Più Content o più marketing?
Dove si parla del mio prossimo libro in uscita. Ma anche di una professione che è cambiata tantissimo negli ultimi 10 anni.
Le idee vanno e vengono. Le storie restano.
(Nassim Nicholas Taleb)
Una delle cose che mi fa più arrabbiare è la demonizzazione del marketing. Come se fosse una pratica scorretta, una cosa negativa e fuorviante. Capita di vedere un bellissimo progetto, aziendale o editoriale, e di sentir dire da qualcuno “Sì, ma è tutto marketing”. È una formula che usiamo per sminuire le cose, per toglierne veridicità, una formula che deriva dalla credenza che il marketing sia più manipolazione che persuasione, più distorsione che convincimento. Ce lo siamo meritati, in parte, noi marketer (faccio sempre molta fatica a usare questa denominazione per me). Quando queste conoscenze vengono spinte all’estremo, quando vengono usate per convincere un signore anziano ad abbonarsi a qualcosa che non gli serve o quando si prova a “vendere il ghiaccio agli esquimesi” – che brutta espressione vero? – queste sono le conseguenze.
Nessuno ti crede più, nessuno ti da più fiducia.
È quello che sta succedendo a tante aziende in cui la gente ha smesso di credere. Sono le stesse che ti telefonano tre volte a settimana per proporti nuovi servizi che non ti servono, ma quando le cerchi tu hanno bloccato tutti i canali di comunicazione. Impossibile parlaci al telefono, sui social sono totalmente assenti, persino mandare una mail diventa impossibile (usano il no-reply). Bisogna aprire un ticket, e chissà se qualche persona prenderà mai in carico questa necessità.
Oggi fare marketing ha tanti significati molto più nobili di questi. Certo, siamo qui per vendere. Che si tratti di un servizio, di un prodotto, di un’idea o semplicemente del tuo nome e cognome. Probabilmente stai pensando di vendere il tuo personal brand, perché sei alla ricerca di un lavoro. La logica è esattamente la stessa: devi vendere. Ma cosa succede quando vendi qualcosa che non serve, che non è utile, o che non rispetta la promessa che avevi fatto? Non c’è bisogno che ti risponda, vero? Da sempre le persone comprano qualcosa. Il tema è intercettare i reali bisogni delle persone. Se pensi al tuo prodotto come ad un oggetto che può risolvere i problemi della gente, la prospettiva cambia.
“Andate al mercato – suggeriva qualche anno fa Erika D’Amico, owner e brand strategist di Gazduna durante una lezione a La Content – è lì che si impara a vendere qualcosa. Il tono di voce, i cartelli, i colori, la descrizione, il momento esatto, la personalizzazione: “Signora, guardi i peperoncini che le ho fatto trovare oggi. Sono andato a prenderli dalla campagna alle 5 di mattina proprio per lei”. L’effetto sorpresa, e molto altro. Andate al mercato, perché è la più grande scuola possibile. Quella in cui emerge chi sa vendere, ma anche chi ha il prodotto migliore, mentre gli altri si bruciano presto”.
Ci vado spesso al mercato. Osservo con grande attenzione ciò che accade; le varie sirene dei venditori, la disposizione dei prodotti. Il marketing inizia da qui. Pensiamo di essere depositari di chissà quale sapere perché abbiamo una forte esperienza nel digitale, conosciamo tutti i trend dei social, sappiamo cos’è la Seo, alleniamo un’intelligenza artificiale a rispondere alle nostre domande. Ma non ci ricordiamo dove ha avuto inizio tutto questo. Un’altra cosa che mi piace fare, quando ho tempo, è cambiare supermercato. Perdermi tra gli scaffali, scoprire le diverse logiche, le diverse experience: chi mette le marmellate tutte assieme e le fette biscottate dall’altra parte del negozio, e chi organizza un intero scaffale dedicandolo alla colazione. E ancora chi decide di dedicare alla colazione proteica una nicchia o differenziare quella dolce da quella salata. È lì che inizia il nostro viaggio: può durare pochi secondi come svariati minuti, ma chi si occupa di posizionare i prodotti sugli scaffali deve immaginare esattamente cosa serve al consumatore. Anzi, ai diversi consumatori e alle consumatrici.
Si può fare content marketing senza partire da questi presupposti?
La mia risposta è no. Quando sento qualcuno dire “mi occupo di content marketing” mi chiedo sempre quale peso dia alle due parole. Se è un esperto di content o di marketing. Possiamo essere bravissimi creatori di contenuti, abili blogger, creatori di video e podcast, ma non avere nessuna esperienza nel marketing. Viceversa potremmo capire tantissimo di marketing, di dati, numeri, posizionamento, ma non conoscere le logiche dei contenuti.
Il mestiere del Content Markerter ci chiede, oggi, di saper fare entrambe le cose.
