L'uomo del monte è un latifondista
Dove si parla delle caramelle gommose di Sinner, di un uomo che ha detto troppi sì, di take-away al lido, lavanderie social(i) e bagnanti che diventano cartelli pubblicitari.
Darren Cahill, allenatore di Sinner, ha raccontato una bellissima storia a proposito di quello che è successo dopo la finale persa al Roland-Garros.
Uscendo dalla sala giocatori per salire in macchina, Sinner si è fermato davanti a un grosso barattolo di caramelle gommose.
La maggior parte dei giocatori ci passa davanti senza problemi per rispetto verso il proprio nutrizionista. Alcuni ne prendono una o due come dolcetto o souvenir. Sinner ha preso l'intero barattolo e ha distribuito caramelle al team. Fu in quel momento che Cahill capì che sarebbe andato tutto bene”.
Il minimalista della comunicazione
Sinner ha vinto Wimbledon - evviva Sinner - ma c’è qualcosa di lui che va oltre i colpi vincenti. Con il suo linguaggio essenziale, genuino e raggiungibile, ha segnato un nuovo paradigma della comunicazione. Si tratta di una sorta di autenticità silenziosa, guidata da un netto rifiuto del dramma (tecnica molto praticata, ad esempio, da un altro campione italiano: Gianmarco Tamberi).
Parlare di strategia comunicativa sarebbe un po’ forzato. Siamo piuttosto di fronte a una linea comunicativa indistruttibile, che non varia di un millimetro e non cambia mai registro in base a vittorie, sconfitte, accuse ed elogi. Il tono è sempre lo stesso, la coerenza funziona perché è reale e la credibilità rimane perché ça va sans dire, è sorretta dai risultati.
Questa aura di anti-divo lo rende un autentico minimalista della comunicazione. Dimentichiamoci i cliché dei biopic sportivi alla Borg-McEnroe. Niente campioni ribelli che fracassano racchette in campo. Sinner è riuscito a trasformare il tennis in un fenomeno pop come nessun "bad boy" aveva mai fatto prima, grazie alla sua comunicazione incontaminata che arriva dritta al punto. Perché, in fondo, quando si ha il coraggio di sottrarre i fronzoli, il messaggio arriva non solo forte e chiaro, ma con una risonanza inaspettata.
Sono stati fatti molti paragoni con i campioni italiani del passato, ma l’unico che veramente si avvicina a lui per struttura fisica, fame, voglia di primeggiare e al tempo stesso per autenticità comunicativa è Pietro Mennea.
L’uomo del Monte è un latifondista
Autenticità e innovazione fanno decollare i brand e chi non sta al passo subisce l’effetto opposto. È una dinamica sfortunata, capace persino di decretare il fallimento di un colosso come Del Monte dopo quasi 140 anni di storia. La bancarotta di un marchio così radicato nell'immaginario collettivo non è frutto di un mero declino economico, ma cela una prolungata defaillance comunicativa, nonché un’insistenza fin troppo prolungata su un tipo di storytelling: quello dell’uomo del monte che dice sì.
Guardatelo l’uomo del Monte: vestito di bianco, con un panama in testa, si reca nelle piantagioni vestito di tutto punto e si limita a dire sì. Potremmo dire che è un uomo che delega molto, in realtà ha tutta l’aria di un latifondista etero bianco.
Non è usuale soffermarsi sulle disfatte di brand che hanno segnato la nostra memoria, eppure è proprio qui che si rivela un meccanismo ormai incontestabile: se attingere al passato per creare nuovi immaginari è una strategia potente, affinché funzioni davvero, è necessario reinventarsi, non limitarsi a un'auto-conservazione sterile.
