Per gusto e per urgenza
Dove si parla di tre storie che mi hanno fatto venire voglia di parlare (ancora, lo so) di storytelling. Senza morale finale, ma per il gusto e l'urgenza di farlo.
La nostra capacità di narrare è ciò che ci ha permesso “non solo di immaginare le cose, ma di farlo collettivamente”. Questa puntata è dedicata principalmente a tre fim/ serie TV che, per motivi differenti, mi hanno offerto spunti di riflessione. Ma la verità è anche un’altra. Mi andava di parlarne, ne volevo provare il gusto. Non solo: in questa puntata di L’ho fatto a Posta parliamo anche dell’ascesa dei video podcast, il medium che permesso a Trump di trionfare. Chi padroneggia il mezzo dominante della propria epoca, vince.
Infine, parliamo di vita, attraversando la morte.
Pronti? Andiamo
Le storie leggendarie sono semplici
La differenza tra un documentario e una storia è negli espedienti narrativi. Sidney Sibilia, insieme ad Alice Filippi e Francesco Ebbasta, ha scritto una grande storia. Certo, lo spunto è quello della vita di Max e Mauro, la sceneggiatura è ispirata a I cowboy non mollano mai (il libro di Max Pezzali), i rimandi sono quelli vincenti di Smetto quando voglio, ma il resto è una storia da scrivere. E in quel momento non bastano le canzoni, non bastano i tormentoni e nemmeno le facce - "dove vuoi che andiamo 'co 'ste facce io e te" - di quei due tizi lì. Ho sentito e letto più di qualcuno criticare il sottotitolo di questa serie: "la leggendaria storia degli 883". Ma cosa c'è di più leggendario del successo di due ragazzi di Pavia che per quasi un anno non si sono nemmeno resi conto di essere diventati famosi? Cosa c'è di più leggendario di un membro di un gruppo - "tecnicamente non siamo un gruppo, siamo una coppia" dice Max in uno dei passaggi più belli della serie - che ad un certo punto, all'apice del successo, decide di uscire? Nemmeno John Frusciante ha resistito così tanti anni lontano dalla scena senza tornare sui suoi passi. Cosa c'è di più leggendario, infine, di chi torna a casa dopo il più grande successo della propria vita e si sente dire dalla madre "È passato tardi in televisione, io dormivo". Per scrivere una grande storia, servono grandi espedienti narrativi. Silvia, ad esempio. Il personaggio più bello di tutta la serie, quello inventato. Il filo conduttore di una meravigliosa e commovente storia di amicizia. La storia d'amore anni '90 dentro un contenitore in cui la regola dell'amico non sbaglia mai. Perché in fondo che senso ha chiedersi a chi sono dedicate Come mai, La regola dell'amico, Nessun rimpianto, Una canzone d'amore, La regina del celebrità quando possiamo immaginare che tutte fossero dedicate a Silvia? È l'espediente più antico, difficile del mondo; lo aveva usato anche un poeta marchigiano discretamente famoso. Silvia, una bravissima Ludovica Barbarito, è la summa di tutte le canzoni degli 883, è il successo ma anche il rimpianto del protagonista, è sogno e al tempo stesso rinuncia. E poi c'è Cisco, che è esistito davvero. Almeno così recitano le sacre scritture. Ma sappiamo di lui solo attraverso le canzoni: è quello che "passa in bagno un'eternità" prima di andare alla festa di Rotta per casa di Dio, o quello che dice "noi abbiam capito tutto, è un po' come nel calcio". In questa serie Cisco è molto di più di una comparsa, perché Davide Calgaro, altro stupendo attore, gli dà volto, vita, anima e parole. Quelle più sagge, come negli album del duo: "La gente, piuttosto che stare a Pavia d'estate, muore". Groenlandia ha realizzato una bellissima serie, che funzionerebbe anche se gli 883, Sandy Marton, Fiorello, Cecchetto, Pier Paolo Peroni e persino Alessandro Canino (chi vedrà, saprà) non fossero mai esistiti. Ma leggenda vuole che siano esistiti davvero. E sceneggiatori e registi si sono divertiti un mondo a raccontare di quegli anni: quelli dell'Aquafan, delle ragazze di Non è la Rai, dei primi telefonini, di Radio Deejay e delle feste fino all'alba che, come dice Max "forse ci stanno sfuggendo di mano". E questo divertimento, questa voglia di andare oltre i fatti, si vede tutto.
Ah, ho scritto un romanzo che parla di musica, ma il mio personaggio è totalmente inventato. Lui si chiama Ernesto Celi, in arte Boavida, il romanzo Domani No Reloaded.
«Acqua, acqua ovunque, e neanche una goccia da bere!»
La ballata del vecchio marinaio, Samuel Taylor Coleridge.