Ci chiede di guardare agli obiettivi, ai numeri, ai kpi, alla user experience. È un tema di sforzo, di effort. Diventare produttori seriali di contenuti non ci farà guadagnare di più e non ci aiuterà a posizionare il nostro brand, se non ci facciamo un’idea chiara di dove vogliamo andare. Io invito spesso a fare una riflessione: quanto tempo dedichiamo alla produzione e alla diffusione dei nostri contenuti? Che tipo di sforzo facciamo? Ci avvaliamo di risorse esterne? Che tipo di ritorno chiediamo? Proviamo a prendere come esempio il mio personal branding. Ecco la mia personale gerarchia dei contenuti:
Newsletter L’ho fatto a Posta: 1 volta a settimana, circa 2 ore per scriverla e 1 ora per rispondere a mail, commenti, richieste.
Linkedin: 2 o 3 post a settimana, circa 20 minuti a post per un totale di 1 ora. Aggiungere 1 ora per rispondere a messaggi privato o mandarne (Sales).
Facebook: 2 o 3 post a settimana, ibrido tra lavoro e sfera personale (musica, sport, cinema). Non è strettamente connesso al lavoro, ma ha contribuito in maniera importante alla costruzione del mio brand. Se scrivo bene di un film che ho visto, perché non dovrei essere altrettanto bravo a scrivere della tua azienda? Tempo totale a settimana, circa 2 ore, 3 quando vale la pena entrare nel merito di un dibattito. Ps: cerco ormai di evitare lunghe discussioni su questo social.
Instagram: 1 post carousel a settimana, 5 o 6 stories. Anche qui il tema principale è lo storytelling. Teorico o pratico: posso raccontare un mio viaggio e dare un saggio delle mie abilità comunicative, della mia conoscenza, della cultura. Sì, anche perlando di Sanremo. Tempo totale che dedico alla piattaforma: circa 2 ore a settimana.
Piccola postilla: attenzione, stiamo parlando di tempo attivo. Tempo che dedichiamo alla produzione di contenuti. Alla loro diffusione, ai commenti, non allo scroll passivo. Quello può prenderti anche il doppio del tempo, ma non ti porterà da nessuna parte. Ah, dimenticavo:
Podcast: al momento mi limito ad essere ospite di altri, la cosa mi prende non più di 15 minuti a settimana. Ma presto arriverò L’ho fatto a Podcast.
Sito/ blog: pubblico mediamente 2 articoli al mese sul mio sito. Non sono mai rielaborazioni di cose già scritte, tempo medio di scrittura ed editing, 1 ora a post quindi faremo una media di 30 minuti a settimana.
TikTok: non siamo nel mio terreno preferito, sto sperimentando. Per la creazione di Reel (2 al mese) mi avvalgo di videomaker esterni. Ne giro una decina alla volta, tempo medio circa 1 ora a settimana, costo esterno circa 50 euro a video.
Adesso che hai tutti gli elementi, facciamoci la fatidica domanda. Anzi, le fatidiche domande. Primo: ti ritrovi in questa scansione dei tempi? Se la risposta è sì, puoi andare avanti. Se la risposta è no – non preoccuparti, è normalissimo – domandati: sono più veloce? Sono più lento? Sono incredibilmente più lento? Questo punto è fondamentale. Altra domanda: posso fare tutto da solo? Oppure ho bisogno di una mano?
E adesso la più difficile delle domande: quanto vale 1 ora del tuo tempo?
Lo so, è una domanda scomoda. Se sei freelance te lo sarai chiesto tante volte, ma non è detto che tu abbia una risposta. Se sei un dipendente è molto probabile che in questo momento tu lo stia chiedendo a qualcun altro.
Il mio consiglio è quello di farsi sempre un’idea precisa su questo punto. Il mio amico Giorgio Soffiato, owner e marketing strategist di Marketing Arena, dice sempre, un po’ provocatoriamente: “Se io potessi dire che la mia giornata di lavoro vale mediamente 500 euro, potrei lavorare 10 giorni anziché 20, dedicarmi di più al tennis ed essere felice”. In realtà quella del costo giornata è una sua piccola grande ossessione, e ultimamente sta giocando parecchio a tennis Giorgio.
Mettiamo che io decida che il mio tempo valga 70 euro all’ora. Ricapitoliamo l’effort che metto sul mio personal branding a settimana:
Newsletter: 210 euro
Linkedin: 140 euro
Facebook: 70 euro (calcolo solo il tempo “professionale)
Instagram: 140 euro
Blog: 35 euro
Podcast: 35 euro
Tik Tok: tempo + costi esterni circa 100 euro
Quali conclusioni possiamo dedurre? La prima è che dovrei diventare più veloce. Ok, questa è una battuta, ci tengo molto ai miei contenuti, quindi mi va bene dedicare più tempo di quello che ci metterei a scrivere un post con ChatGpt e pubblicarlo. La seconda, più seria, è che se affidassi all’esterno i miei contenuti dovrei investire poco più di 700 euro a settimana. Quindi circa 3000 euro al mese. Non è un calcolo scientifico, per una serie di motivi che andrò ad elencare:
Scrivere e produrre contenuti mi aiuta a rimanere sempre informato (valore intangibile).