Con il suo linguaggio anacronistico, Del Monte ha continuato a raccontare la stessa identica storia e ha attraversato epoche diverse con la stessa implacabile andatura. Ignorare le trasformazioni radicali nelle aspettative del pubblico, significa rivolgersi a un consumatore che non esiste più. Il core business della frutta e verdura in scatola, un tempo vincente, ha perso mordente perché forse non ha saputo intercettare la ricerca spasmodica di freschezza, trasparenza e sostenibilità che oggi guida le scelte del consumatore.
Io che detesto i cliché dell’uomo che non deve chiedere mai, dato che se non chiedi non sai, dato che adoro Wharol e Wilde, dato che se mi cerchi mi troverai nel viavai di un gay pride. (Caparezza, La mia parte intollerante)
E poi dire troppi sì non paga, un po’ come l’uomo che non deve chiedere mai, che in fondo è la stessa faccia dell’altro lato della medaglia.
Washing coworking
Ne ha parlato anche Antonio Bellu quando ci ha suggerito come evitare la “narrazione stanca” dandoci un ottimo esempio di qualcuno che ci è riuscito alla grande: Celsious.
È un'innovativa lavanderia con sede a Williamsburg, Brooklyn, New York, fondata dalle sorelle Corinna e Theresa Williams nel 2017. La sua missione è rendere un’esperienza noiosa come quella di fare il bucato in un’attività piacevole e sociale.
L'hanno fatto guardando oltre il semplice servizio. Hanno aggiunto una zona bar e uno spazio comune dove incontrarsi, reinventando un'attività antichissima senza snaturarla, ma arricchendola di significato. L'attesa diventa quasi il motivo principale per cui si va in lavanderia. E non è tutto: Celsious punta forte sulla sostenibilità, usando prodotti ecologici come il loro "Corewash" e macchinari a basso impatto, creando un terreno fertile per conversazioni tra persone che condividono gli stessi valori tra loro e con il brand.
Nessuno si sarebbe mai aspettato che una lavanderia potesse diventare un luogo di ritrovo. Nessuno tranne me, che ho dovuto sperimentare sulla mia pelle cosa vuol dire vivere per sei mesi in una casa senza lavatrice. Ma questa è un’altra storia e avremo tempo di raccontarla. Come sottolinea Bellu, la vera potenza del marketing e dello storytelling sta proprio nell'innesto di un elemento imprevisto in un contesto comune, quasi banale. Diventa poi un'operazione vincente quando sposta totalmente il focus dal servizio ai suoi fruitori. E se teniamo conto della riscoperta voglia di costruire connessioni reali, il timing di Celsious è stato perfetto.
Vibes is better than luxury
Un altro caso che merita menzione per la sua ascesa è quello di Rhode, l'emergente brand di make-up fondato da Hailey Bieber: nonostante la giovane età, questo marchio non ha sbagliato un colpo. Sarebbe un errore pensare che la sua identità dipenda unicamente dalla popolarità di Hailey, perché anche qui, il vero protagonista della comunicazione non è un generico "consumatore", ma IL consumatore perfetto che condivide le sue vibrazioni. Certo, Hailey Bieber è una personalità di enorme impatto, ma Rhode ha saputo forgiare una propria identità: coesa, minimale, distintamente gialla e fresca. E ora, il suo potente posizionamento visivo sta evolvendo in qualcosa di profondamente esperienziale.
L'ultima trovata per quest’estate è stata l'organizzazione di un Summer Club a Maiorca. Gli invitati? Un mix strategico di creator e influencer, non solo i macro, ma soprattutto i micro. A Rhode, infatti, non interessa il numero di follower, ma quanto i profili degli invitati risuonino perfettamente con le vibes del brand. Questo evento dal vivo ha creato lo sfondo ideale: persone da tutto il mondo che amano autenticamente il brand, che sognano di visitare Maiorca e che, naturalmente, sono perfette per comunicare quell'esperienza, generando un'eco potentissima. Anche in questo caso, puntare sull'esperienza diretta del consumatore si rivela un'operazione non solo strategicamente vincente nell'immediato, ma anche lungimirante.
