La cultura della distrazione
Dove si parla di Marsiglia, di bouillabaisse, di linguapiattismo, della cultura post-intrattenimento, delle ads su TikTok e di Gianluca Gotto a Storytelling Festival.
Mi mette sempre un po’ d’ansia partire.
Non credo mi passerà mai, ho fatto cinque inter-rail, visitato posti come il Chiapas, il New Mexico, il Kansas - mamma mia che brutto il Kansas -, le Ande peruviane; ma ogni volta che mi parto verso un posto poco noto, il respiro si fa affannoso. Ti scrivo dall’aeroporto di Bologna e sto per volare a Marsiglia dove passerò i prossimi 10 giorni. Circa un anno fa mi sono imposto dei periodi di lavoro da altre città d’Europa. Dopo Liverpool, Fuerteventura e prima di Dublino, è il turno di Marsiglia. È un piccolo privilegio che mi prendo in cambio della partita iva, delle tasse da pagare, delle responsabilità crescenti di un imprenditore.
Non c’è un motivo vero e proprio dietro la scelta di Marsiglia, ci sono stato questa estate (per due notti) e mi ha affascinato molto. È una di quelle città che non mi interessa visitare, mi interessa vivere. Non è certo Cannes o Saint-Tropez. Vanta mille e cinquecento anni di storia. A lungo ha avuto una pessima reputazione: criminalità, degrado; spesso è stata denigrata ingiustamente.
Quand’è che uno può dire di conoscere qualcosa? Quand’è che uno può dire di conoscere davvero una città? Non basta esserci nati, non basta nemmeno viverci. Forse una città non la conosciamo mai per intero - c’è sempre troppa vita altrove, materia umana o comunque viva che ci sfugge. Una città è soprattutto il resto delle cose escluso noi, gli infiniti punti in cui non siamo. Lo sbuffo di un autobus, il rumore di una trivella, il rumore della risacca costante, disperso, il tuffo di qualcuno, un’attesa, i ragazzini che mangiano guafres al cioccolato con una splendida voracità.
Comunque, nella mappa dei luoghi amati, più che una bandierina per me c’è un piatto. Quello di Marsiglia è la bouillabaisse.
Se siamo come pesci dello stesso mare, se giochiamo con questa metafora, allora non è assurdo pensare al mondo come a una zuppa, un’immensa bouillabasse. La purezza non esiste. Non esiste in cucina e non esiste da nessuna parte. (Paolo Di Paolo, Esperimento Marsiglia)
È stata una settimana molto letteraria la mia. Domenica scorsa ho presentato Grammamanti di Vera Gheno a Jesi, ed è stato bellissimo rivederla dopo un anno e parlare di linguaggi ampi, di Tullio De Mauro e di quella volta in cui sua figlia Eva le ha chiesto di spiegarle i complementi di vantaggio e lei le ha risposto “Forse ai miei tempi non c’erano”. Ha partecipato tantissima gente alla presentazione, ed è incredibile apprendere quanta curiosità ci sia da parte delle persone nei confronti della lingua. Una lingua che evolve, che è mutevole, definita ma non definitiva. Tutto il resto è linguapiattismo.
Qualche giorno dopo ho consegnato al mio editore la nuova edizione di Domani No (romanzo pubblicato nel 2013). Immaginavo che non sarebbe stato semplice editare un libro dopo 10 anni, in realtà è stato difficilissimo. Non c’era un dialogo che non mi ha messo in imbarazzo. Lo dico senza vergogna, perché 10 anni sono tantissimi e i miei personaggi non parlerebbe più così oggi. Per fortuna. E non è un tema di terminologia, ma di stereotipi. La cosa che mi ha messo più in difficoltà sono stati i dialoghi tra uomo e donna. Stavo per mandare tutto all’aria, perché non bastava cambiare le parole per dare un nuovo senso alla storia. Ho dovuto riprogettare, ho dovuto far evolvere, e quindi maturare, i miei personaggi. I puristi della letteratura mi perdoneranno. Non avendo scritto i promessi sposi, posso permettermelo.
La cultura della distrazione
Se la cultura fosse come la politica, avremmo solo due scelte.
Ma in realtà stiamo assistendo alla nascita di una cultura post-intrattenimento.
Alcune considerazioni:
Disney è in crisi, stanno tagliando ovunque (tranne lo stipendio del CEO).
Paramount ha appena licenziato 800 dipendenti e sta cercando un nuovo proprietario.
Universal sta rilasciando i film in streaming dopo appena 3 settimane di permanenza nelle sale.
Warner Bros fa più soldi cancellando i film che facendoli uscire nelle sale.
Anche il settore televisivo è in forte contrazione. Dopo anni di crescita costante, il numero di serie sceneggiate ha iniziato a ridursi. Ciò fa sorgere una domanda: xosa può sostituire l’intrattenimento che già di per sé non era visto benissimo da chi produce arte?
Questa che vedi è la nuova catena dell’alimentazione culturale secondo Ted Gioia
Il settore dell'economia culturale in più rapida crescita è la distrazione.
Chiamalo scrolling, swiping, perdita di tempo o come vuoi. Ma non è arte o intrattenimento, solo attività incessante e ripetuta. La chiave è che ogni stimolo dura solo pochi secondi e deve essere ripetuto. È un business enorme, che presto sarà più grande delle arti e dell'intrattenimento messi insieme. TikTok ha fatto fortuna con i video a scorrimento veloce. E ora Facebook, un tempo luogo di connessione con la famiglia e gli amici, lo sta imitando. E, naturalmente, Instagram, YouTube e tutti gli altri che cercano di arricchirsi con i social media.