La produzione di contenuti è un allenamento costante. Più scrivi, più ti alleni a scrivere, vale per qualsiasi altra forma di content.
Abbiamo fatto una media del tempo, ma spesso e volentieri ci vogliono molto meno di 20 minuti a fare un post Linkedin. A volte si tratta di una semplice condivisione, ad esempio.
Il content marketing è una palla di neve (cresce sempre di più), non una Supernova. Più produci, più dai valore, più il tuo brand cresce. E se il tuo brand cresce, se diventi un tought leader il tuo tempo automaticamente – soprattutto quando lo vendi all’esterno – vale di più.
Esiste un tema di soddisfazione personale, non vorrei mai passare per un professionista che guarda solo al portafoglio! Ho scritto più volte che la mia newsletter è una “nicchia di lentezza” e mi va che resti tale, non uno strumento commerciale.
Fatte queste considerazioni, dobbiamo concentrarci sul ritorno. Di cosa ho bisogno per far sì che il mio tempo sia stato speso nel migliore dei modi? Se sei un dipendente è molto probabile che tu ambisca ad uno stipendio migliore o ad un lavoro più prestigioso. Se sei un freelance investi questo tempo per prendere una consulenza in più o per fare qualche speech che ti farà guadagnare magari 500 o 1000 euro in una giornata.
Adesso possiamo rispondere alla domanda “Più content o più marketing?”
Per fare questa professione hai bisogno di saperne tanto di contenuti, di imparare le strategie, le regole, i piccoli trucchi del mestiere. Hai bisogno di allenarti, di dedicare tempo a dei file in cui ti segni tutto ciò che serve: il topic, il tempo che ci hai messo, la gratitudine che hai provato nel produrre quel contenuto (sì, inizia a dare valore anche a questo punto), i contatti che ti sono arrivati, le opportunità che ha generato.
È tutto fondamentale, è tutto content.
Poi però c’è il marketing. Il ritorno dell’investimento. E senza di quello, credimi, staremmo parlando di altro. Di un magnifico mestiere, ma molto più vicino a quello dello sviluppatore del contenuto o del copywriter. Adesso sta a te decidere cosa vuoi fare da grande: se vuoi fare il developer o il marketer. Se vuoi scrivere contenuti per il piacere di farlo – cosa in ogni caso nobilissima -, o per costruire una brand awarness che duri nel tempo e raggiungere obiettivi a breve medio termine. E per quello devi imparare il marketing e, se possibile, amare il marketing anche se questa parola non ha più il fascino di una volta. Anche se qualcuno l’ha vilipesa e rovinata. Sta a noi rendere il (content) marketing qualcosa di meraviglioso.
Ah, Professione Content Marketing (Hoepli) sarà il mio prossimo libro ed uscirà molto presto.
Io sono Cristiano Carriero, autore, imprenditore e speaker, e questa è L’ho fatto a Posta, la mia nicchia di lentezza e di riflessione.
La settimana prossima sono in Sardegna, a Sorgono, per Once Upon a Place. Potrei decidere di non scrivere la newsletter perché voglio godermi le giornate lì in compagnia di Riccardo Scandellari, Federico Favot, Maurizio Orgiana e tanti altri amici. Oppure, paradossalmente, potrei decidere di scrivere di più, perché mi vengono tanti stimoli e la voglia di raccontarli immediatamente.
E questo è ciò che amo di più del mio lavoro: lasciare che accadano cose bellissime, per raccontarle nel miglior modo possibile, al momento giusto.
ps: a ottobre rifacciamo lo Storytelling Festival!
pps: dopo tanti corsi di scrittura, finalmente un corso dove si legge. Lo facciamo a Bologna dal 8 al 10 marzo (con Lucy), ma sarà un vero e proprio Giro del mondo!
Fa buon fine settimana!
Condivido pienamente tutto quello che hai scritto Cristiano.
Casualmente ho scritto anche io pochi giorni fa un post LinkedIn proprio incentrato sulla frase "È solo marketing ". Stesse considerazioni, ma tu ci hai aggiunto un bel pezzo che è difficile non condividere, specie per chi è content + marketer + freelance.
(Per preparare la mia di newsletter devo aggiungere un bel po' di ore. Almeno a Facebook mi dedico raramente e resisto pure a Tik Tok...per.ora!)