Ogni storia comincia prima del suo inizio
Dove si parla di una settimana di lavoro remoto, ma nemmeno poi così tanto.
Sapete perché i dettagli sono importanti, in un racconto? Perché danno tridimensionalità e profondità. Perché attivano i nostri sensi e trasformano la lettura o l’ascolto in una esperienza multisensoriale. È così che si catturano le persone.
Passare una settimana in un Coliving Coworking e osservare altre persone mentre lavorano è un’esperienza che consiglio a tutti e tutte. È il secondo anno che faccio questo viaggio insieme a “nuovi amici” - torneremo su questa definizione nel corso della newsletter - come Giulio Xhaet, Nicolò Andreula, Alin Ionescu, Federica D’Armento, Nicola Lipari, Ilaria Carofiglio.
Lavoriamo per aziende diverse, abbiamo orari e abitudini differenti: c’è chi è più mattutino, chi preferisce dedicare le prime ore della giornata al surf, chi cucina a pranzo, chi stacca per andare a fare una passeggiata, e chi - come me - ha deciso di lavorare con più intensità nella prima parte della settimana per prendersi il venerdì libero e godersi l’isola, il mare, e questo insolito (per noi) caldo di dicembre. Dedichiamo sempre grande attenzione a ciò che facciamo, per lavoro, ma dovremmo concentrarci di più sul “come” lo facciamo.
Certe isole col sole al posto giusto
con un vento sempre fresco
che s'insinua malizioso e disonesto.
E piano piano si confonde
col rumore fastidioso e sempre uguale delle onde
delle onde.
Prémiati
Stare in un posto diverso significa avere voglia di fare tante altre cose, di chiudere prima il pc, di uscire. C’è tanto mondo lì fuori: il surf, la lezione di yoga, la cena da fare tutti assieme. Arriva un momento in cui smettere di lavorare diventa una necessità, e ciò che viene dopo è un premio. Penso che dovremmo premiarci più spesso: spesso non ci facciamo caso, ma c’è tanta vita anche nella nostra routine quotidiana, eppure non la abbracciamo. Ce lo meritiamo. Lavoriamo tanto, siamo esposti come mai prima nella storia. Attaccabili su tutti i fronti: mail, Slack, Teams, WhatsApp. Trovare un paio d’ore di concentrazione è diventato complicatissimo: spesso dobbiamo bloccare uno slot in calendario e persino spiegare a cosa ci servono quelle due ore di concentrazione. Come se lavorare fosse, semplicemente, dare delle risposte.
Che leader sei?
Ammetto di non aver mai faticato tanto a scrivere: devo consegnare un libro e una serie podcast (sono a buon punto, eh). Per scrivere, devo togliere tutte le notifiche, evitare il gorgo dei messaggi che generano altri messaggi, delegare molto. Essere un buon capo, insomma. E non sempre ci riesco. Sto leggendo un libro molto interessante, si chiama The nine types of leader, e spiega l’importanza di scegliere il tipo di leadership che vogliamo avere, evidenziando i punti di forza e di debolezza di ogni stile.
I leadertypos più vicini a me sono il Lover, il Diplomat e il Seller. Trovare la quadratura del cerchio tra tre tipi di personalità così differenti è molto difficile: un Lover è un leader che segue molto il cuore, crede in cose dalle quali la razionalità consiglierebbe di stare alla larga; il Diplomat penso non abbia bisogno di traduzioni. Devo dire che 25 anni di arbitraggio (e di insulti) hanno contribuito ad affinare le mie capacità diplomatiche.
Il Seller è un venditore e, sebbene il mio stile sia molto lontano da quello commerciale, devo ammettere che i numeri dicono che ho sempre venduto bene. Forse perché lo faccio lavorando molto sul cuore, sulle emozioni e sulla diplomazia.