È interessante notare come l'estetica della spiaggia sia stata tradizionalmente appannaggio dei brand di lusso. I marchi più giovani e "relatable" fino a ora evitavano di replicare scenari così patinati, sapendo che la competizione con nomi già affermati sarebbe stata spietata. Rhode, invece, ha dimostrato come si possa democratizzare il lusso esperienziale, rendendolo accessibile attraverso un'identità forte e una comunicazione mirata.
Un’estate al mare (per i brand)
Ma gettiamo l'ancora su un fenomeno ancora più intrigante: la conquista delle spiagge e la pratica del Lido Takeover. Non si tratta più del solito spot patinato con modelli perfetti al tramonto, c'è qualcosa di ben più astuto e strategico dietro l'inesorabile migrazione dei marchi verso il litorale.
La spiaggia diventa il "contro-palco" per eccellenza, dove il brand può agire piuttosto che parlare. È un'operazione di PR volta a generare passaparola, notiziabilità e instgrammabilità.
Altri brand, oltre a Rhode, stanno ambientando le loro strategie in spiaggia:
Jacquemus: ha elevato il beach club a un vero e proprio prolungamento della sua estetica mediterranea e lussuosa. A Monte-Carlo, ha curato ogni dettaglio, dai lettini agli ombrelloni, con i colori distintivi della sua collezione. Ha trasformato l'ambiente balneare in una boutique a cielo aperto, offrendo un'esperienza esclusiva che unisce moda e lifestyle.
Dior (con Dioriviera): per la sua fragranza "Dioriviera", la maison ha scelto location di prestigio come "Il Riccio" a Capri, trasformandole in vere e proprie destinazioni immersive. Hanno offerto non solo una boutique temporanea raggiungibile via mare, ma anche esperienze di alta cucina e servizi esclusivi, fondendo alta moda, gastronomia e l'esclusività del Mediterraneo per creare eventi multisensoriali.
Netflix Italia (con Lido Mercoledì): spingendosi oltre il proprio core business di streaming, Netflix ha creato un luogo fisico legato a una serie popolare: il "Lido Mercoledì" a Roma. Questa iniziativa permette ai fan di vivere un'esperienza immersiva a tema, rafforzando il legame emotivo con il contenuto e generando un passaparola autentico in un contesto inaspettato e divertente.
E se molte aziende hanno pensato di "brandizzare" ombrelloni e lettini, c'è qualcuno che è andato anche oltre. Un brand non di lusso che ha reinterpretato in modo ancora più personale il marketing da spiaggia, trasformando il bagnante stesso in un veicolo di comunicazione. Parliamo della campagna "Autentica Ossessione" di Gruvi, firmata da AUGE, che ha letteralmente trasformato le schiene dei vacanzieri in affissioni da spiaggia.
Siamo abituati al cocco bello e ai volantini delle escursioni in barca che ci vengono a trovare sotto l’ombrellone, interrompendo il nostro relax. Invece, con Gruvi, la dinamica si ribalta: questi "pannelli umani" non invadono il nostro spazio, sono fermi nel loro, a godersi la giornata e a svolgere gesti comuni. Si confondono tra la gente e, paradossalmente, sono loro a essere discreti, quasi invisibili, finché non siamo noi a decidere di avvicinarci. Se la schiena ci suggerisce un gelato, la scelta di "leggere" e avvicinarsi è totalmente nostra.
