Non partire
Dove si parla di restanza, di negazioni che secondo il marketing non funzionano, di viaggi dell'eroe e di ritorni. E del nuovo senso del rimanere.
La nuova campagna de La Classe, realizzata per noi da Luca Pagliara e The Brand Identity, inizia con una negazione. Inizia e finisce, in verità: la negazione è “Non partire”. Ora, io lo so che ci sono manuali di marketing che insegnano a non iniziare una frase con una parola negativa, ma dopo 15 anni di lavoro, di tentativi, di lanci, di post di successo e di clamorosi flop - chi non ne ha collezionati -, questa teoria è una grande cazzata.
L’errore è pensare che per essere persuasivi dobbiamo mostrare mondi (finti) incantati fin da subito, usare parole positive, quando noi non ragioniamo per parole, ma per concetti. Una delle prime canzoni che ho imparato a memoria, quando ero bambino, si chiama “Gli altri siamo noi”. Siamo a Sanremo, è il 1991, il buonismo incombe - in fondo era andata bene qualche anno prima con “Si può dare di più” e Umberto Tozzi attacca con “Non sono stato mai più solo di così”. Adesso tu mi prenderai per pazzo, ma io non ho mai dimenticato quell’attacco: ero proprio curioso di sapere perché.
Non partire, quindi.
Perché uno dei capisaldi dello storytelling è il viaggio dell’eroe. E di viaggi posso raccontartene tanti: c’è quello di Ulisse che deve tornare a Itaca, e che comincia in media res; quello di Foscolo che a Zante non arriverà mai a toccare le sacre sponde, c’è quello di Renato Zero che “non è un’impresa da niente”. A proposito, guarda caso anche la sua canzone inizia con una doppia negazione: “Non è mai facile un ritorno non è, impresa da niente. Ma finalmente arriva il giorno in cui tu, fai pace con te”.
Anche se per gli altri sarà… follia.
Ma il viaggio dell’eroe può anche non iniziare mai
Siamo erroneamente convinti che il marketing abbia delle regole immutabili. Che la persuasione sia più importante dell’emozione e che i nostri riferimenti, quando scriviamo per lavoro, siano i manuali, e non i romanzi. Le dieci regole del cazzo e non l’infinità di riferimenti che ci arrivano dai libri, dai film, dalle canzoni. Abbiamo dimenticato quanto può essere potente la scrittura, come può trasformare una percezione una mail (o una lettera), l’occasione di donare qualcosa di veramente unico al destinatario. Ci soffermiamo su una regoletta stupida che ci hanno tramandato, e non sul significato di quella frase.
Eppure io sono partito, e tutto sommato non sono ancora tornato. Non so quanto sarà ancora lungo il mio viaggio, e adesso che ci penso non sono nemmeno un eroe. Ma ho sempre sognato di poter scegliere: di arrivare in stazione con la mia valigia o il mio trolley e poter dire “No, stavolta non vado. Stavolta non lo prendo questo treno. Non ci salgo su questo aereo”. Stavolta resto. È una possibilità, non una presa di posizione. È come sentirsi ancorato e insieme spaesato in un luogo da proteggere e nel contempo da rigenerare radicalmente.
Il viaggio di chi resta e i legami di chi parte
Stamattina all’Università di Urbino parlerà di Restanza, di quanto partire e restare siano i due poli della storia dell’umanità. Da una parte - come cita un libro di Vito Teti che si chiama proprio “Restanza” si mostra il dolore dei migranti, che nasce dall’abbandono delle proprie radici e dal senso di alienazione e, dall’altro, quello della scelta difficile e dolorosa di chi sceglie di rimanere. Il viaggio di chi resta e i legami di chi parte, la necessità di rapportarsi in modo nuovo con la terra d’origine per entrambi poiché restare e migrare sono esperienze inseparabili. Ma sullo sfondo vi è sempre l’anima dei luoghi che chiama a sé, che ammalia, che ci dà forma e memoria, ma che richiede fedeltà e cura. Come la mia Bari, ad esempio.
Restanza, la scelta di restare, è parola colma di ambivalenze semantiche, portando con sé malinconia, nostalgia, erranza, vive di contrasti e di rimandi, ma in un ripensamento del termine sembra perdere quelle connotazioni negative di “immobilismo” e di “rinuncia” per aprirsi a nuovi orizzonti, a “luogo di un possibile futuro”. In questo senso, il nostro “non partire” diventa una restanza responsabile e innovativa capace di conservare la nostalgia, ma guardare al futuro dando un senso nuovo al rimanere.
Non partire.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta.
ps: mi premeva più spiegarti come nascono certe campagne, da quali riferimenti. Ma se ti interessa, il corso di Digital Storytelling inizia la settimana prossima con due open day. Uno online e uno in aula, a Bari.
Se sei interessato ad assistere - è gratis, è open - puoi rispondermi a questa mail. È l’unico modo per farlo.
pps: altre belle discussioni sullo storytelling, su La Circle. Non c’è più una subscription, ma appena entri - anche qui è free - ti chiedo di presentarti e raccontarti in poche righe. Ogni buona storia inizia così. Buon fine settimana!
Molto interessante!
Dobbiamo crederci nella Restanza.... è bello vedere le nostre città del sud valorizzate da menti vivaci....menti che vogliono vivere bene e lavorare dove si è nati!!