Il nostro cervello premia questi brevi momenti di distrazione. Viene rilasciata la sostanza neurochimica dopamina, che ci fa sentire bene e quindi vogliamo ripetere lo stimolo. Tutte le piattaforme social si stanno spostando verso interfacce a scorrimento continuo, in cui gli stimoli ottimizzano il ciclo della dopamina.
Qualsiasi cosa che possa convincere l'utente a lasciare la piattaforma - una notizia o un link esterno - viene brutalmente punita dai loro algoritmi. A tal proposito, ho trovato molto interessante uno studio sulle AD di Tik Tok a cura di Roberto Mendoza.
Dopo mesi di test e di tentativi, mi sono reso conto che TikTok non era la piattaforma di ADV che avevo sperato. Il ROAS/CPA non era nemmeno paragonabile a quello che facevamo su Meta/Google. Per ogni dollaro investito nella macchina pubblicitaria di TikTok ero fortunato se riuscivo a recuperare un dollaro. Se lo si confronta con Meta e Google, che restituivano regolarmente un ROAS da 3 a 6 volte a fronte di una spesa elevata. Ora si potrebbe dire che sono un pessimo acquirente di annunci e che è per questo che TikTok non funzionava. Ma i dati della società di analisi Varos suggeriscono il contrario: TikTok non funziona per nessuno. Di seguito è riportata la distribuzione della spesa per gli inserzionisti nel database Varos di oltre 6000 aziende.
Le ragioni sono fondamentalmente tre, tutte legate al comportamento degli utenti.
1) Intento di visualizzazione
Il motivo più grande e più trascurato, ma piuttosto ovvio: le persone si collegano a TikTok per guardare i TikTok. Non per fare acquisti. Non per pubblicare una storia. Non per cliccare su un articolo. Le persone si collegano per rilassarsi ed essere intrattenute da video di breve durata. Ciò che IG Reels, TikTok e Youtube hanno in comune è che l'intento dei loro utenti quando si collegano è quello di guardare contenuti video. Questo comportamento è simile a quello di chi si collega a Netflix.
Per fare un'analogia: l’esperienza di TikTok è molto più simile a quella del cinema (un multisala, va). Ci si va per un solo motivo, per vedere un film. Facebook e Instagram sono come un centro commerciale. Sì, il motivo principale è fare acquisti, ma si può anche andare a socializzare, a mangiare nell'area ristoro e forse anche a vedere i film in alcuni centri commerciali.
2) Comportamento di scorrimento
Gli utenti sono estremamente consapevoli dei contenuti sponsorizzati, soprattutto i Millennial e la Gen Z. Il disclaimer #adv in fondo agli annunci è un segnale automatico per passare al post successivo.
E poiché il tempo trascorso per ogni post su TikTok è più elevato, gli utenti sono maggiormente incentivati a raggiungere il post organico successivo. Il post seguente potrebbe durare 30 secondi, mentre quello successivo ancora potrebbe durare un minuto. Per arrivare alla prossima scarica di dopamina è necessario più tempo per ogni post. Pertanto, gli utenti sono ancora più consapevoli dei contenuti pubblicitari e cercano di evitarli.
3) Gli utenti non vogliono abbandonare TikTok
Terzo e ultimo punto: Il feed video di TikTok crea una tale dipendenza che gli utenti non vogliono abbandonarlo. Cliccare su un annuncio comporta costi enormi per l'utente, il che è legato agli ultimi due punti. Gli utenti vogliono continuare a godere dello scrigno pieno di dopamina dei contenuti video personalizzati. Cliccare su un annuncio significa abbandonare questa esperienza di dipendenza.
Questo è uno dei motivi per cui TikTok ha spinto così tanto i TikTok Shop negli ultimi tempi. Sperano che, mantenendo le transazioni all'interno della loro app, gli utenti siano più propensi ad acquistare. Ma il social shopping deve ancora decollare in Occidente, come dimostra il basso profilo di IG Shops.
Quindi, a meno che non costruisca un'esperienza di checkout impeccabile, TikTok continuerà a faticare a guidare le vendite dirette e i risultati per le aziende.
In estrema sintesi: l’intrattenimento aiuta a fare content marketing; se il business è quello della distrazione, inveve, c’è poco da fare.
Infine, ieri è uscito Professione Content Marketer. Altro genere, altra corsa. Che inizia il 12 giugno in Officine Credem e prosegue al WMF due giorni dopo. E poi con la nuova Classe da La Content, che sarà dedicata proprio a questa professione. Stiamo progettando qualcosa di nuovo con Leandra, un master dentro l’agenzia, con tutte gli imprevisti e le possibilità del caso. Ah, a proposito di libri, una bellissima notizia: finalmente potrò riabbracciare Gianluca Gotto e ospitarlo a Storytelling Festival. Parlerà de Le domande che ti cambiano la vita e lo farà insieme a me in un talk. Non vedo l’ora. Puoi già prenotare il tuo posto a Bari, io intanto mi avvicino all’imbarco sennò è la volta buona che perdo il volo.
Ti mando qualche foto dalla Provenza, se vuoi!