Nell'ultima edizione di Storytelling Festival, quella del 2024, non ci siamo limitati ad invitare dei brand e chiedere di raccontarci la loro storia. Li abbiamo sfidati, chiedendogli di alzare l'asticella della narrazione e di sfruttare al massimo il palco e il teatro. Una delle prime ad accettare la sfida è stata Norma Rossetti di MySecretCase, che ha messo in scena un vero e proprio spettacolo contro gli stereotipi della sessualità. Un monologo intenso e appassionato nella prima parte, poi il coinvolgimento del pubblico che ha scritto lettere liberatorie e anonime, ognuno al giovane se stesso/a confidando timori, paure, gioie e ossessioni della sessualità.Alcune di quelle lettere saranno parte del libro che Norma pubblicherà per una importante casa editrice. Sapere che è nato sul nostro palco, mi riempie di orgoglio. Quest'anno avremo un palco ancora più prestigioso, quello del teatro Piccinni di Bari, ed ho scelto altri brand in grado di mettere in scena qualcosa di più di una case study. Trovate già sul sito de La Content nella pagina dedicata a Storytelling Festival. Da noi le storie accadono, e lo fanno nella migliore dimensione possibile. Il 24 e 25 ottobre vi aspetto a Bari per un evento che non succede da nessuna altra parte. Perché solo qui curiamo il come almeno quanto il cosa (raccontare).
Video kills the podcast stars
Come analizzato da Andrea Girolami di scrollinginfinito, nel vortice dei contenuti digitali, c’è una battaglia silenziosa che ha trovato il suo vincitore: il video ha battuto l'audio. Un esito che, se analizzato a fondo, rivela dinamiche affascinanti e costringe persino giganti del settore come Spotify a cambiare rotta, inseguendo un modello che sembrava non appartenergli.
Pur avendo puntato forte sui podcast audio, Spotify si è trovata di fronte a una dura realtà: la distribuzione degli ascolti è estremamente polarizzata. Pochi titoli dominano la scena, mentre la maggior parte arranca. Il tentativo di rendere pubblici i numeri di ascolto si è scontrato con proteste e ritirate strategiche, proprio perché i dati mostravano una base di ascolto spesso troppo esigua per giustificare gli investimenti. Un chiaro segnale che l'audio, da solo, fatica a mantenere la promessa di un pubblico vasto e distribuito.
Il podcast audio, per sua natura, è un formato difficile da "sfogliare". Non puoi scorrere velocemente per trovare il momento chiave, o farti un'idea del contenuto con un'occhiata. Il video, invece, è intrinsecamente più navigabile. Basta uno screenshot, un'espressione, un frame accattivante per catturare l'attenzione e suggerire il contenuto. Questa immediatezza visiva è un vantaggio competitivo enorme nell'economia dell'attenzione.
Nonostante Spotify si sia posizionata come la casa dell'audio, il vero "luogo" dove i podcast (anche quelli nati solo come audio) trovano la loro massima risonanza è YouTube. Il perché è legato a diversi motivi. In primis, la piattaforma video permette di spezzettare i contenuti in "snippet" visivi perfetti per la viralità su piattaforme come Instagram e TikTok. Una reazione eloquente di un ospite, un'espressione colta al volo, una frase d'impatto, tutto diventa un micro-contenuto che si auto-propaga, portando poi l'utente al video completo.
Ma al di là di questo, il video aggiunge uno strato di autenticità e umanità che l'audio non può replicare. Vedere le espressioni degli ospiti, le loro reazioni non verbali alle domande, i loro sguardi, crea una connessione emotiva molto più profonda con lo spettatore. Non è solo ciò che viene detto, ma come viene detto e "sentito" dagli interlocutori, a rendere il contenuto irresistibile. E questo è uno spaccato della nuova metrica della fiducia e dell'engagement.
Di fronte a queste evidenze, la mossa di Spotify di lanciare la sua sezione video podcast non è un azzardo, ma una necessità strategica. È il riconoscimento che per dominare il mercato dell'ascolto (che oggi include sempre più il "guardare"), bisogna abbracciare il formato che vince sul piano dell'engagement, della viralità e delle connessioni autentiche e "sfogliabili". Il futuro dell'audio passa, paradossalmente, dagli occhi.
