ansia, in quello della felicità, della paura, della colpa o della accettazione.
Da questa settimana L’ho fatto a Posta conterrà tre sezioni fisse:
Cose che mi hanno reso felice.
Cose che mi hanno fatto arrabbiare.
Coraggio vs ignavia.
Vale la regola aurea dello storytelling: non ti sto raccontando la mia storia – quella la trovo sempre poco interessante –, ma la tua. Per cui, se hai piacere, rispondimi e dimmi cosa ti ha reso felice, cosa ti ha fatto incazzare e se ha prevalso il coraggio o l’ignavia nelle tue scelte. E quali. È un’esperienza condivisa questa lettera. Io scrivo, tu rispondi. Io mi metto in gioco con te e tu lo fai con me (ma lo fai per te, perché scrivere è il modo migliore per chiarirsi le idee).
Cose che mi hanno reso felice
Emergency mi ha scelto come docente per un corso di scrittura creativa per i volontari e le volontarie. A luglio passerò una settimana in Toscana, nel loro camp, e per tre ore al giorno parleremo di personaggi, dialoghi, hook narrativi, trame.
Mi ha reso felice rivedere dopo un po’ tempo Valentina Vellucci, lunedì scorso. A volte ci raccontiamo che nel mondo del digital (e del lavoro, in generale) ci stimiamo tutti, altre volte che ci odiamo e ci critichiamo a vicenda. Non è vera nessuna delle due cose. Con alcuni colleghi ho stretto relazioni importanti, e definirle di “amicizia” non mi fa arrossire, con altre/i non ci siamo presi – capita; Valentina è una di quelle persone con le quali c’è un rapporto sincero che va molto al di là del lavoro. È una professionista vera e non ha bisogno di ribadirlo e ultimamente nemmeno di dimostrarlo.
Mi ha reso felice aver fatto formazione in Credem Banca e aver letto dai loro commenti sotto il mio post che la giornata gli è piaciuta – sono stato benissimo anche io; mi ha reso felice trovare il coraggio di mandare un messaggio a una scrittrice che non mi conosce, ma che mi sta facendo emozionare con il suo romanzo. Ma di questo ne parlo in Coraggio vs ignavia.
Cose che mi hanno fatto arrabbiare
Poi un giorno vedremo i lavori di chi come lavoro commenta il lavoro di chi lavora. Sì, è un gioco di parole simpatico. (Riccardo Pirrone)
Sono intervenuto in questa discussione su LinkedIn, ma non l’ho fatto per difendere il mio socio e amico Alessandro. L’ho fatto perché non mi piace chi passa il tempo a denigrare il lavoro degli altri senza conoscerlo, tra l’altro. Ma al di là di questo, non mi piace chi si erge a opinionista senza mostrarci mai i suoi errori. È poco credibile. Nulla di personale, davvero. Ma per auto-assegnarsi il ruolo di vate del marketing non bastano due libri. Detto da uno che di libri ne ha scritti dieci, e qualcuno lo ha anche venduto discretamente altrimenti non sarebbe qui a parlarne. Mannaggia, quanto mi fa arrabbiare anche dover ricordate queste cose.
Mi ha fatto arrabbiare la discussione per quello che è successo a Torino durante Juventus - Inter, ne ho parlato su Instagram (così ci vai solo se la cosa ti interessa); infine, mi ha fatto arrabbiare leggere di qualche potenziale cliente che, non so per quale motivo, mi considera più competente delle persone che lavorano con me e pretende che sia io e solo io a parlare con lui. No, ho fatto tanto per lavorare con persone bravissime, preferisco perdere questa bellissima occasione.
Coraggio vs ignavia
Avrei dovuto spiegargli quello che mio padre ha spiegato a me quando avevo paura della vita eterna (io non li avrei portati in chiesa, quindi forse avrebbero avuto paura della morte, ma la vita eterna e la morte sono la stessa cosa).
Ha prevalso il coraggio quando ho deciso di scrivere ad Antonella Lattanzi, autrice di Cose che non si raccontano, per dire quello che pensavo del suo libro. E non è facile essere sinceri quando si vuol fare un complimento, perché il rischio della piaggieria è dietro l’angolo. Non posso e non voglio copiare quello che le ho scritto, ma ci vuole coraggio anche a spiegare perché le ho voluto mandare un messaggio. Perché ha scritto un libro stupendo in cui si parla di gravidanze attese e mancate. Volutamente resterò vago, per chi vorrà leggerlo (ma ti ho linkato un racconto che parla di questo). Odio le definizioni generiche. “Ah, ma è un libro triste”. O peggio ancora “È una storia femminile, quindi”. Forse dovrei andare al paragrafo cose che mi fanno arrabbiare, ma eviterò. Penso che un libro così tocchi corde umane, non femminili o maschili, mi sono sentito come lei, e questa è la cosa più bella che possa riuscire a una scrittrice.
Gliel’ho voluto dire, a modo mio. Penso di aver avuto coraggio.
Vorrei aver avuto lo stesso coraggio a parlare di più, e in maniera più diretta, alle persone che lavorano con me. Ma mi sono nascosto dietro la scusa del tempo e degli impegni e non ho detto delle cose che dovevo dire. Sono stato ignavo, migliorerò. Lo voglio scrivere qui: è vero che le aziende devono fare business, e io penso di avere ambizioni importanti, ma vorrei sempre avere il tempo (e il coraggio) per tutte/i loro. Anche perché dire brava/o non vuol dire un cazzo.
È quasi Pasqua, non andrò troppo per le lunghe. Questa puntata esce di venerdì perché domani avrai voglia di leggere altro, e poi perché questo è il giorno della Passione (inizialmente volevo chiamare questo numero La passione di Cristiano, poi ho avuto paura di essere scomunicato) e, in fondo, di passione parliamo. Quella che ci muove, che ci fa svegliare la mattina, che ci richiede impegno, ma che non ce lo fa pesare. Ma, in senso biblico, anche la passione che ci fa soffrire, che ci fa chiedere “perché”, che ci inchioda a una croce (chiedo perdono per la seconda volta). E poi ognuno di noi ha la sua croce e la sua passione.
E a volte sono la stessa cosa
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta. Se sei un brand e vuoi sponsorizzare questa newsletter che arriva a 3.000 persone, ne parliamo un’altra volta, perché già mi sento in colpa per la storia della passione e della croce. Se invece pensi che è valsa la pena arrivare fino qui, che ti ho strappato un sorriso, una lacrima, un’emozione, puoi offrirmi un caffè e augurarmi Buona Pasqua o un buon fine settimana lungo.
E se hai tempo, scrivimi una lettera. Ci tengo.
Bella Cri :)
Felice che l'illustrazione che ho segnalato sulla Circle, come tanti altri post in passato, ti abbia ispirato un passaggio della newsletter.