Da grandi
Una cosa molto divertente che ho fatto qui a Fuerteventura è stata cantare al karaoke insieme a Giulio Xhaet. Prima parlavo di “amici nuovi”; Giulio li definisce partner in crime. La sostanza, però, è che ci sono persone che conosciamo “Da grande” (giusto per citare un suo titolo) e con le quali stabiliamo immediatamente una affinità. Credo che questo video dica molto, al di là delle nostre (in)capacità canore. Entrambi siamo arrivati al mondo della comunicazione seguendo percorsi meno canonici del master in marketing; tutti e due abbiamo velleità artistiche. Entrambi abbiamo trasformato la frustrazione in passione verso quello che facciamo ogni giorno. Entrambi non abbiamo ancora deciso cosa fare da grandi. Ieri abbiamo cantato insieme, ed è stato bellissimo. Ma il segreto è “scegliere la canzone giusta”. Il resto è il “come”, anche qui.
Vuoi ascoltare il podcast di Da grande? Eccolo qui!
Altrimenti ti tocca ascoltare me e Giulio che cantiamo Don’t back in anger!
Stiamo lavorando “da remoto”, ma oggi remota appare, più che altro, la possibilità di vivere con serenità la propria carriera lavorativa. Remota sembra anche l’opportunità di conciliare davvero il tempo da dedicare al lavoro con quello per sé stessi: una corsa senza telefono, un pranzo come si deve, un libro da finire.
Lavorare senza ansie né sensi di colpa. Non confondere la leggerezza con la superficialità. Ambire a essere responsabili, ma leggeri.
Questa sì che è una prospettiva di vita.
Io sono Cristiano Carriero: storyteller, speaker e nomade (non necessariamente digitale). Questa è L’ho fatto a Posta, la mia nicchia di lentezza in un mondo che corre troppo veloce.
I dati: informazione o storie?
Sto iniziando a lavorare sulla nuova edizione di Storytelling Festival: tra qualche settimana annuncerò i primi speaker! Nel frattempo stiamo pubblicando i video degli interventi dell’edizione 2024. Oggi è il turno di Donata Columbro, giornalista e data humanizer, che ci invita a riflettere sul potere e sui limiti dei dati, smontando il mito della loro neutralità e imparzialità.
I dati non sono semplicemente numeri o verità assolute: sono il risultato di scelte umane, di inclusioni ed esclusioni che determinano quali storie vengono raccontate e quali restano invisibili. In questo intervento, Columbro esplora il significato profondo dei dati: strumenti apparentemente oggettivi che, però, riflettono il contesto culturale e sociale in cui vengono raccolti. Con il suo approccio umanista, ci mostra come i dati possano discriminare o diventare un atto di cura, a seconda di come vengono utilizzati.
Perché i dati non sono solo informazioni ma storie.
Ti lascio con un consiglio per chi si occupa di storie
Per quanto sia fondamentale essere logici in un racconto, non si può sempre e solo ragionare in modo schematico, Osate. Stupite. Mischiate i piani temporali della storia. Non sta scritto da nessuna parte che la sequenza debba essere passato-presente- futuro. Scomponeteli, giocateci, facendo sempre attenzione a che tutto sia sempre ben chiaro, definito e comprensibile. L’inizio di una narrazione richiede sempre una gran bella dose di creatività e un pizzico di follia.
Raccontare bene una storia significa pianificare un rapimento. Ci si deve impossessare dell’attenzione di chi legge, guarda e ascolta. Poi bisogna nasconderla e non restituirgliela più.
(Un prossimo speaker di Storytelling Festival)
Ogni storia comincia prima del suo inizio.
Fa buon fine settimana!
Mi hai fatto venire voglia di aprire pure io NL… ti dico solo questo! Maledetto… 😘
Mentre tu eri a Fuerteventura io ero a Lanzarote a fare e pensare esattamente le stesse cose.
Solo felice di non essere la sola a doversi battere contro il senso di colpa per assersi ritagliata un pezzettino di quiete e sana concentrazione.
Condivido tutto.