Un ringraziamento personale
Non sono solito fare post di auguri, ma per Nicolò Andreula va fatta un'eccezione. Questa settimana Nic ha compiuto 40 anni, gli ultimi 5 li abbiamo dedicati a cercare di cambiare (contribuire a...) la percezione della nostra città. Credo che ci siamo riusciti, grazie all'aiuto di molti. Ma non è questo il tema, non è questo che mi porta a scrivere due righe sentitissime, di quelle che vengono dal cuore e non hanno secondi fini, obiettivi di engagement, non puntano al networking. È molto probabile che se non ci fosse stato Nic, tra l'inizio dell'inverno e la fine della primavera di questo anno che non ricorderò come il migliore della mia vita, le cose avrebbero potuto prendere una piega peggiore.
Si parla spesso di persone fortunate e con dei privilegi, e Nicolò non ha mai negato di essere una persona che dalla vita ha avuto tanto, ma quanti come lui sono disposti a dare? La differenza è tutta lì. A me lui ha dato tutto quello che poteva darmi, senza risparmiarsi mai. Una volta in uno speech che facemmo insieme, qualche anno fa, dissi "Non so se io Nicolò possiamo consideraci amici". Lo dissi perché ci conoscevamo da poco tempo e io sono sempre molto diffidente verso le amicizie che si creano da adulti. Non c'è mai il tempo per conoscersi abbastanza. Oggi posso dire che quella volta sbagliai, perché da grandi si possono costruire amicizie vere, solide, importanti. Ci sono cose che devono restare tra noi, perché non è giusto né che io parli di quanto di brutto mi è capitato e delle difficoltà che ho dovuto affrontare, dei miei demoni e delle mie paure, né che faccia l'elenco di quello che Nicolò ha fatto per me, senza chiedere mai mai nulla in cambio. Se non l'amicizia che ci siamo reciprocamente dati. E se pensate che nel mondo del lavoro non si possano creare dei veri legami, be' vi sbagliate. Un giorno questa storia la racconterò sul serio, senza risparmiarmi. Per ora, tanti auguri a Nic con l'immagine di questa notte ancora nostra, quella di ABCD.
Io sono Cristiano Carriero, storyteller, fondatore de la Content, autore e speaker e questa è L’ho fatto a Posta, la mia nicchia di lentezza in un mondo che va troppo veloce. Siccome questa è la penultima puntata prima della pausa estiva, un po’ di anticipazioni sui progetti che abbiamo in cantiere in autunno:
Parte la nuova Classe di Content Strategy e AI Storytelling
il nostro master formula weekend in programma dal novembre ad aprile. Cosa prevede?
40 ore con professioniste e professionisti del settore come Edoardo Scognamiglio, Fulvio Julita, Francesca Marchegiano, Davide Bertozzi, Enrico Marchetto, Carlotta Carucci.
16 incontri online e dal vivo
teoria e laboratori pratici
10 lezioni online live (e registrate), il sabato dalle 10.00 alle 12.00
3 weekend di esercitazioni pratiche online con tutor
2 workshop extra online
un project work finale in presenza a Bari
lavoro a contatto con realtà aziendali
attestato di partecipazione
Si tratta di un corso dedicato a freelance, creator, social media manager, marketer, storyteller, designer, copywriter, ma anche a chi vuole dare un boost alla propria carriera nel digital, in agenzia o in azienda.
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-"La gioia di scrivere" con Lucy Sulla Cultura, un percorso con l'autore ed editor Matteo B. Bianchi per imparare a trasformare idee ed esperienze in storie che sappiano trasportare sulla pagina il mondo che abbiamo dentro.
Se ha dubbi, domande, curiosità, scrivimi pure a cristiano@lacontent.it
È tutto, fa buon weekend!
ps: da qualche mese Google ha deciso di spostate le newsletter di Substack nella sezione “aggiornamenti”. Se non vuoi perderti L’ho fatto a Posta, spostala in “Principale”. E se ti ho dato spunti interessanti, aiutami a farla conoscere a nuove persone! Grazie!