Laura (Morante) non c'è
Dove si parla di assenza illustri, di colonne sonore, di complessità, trasformazione, velocità, pazienza e dell'impresa-romanzo.
Ho letto tutte le vostre riflessioni su Open to Meraviglia. I commenti alla campagna, i commenti sul budget, sull’idea creativa, sulla pagina di giornale comprata dall’agenzia per fare la voce grossa e dire che in fondo, in Italia (paese della Meraviglia), siamo tutti poeti, scienziati, navigatori, allenatori da calcio, virologi e da qualche anno a questa parte anche pubblicitari. Ho letto di appassionanti traduzioni sbagliate, ho persino scoperto che Annamaria Testa - e qui devo davvero fare ammenda - non ha alcuna parentela con l’agenzia di cui sopra (Armando Testa) ed ha scritto una delle cose più intelligenti e argute sul tema. Riassumerò in poche righe: una buona campagna pubblicitaria dev’essere attraente, comprensibile, convincente.
Ho letto, ma stavolta non ho commentato.
E non per una questione di posizionamento, né tantomeno per fare lo snob o peggio ancora “perché non ho avuto tempo, stavo lavorando” (non mi sentirete mai dire una cosa del genere, quando vale la pena e citando l’amico Francesco Poroli “il tempo si inventa”). È proprio che non ho ritenuto interessante la faccenda. E ora voi mi chiederete come fa a non essere interessante una questione da 9 milioni di euro? - che diviso per 33 paesi del mondo diventa molto meno -; e io vi risponderò che ho trovato più interessante commentare il nuovo film di Nanni Moretti, il suo rapporto con la musica italiana e ancora più interessante domandarmi perché nella passerella finale, quella in cui sfilano tutti i personaggi più importanti dei film del regista, Laura Morante non c’è.
Lo capisco, non è una questione dirimente come la Venere influencer, ma credo che possiamo affinare la nostra sensibilità di comunicatori anche così.
Sono solo parole
Ne Il sol dell’avvenire, Nanni Moretti racconta se stesso (e il mondo come lo vorrebbe lui), ma anche e soprattutto i se della nostra storia: cosa sarebbe successo se nel 1956 il PCI avesse scelto di rompere con l’Unione sovietica che aveva invaso l’Ungheria?
È una “forma” molto bella di narrazione. Il regista sta girando un film e lo spettatore sa che si tratta di una finzione nella finzione, ma accetta la sospensione dell’incredulità dando credibilità minuto dopo minuto ad una storia che all’inizio del film sembra velleitaria.
Poi, c’è il rapporto di Nanni Moretti con la musica, e con la canzone pop italiana. Di questo ha scritto magistralmente Giulia Cavaliere (vedi post sotto), ma mi piace ripartire da una frase del film:
Voglio scrivere un film con tante canzoni italiane
In realtà Moretti lo ha già fatto, e si passa da Battiato a De Andrè, fino ad arrivare a Jovanotti - con Ragazzo Fortunato - e a Caterina Caselli. Una delle mie scene preferite della filmografia di Moretti è quella de La stanza del figlio, quando in macchina i protagonisti provano a mettersi alle spalle il più grande dei dolori cantando a squarciagola “Insieme a te non ci sto più”.
Prenditi un minuto.
È tutto un crescendo
Ne Il sol de l’Avvenire c’è ancora Battiato, e tutto gira davvero intorno alla stanza mentre si danza, ma la canzone chiave del film è una canzone pop piuttosto dimenticabile a dirla tutta, scritta da Fabrizio Moro per Noemi: Sono solo parole. La cantano tutti gli attori del film. All’inizio ci fa storcere il naso e ci spiazza, poi diventa un crescendo e alla fine ci viene spontaneo cantare anche a noi. Un po’ come nuotare, o fare dei palleggi con un pallone.
E poi (non) c’è Laura Morante.
Ne hanno già parlato altri, ma ho preferito non leggere spiegazioni più o meno razionali e plausibili, perché mi sono fatto una mia idea. Il film deve molto a Fellini. C’è una scena de La dolce vita, c’è un regista - Giovanni - che vuole fare un film ma non ci riesce. Come Guido in 8 e mezzo. E poi c’è la parata in cui sfilano i grandi protagonisti dei film di Nanni Moretti: da Margherita Buy a Jasmine Trinca. Mi piace pensare che, come nella scena dell’harem di 8 e mezzo ci sono tutte le donne di Fellini e manca proprio Claudia Cardinale (che in realtà era impegnata a girare il Gattopardo), nella parata de Il Sol dell’Avvenire manca Laura Morante.
Sempre di un sogno si tratta. Che cos’altro è, in fondo, il cinema? E che cos’è una storia?