L’antropologia è imparare a vedere
Di recensioni di Parthenope ce ne sono tantissime, scritte da persone certamente più autorevoli di me. Ma a volte scrivere di un film è più un'urgenza per se stessi che per gli altri. Parthenope è tutta nella bellezza abbagliante di una casa destinata a non essere vissuta, né abitata. "Hai mai visto qualcuno che trova la felicità in un posto così bello?" dice uno dei protagonisti. Parthenope è una storia d'acqua. C'è un languore selvaggio e spudorato in cui sono annegato piano piano. Libertà, corpi, silenzi, antropologia, sguardi dolorosi. Ma gli sguardi dolorosi a Napoli sono una forma d'amore: l'importante è non giudicarsi. Parthenope è una donna, forse una sirena, bellissima, imprevedibile, contraddittoria, indimenticabile, ma alla fine in qualche modo sprecata e mai realmente amata neanche da chi dovrebbe. "Sono stata triste e frivola, determinata e svogliata come Napoli, dove c'è posto per tutto". Parthenope è apice e oblio, tragedia e felicità: la meraviglia di essere frangibili e di sentirsi persi, nel non avere risposte. È sapere di vivere nella meraviglia, ma essere coscienti che tutta quella meraviglia non è tangibile: "Me ne torno al Nord, dove regna il bel silenzio" è una delle frasi che più resta impressa. È la giovinezza che sfugge, quando ci si chiede a cosa servano gli amori giovani, probabilmente a donarci l’illusione della spensieratezza o, semplicemente, a niente. Sorrentino scrive un'opera d'arte, disegna una tela, ma senza rinunciare a renderla un po' pop: si passa dai rimandi ai grandi autori del '700 alla canzone a lui più cara: Un giorno all'improvviso mi innamorai di te. Perché per lui il Napoli calcio è una cosa seria, serissima. E poi c'è lei: Celeste Dalla Porta. Una bellezza dirompente, quasi imbarazzante. Equilibrata. Impossibile distoglierne l'attenzione: quando è nuda, quando è vestita (e che vestiti), quando beve, quando bacia, quando fuma. Soprattutto quando fuma, e di questo Sorrentino ne fa cifra stilistica riconosciuta. Parthenope è una sirena, ma non ha in dote l'eterna giovinezza. Vive anzi la condanna di "imparare a vedere", l’ultima cosa che si impara nella vita. Nel cast spicca Silvio Orlando che torna a fare un ruolo che tra i tanti gli è riuscito benissimo: quello del professore. Ma di quel professore de La scuola (Daniele Lucchetti) è sparito l'ardore giovanile, la voglia di cambiare le cose; è rimasta solo la voglia di non giudicare e non essere giudicato. E sono certo che Sorrentino a quel personaggio, Vincenzo Vivaldi, ci ha pensato eccome. Il resto è abbandonarsi in quella giovinezza dalla vita estetica per poi diventare adulti e passare alla vita etica, dove l'unica possibilità che rimane è quella di meravigliarsi ancora.
No es amor, es un obsesiòn
C'è una scena bellissima di Qui non è Hollywood, che per me racchiude il senso della miniserie di Pippo Mezzapesa. Sarah e Sabrina cantano, a squarciagola, Who Wants to Live Forever a un concerto. Un momento di vitalità, di energia, di sospensione della verità che tutti conosciamo, ovvero che lì c’è una vittima e una carnefice. C'è un particolare: quel Freddie Mercury esiste davvero. Io l'ho conosciuto quest'estate, a San Pietro in Bevagna, si chiama Piero. Ed è talmente dentro la parte, che è convinto di essere il frontman dei Queen, solo che lui è costretto a invecchiare. Anche Sarah e Sabrina chiudono gli occhi e immaginano di non essere ad Avetrana, ma a Wembley magari. In fondo basta poco, basta una canzone. Sarah è viva, in quel momento lì, e vuole (avrebbe voluto) vivere per sempre. Lo canta, lo grida al resto del mondo. Si può discutere sull’opportunità di fare una serie su un crime accaduto pochi anni fa, che ha generato meme come quello di Michele Misseri, ma anche questo passaggio Pippo lo affronta maneggiando accuratamente la materia, quando lo stesso Misseri — interpretato meravigliosamente da Paolo De Vita — si imbatte, a Carnevale, in un bambino vestito come lui. Possiamo discutere dell’opportunità, ma non del pregio di questa serie: un racconto di impulsi e disperazione, profondamente radicato nel contesto che ha generato la tragedia. Il resto è giocare con la musica: Cosima (Vanessa Scalera) presentata mentre guarda Al Bano e Romina in tv — best villain introduction ever; Exit music (for a film), Fabri Fibra con Tranne te, la tossicità di Obsesiòn degli Aventura. Bellissima serie, regia perfetta, fotografia super, cast superlativo e perfettamente in parte. Sicuramente tra le migliori viste quest’anno.
Trump ha vinto le elezioni USA grazie ai video podcast?
