Più che una newsletter figa, una newsletter fissa
Dove si parla di prospettive, di 21 lezioni per il XXI secolo, di intelligenza artificiale, di come lavoreremo nel 2050 e del costo delle agenzie di comunicazione.
Gli esseri umani sono sempre stati di gran lunga più bravi a inventare strumenti che a usarli con saggezza. (Yuval Noah Harari, “21 lezioni per il XXI secolo”)
Stamattina mi sono svegliato prima del solito.
Sto scrivendo un podcast, un progetto di storytelling a cui tengo particolarmente e che richiede un certo tipo di attenzione. Non che gli altri progetti non la richiedano, ma ci sono cose che si possono scrivere soltanto mentre gli altri dormono. È un destino piuttosto complesso quello di chi deve stare sveglio (e attivo) mentre il mondo corre freneticamente, e ritagliarsi i propri spazi narrativi quando le altre persone sono ancora a letto. Prima o poi troverò una ricetta, te lo prometto.
Appena ho finito di scrivere, mi sono dedicato a mandare un po’ di messaggi e di email a persone che non sentivo da tanto tempo. Una mi ha invitato a pranzo, con un’altra ci sentiremo la settimana prossima, la terza verrà a cena da me. Quanti messaggi poco rilevanti – direi quasi effimeri – mandiamo al giorno? A che ora li mandiamo? E, soprattutto, in che modalità li mandiamo?
“Ti faccio un audio perché sto guidando”
La traduzione di questo incipit, che potrebbe diventare serenamente il titolo di un romanzo contemporaneo o di una canzone trap è “Non me ne frega nulla di cosa stai facendo tu. Né se sei nella condizione migliore per poter accogliere questo mio messaggio. Io ho fretta di dirti questa cosa, per cui stammi ad ascoltare”.
La modalità conta eccome. Così come conta il tono. E il momento. Per qualcuno la mattina può essere l’orario migliore, per altri una scocciatura; c’è chi considera il weekend un periodo di relax e non vuole sentire nessuno, c’è chi dedica il sabato mattina alle relazioni. Una volta abbiamo ricevuto un’email da un nostro cliente di notte. Erano le 4, più o meno. Una mia collaboratrice si è lamentata, dicendo che poteva programmarla alle 9 del giorno dopo.
Ci ho riflettuto e mi sono permesso di dirle che magari quella persona stava facendo un nuovo lavoro che le portava via tanto tempo in riunioni, call, appuntamenti. E quella sera, tornando a casa, si era dedicata ai figli piccoli fino a quando non si sono addormentati, salvo poi svegliarsi nel cuore della notte. E allora, in quel momento, quella persona aveva deciso di aprire il computer e mandare qualche email arretrata. E chi ci dice che non sia stato anche, sotto sotto, un piacere? Il potere di staccare le notifiche e di scegliere a che ora aprire la nostra casella di posta è tutto nostro. Scegliere a che ora debba mandarcela qualcun altro è presunzione. Se non sei d’accordo, parliamone.
Questione di prospettive
Lunedì sono stato ospite di Fede ed Edo nel loro bellissimo Daily di Hacking Creativity. Abbiamo parlato del nuovo spot di Apple. Lo puoi ascoltare qui, c’è anche un piccolo spoiler di quello che sarà il mio intervento al loro Unplugged di Bologna (8 ottobre).
Parleremo di prospettive – che poi è un po’ come la questione dell’email inviata alle 4 di notte – da due punti di vista differenti. Solo che stavolta navigheremo gli stessi mari che ha solcato il Titanic. Facendoci accompagnare da un fuochista “con lo sguardo di animale in fuga”, da una ragazza di prima classe “innamorata del proprio cappello” e da un capitano che “non tiene mai paura, dritto sul cassero e fuma la pipa”.
In questa alba fresca e scura che rassomiglia un po’ alla vita. (Francesco De Gregori, “I muscoli del capitano”)
Quando sarai grande, potresti non avere un lavoro
Non abbiamo alcuna idea di quale sarà l’assetto del mercato del lavoro nel 2050. C’è un diffuso consenso sul fatto che l’apprendimento automatico e la robotica cambieranno quasi ogni ambito professionale. Esistono, tuttavia, opinioni discordi sulla natura di tali cambiamenti e sulla loro imminenza.
