Le parole e i gesti (e gli spot) di Sanremo
Un sito per cercare tutte le parole della storia del Festival, la gestualità degli artisti e l'effetto Super Bowl sulla kermesse più amata (e odiata) dagli italiani.
Ho sempre provato un debole nei confronti delle parole delle canzoni. E devo ammettere che durante la settimana di Sanremo mi diverto tantissimo. Non solo ad ascoltare le melodie, ma anche a soffermarmi sulle parole.
Lo sai che la parola “mascherine” è stata nominata per la prima volta solo quest’anno?
“Balla per restare a galla
negli incubi mediterranei,
che brutta fine le mascherine,
la nostra storia che va a farsi benedire”.
La canzone in questione è Dove si balla di Dargen D’Amico.
Il Cuba Libre, invece, torna per la seconda volta a Sanremo: dopo Davide Van de Sfroos con Yanez, ci ha pensato Ana Mena, nella sua Duecentomila ore. Divertente annotare che Ti amo non lo so dire di Noemi è la quinta canzone di Sanremo a contenere l’aggettivo “stronza” (la prima fu La paranza di Daniele Silvestri, nel 2007). Il corrispettivo maschile si ferma a quota tre, invece, declamato da Marco Masini, Aiello e Rita Pavone. Giovanni Truppi ha riportato a Sanremo “Lucia” che mancava da cinquantuno anni, mentre Sangiovanni ha portato per la prima volta sul palco dell’Ariston un frigorifero.
Brividi di Mahmood e Blanco è la seconda canzone a contenere il verbo “accetterei” dopo Salirò di Daniele Silvestri (2002):
“Accetterei di addormentarmi su un ghiacciaio tibetano”.
Non risultano, a oggi, menzioni sanremesi per le parole “social network”, “Facebook”, “WhatsApp” e “Instagram”, nonostante la presenza di tanti cantanti della Gen Z. A sorpresa, invece, è stato nominato TikTok da parte di Willie Peyote, un anno fa, in Mai dire mai (La locura):
“'Sta roba che cinque anni fa era già vecchia, ora sembra avanguardia e la chiamano It-pop, le major ti fanno un contratto se azzecchi il balletto e fai boom su TikTok”.
Se vuoi divertirti, fai un giro su questo sito: le parole di Sanremo.
(Ringrazio Giuseppe Pastore per gli spunti)
E tu che parola sei andata/o a cercare? Cosa hai scoperto?
L’anagrafe è un ufficio snobbato dal talento
In questa settimana, non ho potuto fare a meno di notare come si sia evoluto il concetto di emozione per gli artisti più giovani. Di questa splendida generazione di nuovi talenti come Sangiovanni, Blanco, Ditonellapiaga e Madame – che quest’anno non è in gara – apprezzo e invidio tantissimo la sfrontatezza, l’incoscienza e la serenità. Sono quelle di Madame che, subito dopo il Festival dell’anno scorso, invia un messaggio alla Pausini, dicendole: “Ho pensato a te mentre scrivevo questa canzone, posso dartela?”. O quelle di Ditonellapiaga che accompagna Rettore come si fossero conosciute trent’anni fa in una discoteca di Riccione.
Uno dei momenti più belli di queste prime serate di Sanremo è stata, a mio parere, l’esibizione di Mahmood e Blanco. Non ho potuto fare a meno di notarlo per primo – per fortuna i social ne sono testimoni, la mia riflessione è uscita su Twitter e su Facebook mentre i due erano ancora sul palco: Brividi è la prima canzone in gara al Festival che viene dedicata da un uomo a un altro uomo. Non parlo di una canzone cantata da uomini, lo avevano già fatto in tanti, da Morandi, Ruggeri e Tozzi in Si può dare di più a Con un amico vicino di Mingardi e Alessandro Bono.
L'anno scorso Damiano dei Måneskin e Manuel Agnelli duettarono sulle note di Amandoti (amami ancora) dei CCCP, rompendo il muro di diffidenza e ostracismo verso le parole d’amore cantate da due uomini. Come se l’unica ricetta possibile fosse quella della coppia uomo-donna. Due stagioni fa, Achille Lauro e Annalisa portarono sul palco del Festival, sempre durante la serata cover, Gli uomini non cambiano di Mia Martini. Lauro restò tutto il tempo un passo dietro Annalisa e non modificò le parole della canzone. “Sono stata anch'io bambina, di mio padre innamorata”, cantò.
Sono piccoli grandi segnali di inclusione: si tratta pur sempre di linguaggio e il linguaggio non è fatto solo di parole, ma anche di gestualità, di movimenti del corpo. E così ho provato subito empatia verso questi due ragazzi giovanissimi e già tanto maturi come artisti che hanno duettato parole d’amore come un tempo avrebbero fatto Anna Oxa e Fausto Leali (Ti lascerò) o Gianni Morandi e Barbara Cola (In amore). Come se ci stessero dicendo che dedicarsi parole d’amore non è una questione di genere, che il machismo non gli interessa ed è finalmente passato di moda, che anche a noi uomini piace piangere, abbracciarci, baciarci, commuoverci.