Complesso, dunque sono
La complessità ha bisogno di essere affrontata guardando fuori dagli schemi. Necessita di un pensiero divergente che poi converge. Per farlo talvolta basta guardare ai lati delle cose. Talvolta invece è necessario guardare le cose dall’alto per capirne tutta la semplicità. La natura per definizione, un albero o un terremoto, sono elementi complessi che se guardati da una prospettiva diversa contengono una loro intrinseca semplicità. Tengono dentro radici e fuoco. Lentezza e dinamismo. Maturazione graduale e aperture improvvise. Ecco che allora la complessità va abbracciata con estrema velocità e altrettanta pazienza.
La complessità richiede una leadership in grado di proiettarsi con rapidità oltre il domani; essere adattativa, né più né meno della natura stessa. (Italo Calvino)
La trasformazione richiede di essere narrata
Costruire uno storytelling aziendale è difficile e passa sempre attraverso la complessità e la trasformazione. La parola trasformazione deriva dal latino: transformatio. Composto di trans, cioè andare oltre e forma. La parola trasformazione contiene nella sua etimologia il futuro, l’andare al di là dell’attuale situazione. Ognuno di noi vede il cambiamento ogni giorno nella sua vita personale. Non sempre ci piace, anzi.
Ma la trasformazione è l’eredità del futuro.
Ma il cambiamento in azienda è lastricato di insuccessi perché è difficile e viene vissuto controvoglia. Le trasformazioni aziendali sono improntate intorno a elementi strutturali come policies, processi e tanta tecnologia. È qui che iniziano a emergere le resistenze. Il cambiamento viene imposto in modo asettico. Una trasformazione, invece, parte da una adesione interiore delle persone coinvolte, dall’approccio mentale degli individui. Avere una strategia solida è un elemento fondamentale per il cambiamento - ne abbiamo parlato questa settimana in H-Farm con Wethod e Giorgio Soffiato a proposito del brand La Content -, ma il successo della sua esecuzione richiede anche la capacità di far affiorare e, a quel punto, “affrontare le ragioni invisibili per cui le persone resistono alla trasformazioni anche quando le aziende non vanno bene” (Schwartz, 2018).
Nessuno vuole lasciare la sua zona di confort se non conosce quello che sarà il suo destino.
Raccontare una storia aziendale in mutamento significa prefigurare un percorso, vuol dire riconoscere i passaggi del cambiamento che si andranno a configurare nell’azienda. A quel punto il cambiamento si può facilitare perché le persone all’interno della organizzazioni lo hanno già scritto, lo hanno già letto e mentalmente approvato.
Dentro una buona strategia occorre inserire la narrazione di quello che accadrà o potrebbe accadere. Non bastano i numeri di un budget o le dichiarazioni di un business plan. Fino ad oggi si è parlato di storytelling come processo per trasferire ai clienti il valore dell’azienda. È costruito per invogliare i consumatori a comperare un prodotto. Sempre più brand lo stanno usando come strumento pervasivo, sopratutto attraverso i social. Difficile per il cliente capire quanto di vero ci sia in questo tipo di narrazione. Cosa ben diversa per chi quel prodotto lo produce e lo vende. Ai collaboratori, chiunque essi siano e quale ruolo svolgono, non si può raccontare una storia qualsiasi, deve essere reale.
Oggi è necessario cambiare prospettiva; rivolgere il processo di narrazione dedicandolo interamente a chi quell’azienda la fa giorno per giorno. Occorre creare uno strumento che è in grado di progettare e orientare la cultura aziendale per fornire elementi importanti alla definizione dell’identità aziendale, del suo percorso, dei suoi necessari cambiamenti.
Nella prossima puntata ti svelerò il significato di impresa-romanzo
Il fare impresa che cambia necessita di una narrazione strutturata, quale può essere appunto un romanzo. Mi pare quanto più appropriato accostare al termine romanzo la parola impresa. Nel senso che se un’impresa richiede un grande sforzo, nella stessa misura già di per se stessa è un grande racconto di donne e uomini che decidono di imprendere, cioè intraprendere, un’avventura insieme in un contesto mutevole.
Se il tema dello storytelling ti affascina e ne vuoi sapere di più, questo è il corso che fa per te.
Io sono Cristiano Carriero, questa è L’ho fatto a Posta e sfrutterò queste ultime battute per un paio di annunci belli.
Sarò speaker al Web Marketing Festival (15-17 giugno, Rimini). Il titolo dello speech è Best Ads are Stories - dal cacao meravigliao ai reel di Tik Tok, come è cambiato lo storytelling.
Venerdì 5 maggio parlerò di intelligenza umana all’Università di Macerata. Se vivi da quelle parti e ti va di venirmi a sentire, fammelo sapere!
Il 22 maggio - giorno del mio compleanno - mi confronterò con Beniamino Pagliaro (La Stampa, Good Morning Italia), nella sede di Aon e all’interno dei Wellbeing Days sulle generazioni del (e a) lavoro.
È tutto, fa buon fine settimana e come sempre se ti è piaciuta la newsletter, se hai imparato qualcosa o se sono stato fonte di ispirazione, offrimi un caffè!