In attesa di parlarne all’Internet Festival di Pisa il 6 ottobre, cito Harari:
Gli essere umani – scrive Harari in 21 lezioni per il XXI secolo – hanno due tipi di abilità: fisiche e cognitive. In passato le macchine erano in competizione con gli uomini, soprattutto nelle abilità puramente fisiche, mentre gli uomini mantenevano un immenso vantaggio sulle macchine nelle facoltà cognitive. (…) Apprendimento, analisi, comunicazione e soprattutto comprensione della dinamiche emotive umane. L’intelligenza artificiale oggi comincia a superare le prestazioni degli uomini in un numero crescente di competenze e mansioni, inclusa la comprensione delle dinamiche emotive umane. Non siamo a conoscenza di un terzo campo di attività – oltre a quelle fisiche e cognitive – dove gli esseri umani potranno conservare per sempre un vantaggio sicuro.
Tu sei preoccupata/o?
Io credo che ci dovremmo concentrare sulla cooperazione umani-IA anziché pensare a una situazione competitiva. L’unico problema è che le nuove professioni richiederanno competenze di livello elevato, impattando ancora di più su professionisti poco specializzati. Creare nuovi posti di lavoro potrebbe rivelarsi più semplice che formare il personale per occupare nuove posizioni, e questo è già sotto i nostri occhi. Su queste premesse, in un mondo sempre più distopico, nasce il commercial “Posto fisso, posto figo”.
I commenti sono stati stranamente disattivati, il Dipartimento della Funzione Pubblica ha pensato bene di giocare e modificare la parola più attraente “fisso” (nell’epoca della rivoluzione AI) con una che andava molto negli anni ‘90: “figo”. Il resto lo commenta bene la mia amica Roberta Zantedeschi su LinkedIn.
“Più che un posto fisso, un posto figo!”.
Questo è lo slogan della campagna del Governo per assumere più giovani nella Pubblica Amministrazione e contribuire così ad abbassare l’età media. Leggendolo, il primo messaggio che passa è che alle persone giovani non interessi la stabilità e qui ci sarebbe un po’ da discutere per evitare di generare dannosi stereotipi.
Poi, cosa intendiamo per “figo”?
Perché, se la parola “fisso” ha un significato abbastanza preciso, “figo” è un concetto così vago che può starci dentro di tutto. “Figo” è una parola così distante dalla reputazione che ha il lavoro nella PA che richiede un triplo carpiato con avvitamento per renderla una definizione credibile; e io penso che la PA abbia altre leve più coerenti da poter usare.
Peraltro, basta fare un giro su LinkedIn per capire che le persone giovani cercano soprattutto valori, rispetto per le diversità, la possibilità di sentire il senso di ciò che fanno, aziende impegnate a lasciare un segno oltre il loro business, retribuzioni dignitose e coerenti con il costo della vita, armonizzazione tra vita lavorativa e personale, ambienti salubri su tutti i piani.
Guardando il video, l’impressione – almeno la mia – è quella di un’immagine di plastica, una caricatura stucchevole: mi arriva il tentativo di banalizzare la complessità edulcorandola, privandola di consistenza e di un reale collegamento con la realtà.
L’apparizione finale di Orietta Berti, poi, mi urla che è tutto uno show.
Continua sul suo profilo LinkedIn.
Se inviti l’influencer, non vengo
Lavoro molto con gli influencer, anche se qui ne parlo poco perché per me i rapporti con loro sono sacri. Spesso, quando organizziamo degli eventi, nascono discussioni sull’opportunità di invitare influencer e giornalisti insieme. Ne ha parlato in questo articolo Mediaddress e lo ha commentato il mio amico Simone Pazzano.
Due mie piccole considerazioni sull’argomento:
I viaggi stampa "ibridi" non sono una buona idea.
Perché non puoi costringere i giornalisti ad aspettare che gli influencer finiscano di fare e rifare e rifare le stories prima di iniziare una visita guidata (cosa che mi è capitata), così come non puoi obbligare gli influencer a stare chiusi in una stanza ad ascoltare interviste (a volte anche molto tecniche) quando loro hanno bisogno magari di un bel panorama o di una tavola apparecchiata appositamente per fare contenuti e foto.
