Non ti disunire
Dove si parla di work-life balance e di eccessi, di scissione, di stanchezza e di entusiasmo. E di una serie TV che vale proprio la pena guardare.
Se domani la tua azienda ti concedesse la possibilità di scindere completamente la vita privata da quella professionale, che cosa faresti? Ti piacerebbe? Saresti affascinato da questa possibilità?
È il tema centrale e assolutamente attuale di una serie TV, creata da Dan Erickson e diretta in parte da Ben Stiller, che ha attirato la mia attenzione in questi giorni. Severance è un thriller psicologico ambientato in un mondo distopico, a volte con un taglio di satira (ironica, pungente e, al tempo stesso, drammatica) del mondo del lavoro. Il tutto condito da una cura dei dettagli a livello maniacale. Ottima recitazione, production design stupefacente, sceneggiatura e regia ad altissimi livelli. Musica (sigla) geniale.
Il protagonista è Mark, un dipendente della Lumon Industries che accetta di essere sottoposto a un programma molto particolare: i suoi ricordi personali verranno divisi da quelli di lavoro attraverso una vera e propria separazione chirurgica tra la vita privata e quella professionale. Un sogno per molti datori di lavoro (ma anche per tanti dipendenti), insomma, chiaramente mostrato come critica sociale.
Quando i dipendenti della Lumon Industries entrano in ufficio, non ricordano niente della vita al di fuori del lavoro. Succede grazie a un chip che hanno impiantato nel loro cervello, dietro consenso, che è però conditio sine qua non per poter lavorare. Non ti spoilero altro, se non che sono andato a fare un po’ di ricerche su questa serie e ho scoperto, grazie a Luca Conti, che hanno creato una pagina LinkedIn che ricalca in modo fedele quella dell’azienda e che esiste il sito ufficiale della Lumon, con tanto di wellness room e – cosa più inquietante – con il claim del “portale aziendale”: Committed to work-life balance.
A cui fa seguito un’affermazione che suona come una promessa:
We’re making the work experience better than ever.
La serie si apre con questa scena: una sorta di crocifisso contemporaneo del lavoratore. Una rappresentazione iconica: la lavoratrice è spalmata sul tavolo e un apparecchio per le videocall prova a comunicare con lei. In questo fermo immagine ci sono tutta la nostra stanchezza, la rassegnazione, la confusione e l’angoscia. Angoscia che cresce, fotogramma dopo fotogramma, anche grazie al design degli uffici: asettico, rassicurante fino allo sfinimento, perfetto all’interno di un mondo in cui, fuori da quegli spazi, accade l’esatto contrario.
La visione di Severance arriva in un momento in cui rifletto sempre di più sulla stanchezza a lavoro. Sono settimane che leggo confessioni di amici e colleghi sulla nostra condizione di lavoratori stanchi. Forse perché il digitale ci ha consumato, magari perché nel post pandemia ci rendiamo conto che, per molti di noi, dieci/quindici anni di lavoro hanno avuto un peso specifico in termini di stress e di stimoli (positivi e negativi) che nessuna delle generazioni precedenti aveva accumulato. Una delle riflessioni più profonde l’ho letta da Riccardo Scandellari:
Quando tutto nella tua vita va ottimamente, nel lavoro, nelle relazioni e negli affetti, si dice che viviamo in una bolla, una zona di comfort che ci rende appagati e soddisfatti. Purtroppo, l’esperienza ci insegna che questa zona di comfort potrebbe spostarsi. A un certo punto, ci ritroviamo – per cause che non dipendono da noi – fuori dalla “bolla”, in cerca di una nuova dimensione in cui ritrovare la perduta serenità.
Sto parlando di uno stato mentale, non parlo solo di soldi, di affetti e di affermazione professionale. Sto parlando di appagamento per quello che si è, di prospettive future e dell’ecosistema che ci circonda.
Un giorno potrebbe succedere anche a te – come è accaduto a me – che un pezzo del tuo mondo crolli e che ti debba muovere per raggiungere una nuova “bolla” in cui vivere sereno.
Molto coinvolgenti anche le parole di Silvia Schiavo, Direttrice di Holden Pro, che esordisce così in un suo post su LinkedIn:
- Sono così stanco…
- Per quanto mi piaccia il mio lavoro, ultimamente non ne ho proprio voglia.
- Cerco di fare tutto, ma l’energia non è la stessa di prima.
Ancora una volta, il tema della stanchezza. Eppure non si tratta di eterni scontenti. Continua Silvia:
Non si tratta di lamentele di chi non è mai contento, anzi.
Sono parole di professionisti appassionati del proprio lavoro che riconoscono il momento di profonda stanchezza con un tono tra l’incredulo, il triste e l’imbarazzato.
Silvia fornisce anche una soluzione: la condivisione.
Ma siamo libere e liberi professionisti, non androidi. Anche le nostre energie e risorse sono preziose – e limitate. Concediamoci la libertà di amare il nostro lavoro e di provare stanchezza, tristezza.
Ho letto molte altre riflessioni interessanti: vale la pena citare Luca Carbonelli che, in suo post, afferma che Quelli del digitale, quelli seri, si stanno tirando indietro – che di per sé è una sentenza fortissima – ed Ella Marciello, che intitola la sua ultima newsletter “Il lavoro è intollerabile”.
Ecco, ho sentito in tutte una stanchezza molto più che latente, una stanchezza reale e percepibile su più livelli. Una stanchezza vera, che si tocca con mano, che non è arrivata di botto, ma ha serpeggiato strisciando attraverso gli anni per approdare nel qui e ora e apparirci intollerabile.
All’indomani delle dichiarazioni di chef, imprenditori, personalità varie che si sono sperticate nella consueta narrativa che vuole ə giovanə non aver voglia di fare la gavetta e quindi per esteso di lavorare, mi sono seduta un attimo, ho contato fino a otto (perché a dieci non ci sono arrivata) e poi finalmente detto un gigantesco vaffanculo.
Certo, resta il tema fortissimo di chi il lavoro non ce l’ha e vorrebbe tanto sentirla questa stanchezza o di chi deve ancora iniziare e si sta chiedendo se, per caso, non siamo tutti un po’ esagerati. Io l’ho riassunta così.
Noi quarantenni siamo l’unica generazione professionalmente spremuta, martoriata, frustrata, non difesa e inappagata che dovrebbe andare in pensione domani e invece, se tutto va bene, ci riuscirà a settant’anni. Solo una cosa può salvarci: l’entusiasmo. Cerchiamolo, difendiamolo e, se non lo troviamo, fermiamoci noi.
Ecco, l’entusiasmo è l’unica, vera forza. Aggiungerei il cambiamento, ma mica è detto che bisogna cambiare lavoro, eh. A volte, è sufficiente cambiare noi.
Mi raccomando, non ti disunire. E, se puoi, non scinderti.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta. Oggi ti scrivo dalla Sardegna e, anche se mi immaginerai in occhiali da sole e infradito, sappi che è cattivo tempo e piove. Però sono a un bell’evento su sport e territorio.
Fa’ buon weekend e raccontami come te la passi. Sei stanco/a anche tu?