L'ospitata di Trump da Rogan è stata il coronamento inevitabile di una campagna elettorale dominata dai podcast, un medium che ormai è centrale nelle strategie sia di Trump sia di Kamala Harris. Entrambe le campagne hanno riconosciuto l’importanza di questi appuntamenti “all’ombra di un microfono a braccio.” Nelle ultime settimane, Trump ha fatto notizia per aver rifiutato un secondo dibattito televisivo con la sua contendente e aver annullato un’intervista con la storica trasmissione 60 Minutes; in compenso, ha passato ore a conversare con podcaster e streamer.
In sintesi: chi padroneggia il mezzo dominante della propria epoca, vince.
Negli anni ’30 fu la radio per Roosevelt, negli anni ’60 la TV per Kennedy, negli anni ’90 i talk show per Clinton, poi Facebook per Obama nel 2008 e Twitter per Trump nel 2016. Ora, nel 2024, la piattaforma chiave sono i video podcast.
Questi strumenti permettono di trasmettere messaggi profondi in modo conversazionale, senza appesantire, e danno un senso di autenticità, come osserva Federico Sbandi, poiché si affidano a personalità esterne al giornalismo, meno filtrate e più genuine.
Più recentemente, Trump è passato anche dal podcast Flagrant, con i comici Andrew Schulz, Akaash Singh, AlexxMedia e Mark Gagnon. Qui, uno degli host ha riso in faccia a Trump quando ha detto di essere «una persona tutto sommato sincera». Non sono solo yes men, ma un gruppo che sa creare contenuti virali e di successo. Nessun Colbert o Fallon potrebbe oggi garantire un momento simile e così virale. Ci sono molti fattori in gioco, ma eccone due: la spontaneità, che questi show assicurano grazie alla mancanza di “scrittura” predefinita, - scrive Pietro Minto - e l’assenza di spirito giornalistico, che evita domande trappola o sorprese.
Trump ha investito nei video podcast, e i numeri parlano: ospite di Lex Fridman, Theo Von e Joe Rogan, ha raggiunto milioni di visualizzazioni solo su YouTube (abbiamo già parlato dell’ascesa di questo medium), senza contare le clip diffuse su TikTok, Reels e Shorts che hanno generato centinaia di milioni di visualizzazioni, proprio nei luoghi in cui i potenziali elettori vivono la loro quotidianità.
Kamala Harris, invece, è stata molto meno presente su questo canale. Ha partecipato a pochissimi podcast, tra cui Call Her Daddy, totalizzando meno di un milione di visualizzazioni.
In ogni campagna elettorale si gioca su più fronti, ma chi identifica e domina il mezzo più potente, vince.
Come ci trasformano le storie di lutto?
C'è un progetto molto bello di Natalia Pazzaglia che si chiama Lasae e che ho sposato dal primo minuto. Questa è la prima settimana di novembre, per quanto mi riguarda, è “la settimana dei vivi". Infatti, l'episodio del podcast che riguarda la mia storia si chiama Vita.
Grazie a Natalia e Andrea per avermi intervistato e per avermi chiesto di partecipare nel senso più rotondo del termine.
Qui racconto le mie perdite - compresa quella degli occhiali da sole che vedete in foto e che sono una metafora dei miei ultimi 15 anni - e ciò che ho trovato grazie ad esse.
Il progetto di Natalia comprende anche un crowdfunding iniziato la scorsa settimana per la start-up di Legacy Compass - la piattaforma inglese legata a Lasae di cui Natalia Pazzaglia è CEO.
Io sono Cristiano Carriero, storyteller e imprenditore, e questa è L’ho fatto a Posta. Prima di andare, ti presento La Classe che inizia tra una settimana.
La Classe di Digital Marketing, Content e Storytelling.
La novità di quest'anno è che ci saranno due momenti distinti: un percorso fondamentale, dove imparerai tutto ciò che devi assolutamente sapere, nel 2025, per lavorare in questo settore. Spoiler: con una sola competenza, a meno che non sia estremamente specifica, questo lavoro oggi non si può più fare. Durante il percorso potrai poi capire se ti interessa di più la parte social e AI, la parte content e storytelling o quella di PR e influencer marketing. E qui arriva il bello: ti faremo lavorare. In contesti reali, su clienti veri, con brief che arriveranno (quando arriveranno) da account che seguiranno il tuo lavoro. Si chiama training on the job, e ognuno lo farà secondo le proprie possibilità: chi inizia ora potrà dedicarci tanto tempo, chi lavora già potrà ritagliarsi le ore giuste. L'obiettivo è uno solo: acquisire le competenze per fare la differenza e guadagnare di più.
Perché in tanti ti spiegano come chiedere più soldi, ma in pochi ti dicono veramente cosa fare per ottenerli.
Se vuoi partecipare, iscriviti qui e usa il codice laclasse100 per avere 100 euro di sconto sul pacchetto che sceglierai.
Fa buon fine settimana!