Ma soprattutto, le professioni sono ben diverse e chi le invita (aziende e uffici stampa) deve esserne ben consapevole. È giusto che l'influencer prenda un compenso (e auspicabile che lo dichiari chiaramente al suo pubblico, cosa che purtroppo ancora oggi non accade sempre). Così come dovrebbe essere chiaro che il giornalista ha facoltà di non scrivere o di esprimere anche un pensiero critico. Troppo spesso invece vige la logica del "do ut des". Uno scambio che è colpa di entrambe le parti e che non fa bene a nessuno.
Lavoriamo tutti in ambito comunicazione, cerchiamo quindi di essere più chiari e trasparenti possibili.
Quanto erano interessanti i Social Media…
… all’inizio, quando cercavi persone con cui discutere, anziché haters con cui litigare.
In questo scenario diminuiscono i contenuti di qualità, perché a meno ché tu non sia un Creator o un Influencer che fa numeri talmente alti da riuscire a monetizzare, è dura impegnarsi nella creazione di contenuti che rischiano di passare inosservati. Ma se la qualità dei contenuti è diminuita, si è alzata tantissimo la qualità dell’estetica dei post e dei video. Quello che si è creato, insomma, è il microclima ideale per il grande inserzionista pubblicitario: modello tabellare, numero di canali limitato (Creator), alta qualità estetica irraggiungibile dall’utente medio perché richiede investimenti importanti, Influencer utilizzati come si usavano prima i Testimonial.
Leggi l’articolo di Mizio Ratti
Ecco spiegato perché, oggi, un’agenzia che gestisce i social di una azienda può costare fino a dieci volte di più rispetto al 2012.
Ri-organizzare la comunicazione con un consulente di storytelling è la mia risposta. Questa è una call to action, se vuoi saperne di più e prenotare una consulenza gratuita di 30 minuti con me, puoi farlo scrivendomi a cristiano@lacontent.it da un indirizzo aziendale.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta, una newsletter più fissa che figa, me ne rendo conto. La settimana prossima sarò impegnato con Ad Mirabilia in Sicilia, per cui la newsletter non uscirà. Ci leggiamo tra due settimane, nei miei spostamenti tra Milano, Bologna e Pisa. Ah, abbiamo lanciato la nuova edizione de La Classe di Digital Storytelling. Il 2050 è più vicino di quando credi! Le selezioni sono aperte, non fare tardi.
P.S. Ultimi posti per il Festival dello Storytelling.
P.P.S. A proposito di marketing delle emozioni, ho scritto una prefazione per il prossimo libro di Carlotta Carucci. Piccolo spoiler:
Sapevo che mi piaceva comunicare, immaginavo che conoscere i film, le canzoni, le capitali di tutto il mondo, i nomi degli autori dei libri e i claim delle vecchie pubblicità mi avrebbe aiutato, ma davvero non capivo come. Poi ho iniziato a studiare storytelling e mi sono reso conto che nessuna storia attecchisce su un pubblico che non è disposto ad ascoltarla, che non ne capisce i riferimenti. O non ne coglie la collocazione nello spazio, nel tempo e nella cultura. “Le azioni sono sempre sottoposte a vincoli di carattere sociale, culturale e linguistico che le precedono”, scrive Carlotta. E che cos’è la comunicazione se non “azione”, un modo per spingerci oltre il prodotto che vendiamo, renderlo una promessa, una missione, semmai.
Fa’ buon settimana, io ce la metterò tutta. E scrivimi.
(E anche oggi, saremo brevi la prossima volta)
Grazie per la citazione! Tra l'altro tra Harari, Zantedeschi e Orietta Berti sono stato colpito subito da sindrome dell'impostore 😂
Scherzi a parte, sulle mail io ho un approccio a metà: mi piace poterle leggere e scrivere nel "mio" momento, ma se mi rendo conto che sono "fuori orario" per gli altri le programmo. Così io posso lavorare quando voglio e allo stesso tempo non rischio di indispettire chi magari ha una mentalità e una modalità diversa dalla mia.