C'è una tendenza – sempre molto radical-chic, a mio parere – di inutile nostalgia (tema della prossima settimana) verso il tempo che fu: “Questa non è musica, erano meglio i cantanti di una volta, ma come diavolo si sono vestiti”. La verità è che siamo davanti a una generazione straordinariamente talentuosa, che vive il proprio mestiere con spensieratezza, con la sfrontatezza di Sangiovanni che prima di esibirsi dedica un pensiero a Monica Vitti e, alla fine, scherza sul FantaSanremo. È altrettanto bello constatare che ci sono ancora artisti come Iva Zanicchi – tre volte vincitrice di Sanremo – ed Elisa, sulla cresta dell’onda da più di venticinque anni, che si emozionano ancora (e tanto) su quel palco.
La spensieratezza di questi ragazzi e di queste ragazze ci fa pensare che c'è una generazione che sa fare le cose per bene e che sa viverle con la giusta leggerezza. Magari sono semplicemente abituati a una mediaticità quotidiana che vivono sui social oppure – molto più probabile – sono solo l’ennesima dimostrazione che l’anagrafe è un ufficio snobbato dal talento.
Sanremo Super Bowl (Tudum)
Tra una ballad di Mahmood e Blanco e un giro di giostra con Ana Mena, i fan delle serie TV e dei film hanno visto spot di Netflix e Amazon Prime di assoluta qualità. I colossi dello streaming hanno, come accade da qualche anno ormai, utilizzato il Festival di Sanremo – evento che insieme ai Mondiali di calcio riunisce un pubblico particolarmente numeroso davanti alla TV – come piattaforma di lancio. Una pratica che negli States si usa praticamente solo in un’unica, attesissima occasione: la notte del Super Bowl.
L’incontro sportivo, che quest’anno andrà in onda la notte fra il 13 e il 14 febbraio (per noi italiani), è seguito oltre che per l’Halftime Show, anche per i suoi spazi pubblicitari, ormai divenuti la vetrina più importante dell’anno per cinema e TV. Non stupisce quindi che Netflix sia uscita con una pubblicità super, realizzata dal gruppo Publicis Italy. Con una scelta azzeccatissima, lo spot ha ripreso il Tudum che ci accompagna prima di un film o di una serie e che è diventato il vero marchio di fabbrica della piattaforma. Il sound logo – si chiama così quel Tudum – facilita l’apprendimento percettivo del consumatore di un determinato prodotto. “Una melodia” – scrive Mariano Diotto, esperto di neuromarketing – “è un sequenza di suoni più memorabile poiché, quando inizia, il cervello umano si aspetta automaticamente la fine. Proprio come il logo visivo, le qualità essenziali per la memorizzazione di un sound logo sono: l’unicità, la memorabilità e la pertinenza della promessa di marca”.
Ho chiesto un parere anche alla mentor de La Classe (La Content), Simona Ruffino, anche lei studiosa di neurobranding:
Influencer marketing all’Ariston
Da un anno a questa parte, grazie alla mia collaborazione con Ad Mirabilia in ambito di influencer marketing, lavoro per un brand chiamato NEONAIL Italia. Si tratta di smalti semipermanenti e, qualche mese fa, con l’aiuto di Laura Busetti di MIA, si è concretizzata la possibilità di una adv con una delle cantanti. Abbiamo scelto Ana Mena perché, con un milione di follower su Instagram, è una delle più seguite, oltre a rappresentare due country molto importanti per il brand: Italia e Spagna. La manicure dell’artista è stata realizzata da NEONAIL e la cosa più interessante – non posso svelarvi altro perché il progetto è appena iniziato – è il movimento frenetico (e molto ispanico) delle mani di Ana Mena. Miglior ambassador per un brand di smalti non si poteva scegliere – questo si intende quando si dice “mappare per bene” gli influencer.
La mia canzone preferita di sempre
Quando si parla di Sanremo, è difficile scegliere una canzone preferita. Ce ne sono davvero troppe. Però, se dovessi dire la prima che mi viene in mente, sceglierei un testo di Luca Barbarossa, una canzone dedicata alla mamma. La più bella mai scritta dopo La Cura di Franco Battiato (che però non è mai stata in gara).
“Parlami di te,
di quello che facevi
se era proprio questa
la vita che volevi,
di come ti vestivi,
di come ti pettinavi,
se avevo un posto già
in fondo ai tuoi pensieri”.
Qual è la prima canzone che ti viene in mente? E, secondo te, perché certe parole non smettono di smuoverti qualcosa dentro?
Nel mio caso è perché non ho mai voluto conoscere l’età di mia madre. Ho sempre pensato che le mamme non debbano averla, un’età.
“Ma io ti sento sempre accanto
anche quando non ci sono,
io ti porto ancora dentro
anche adesso che sono un uomo”.
Questa storia l’ho raccontata anche nel mio romanzo, 24 dicembre (Les Flâneurs).
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Aspetto le tue risposte e ti auguro uno sfavillante fine settimana, che ti piaccia Sanremo o no.