Questa newsletter è scritta da un maschio etero, spero sempre meno basico
Dove si parla di della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, prendendo la rincorsa.
Ridi di me, se vuoi, perché non ho avuto la forza di buttarla giù da sola. È servito che qualcuno bussasse, che mi invitasse con voce suadente, ma non è lo stesso per te? Ti leverei a sberle quello sguardo ipocrita di condanna che riconosco dall’altra parte dell’oceano.
Quando baci una ragazza che non sono io, lo fai contro di me?
Non lo credo. E allora lasciami andare, una buona volta, lasciami vivere e vattene per qualche tempo dai miei pensieri. Tieniti il Vecchio Mondo, sino a quando saremo lontani, e lasciami una buona volta il Nuovo.
(Enrico Brizzi, Due)
Sto apprezzando molto il nuovo libro di Enrico. Presentato come il seguito di Jack Frusciante è uscito dal gruppo, è, in realtà, molto di più. All’inizio ho fatto fatica a entrare nuovamente nella storia. Sono passati troppi anni da quel 1992, dalle pedalate alla Girardengo (appena un po’ più basso e rock) di Alex sui colli bolognesi, per raggiungere casa di Aidi, dalle lettere scritte a mano, dal magnetofono al posto dei social e dalla Danimarca che, incredibilmente, è diventata campione d’Europa. È cambiato tutto: il linguaggio, lo sguardo, l’amore. O forse no.
Questo è il messaggio che ho mandato a Enrico, l’altro giorno:
“Sto leggendo e apprezzando tantissimo Due, e non lo dico per piaggeria. Ci trovo una ricerca rara dell’amore senza possesso. Antico, nostalgico, epistolare, ma tremendamente contemporaneo. Necessario.”
Se mi permetto di inviare messaggi a Brizzi è perché sono stato uno dei primi, forse il primo, a laurearmi con una tesi su di lui. Poi ho avuto il piacere di intervistarlo in questo articolo per Rivista 11, e pur non provando nessuna nostalgia per Alex, sono stato felice di ritrovarlo, fedele a se stesso ma cambiato nelle pagine di un romanzo contemporaneo ambientato nel 1992.
Se ti capita di leggerlo, presta molta attenzione alle lettere di Aidi. Ieri, prima di addormentarmi, non potevo fare a meno di sottolineare certi passaggi: quelli in cui lei ricorda ad Alex che l’amore è quanto di più lontano dal possesso possa esserci. Mi ha ricordato un diario che mi regalò Alessandra, la compagna dei miei vent’anni. Un’estate ci ritrovammo dopo le vacanze, e lei mi consegnò non una lettera, ma un diario intero. Abituato com’ero a sentirmi al centro dell’attenzione, e delle sue attenzioni, mi aspettavo di trovare in quelle pagine sentimenti alla Harmony. Lei che mi scriveva che le ero mancato, che non poteva fare a meno di me, che mi aveva pensato ogni sera.
Invece quel diario fu il mio primo approccio serio con il femminismo.
Alessandra mi confessava che aveva capito che io non ero il centro del suo universo. E che nel suo mondo poteva capitare di andare al supermercato e incrociare lo sguardo di un ragazzo americano, e immaginare di parlarci, andarsi a bere una birra come certamente avrei fatto io in Inter-rail, e magari farci l’amore. Alessandra mi spiegava che, anche se le nostre madri ci avevano insegnato che gli uomini possono fare quello che vogliono e tornare a casa “per il bene della famiglia,” sarebbe stato molto probabile che lei, a casa ad aspettare, non ci sarebbe rimasta. Perché lei pensava soprattutto, e giustamente, al suo di bene. E che, per quanto io fossi sempre il suo fratellino – come ci chiamavamo allora – lei aveva voglia di conoscere il mondo, i suoi vent’anni, il suo corpo e la sua sessualità. Quello che mi ha insegnato Alessandra con il suo diario, che ancora conservo e ogni tanto rileggo, non lo dimenticherò mai. Naturalmente non dimenticherò mai nemmeno lei e il bene che ci siamo voluti e che ci vogliamo ancora.
In Parthenope, Paolo Sorrentino dice che “Gli amori giovani servono a ricordarci di quando eravamo spensierati. O forse, irrimediabilmente, a niente.” A me sono serviti per capire che non ero il centro di alcun universo.
Sono nato in una famiglia borghese e ho frequentato una scuola prevalentemente femminile. Diversamente da altri miei amici, per me non esisteva “l’altra metà del cielo.” Al liceo eravamo tre maschi e non andavamo nemmeno troppo d’accordo. Il loro modo di pensare, i loro discorsi, persino i loro giochi non mi interessavano più di tanto. Le mie amiche si chiamavano Roberta, Paola, Caterina, Giovanna, Francesca. Era con loro che passavo volentieri il mio tempo. Ho frequentato l’Università di Lettere, che all’epoca sembrava quasi vietata agli uomini; quando ho iniziato a lavorare, l’ho fatto in un ufficio composto quasi esclusivamente da donne. Sono cresciuto con una madre rimasta vedova quando avevo 18 anni. E, come dice Almodóvar in Tutto su mia madre, chi cresce solo con la madre ha una parte femminile molto più spiccata.
Tutto questo non fa di me un femminista, né un attivista, purtroppo. Cerco ogni giorno di migliorarmi, come tutti dovremmo fare, riflettendo sui miei errori del passato, sulle cose di cui non vado fiero, facendo autoironia sui miei bias e ammettendo di aver pensato e fatto cose che oggi non rifarei.
Il maschio è il capobranco e la femmina gli sta accanto e si occupa dei figli
La frase è stata pronunciata da Riccardo Scamarcio in un’intervista del 2006. Francesca Fagnani, durante una puntata di Belve, gli chiede se nel frattempo avesse cambiato idea. La risposta che avrei dato io:
“Sembra vicino il 2006, ma sono passati più di diciotto anni. Si diventa maggiorenni, in quel lasso di tempo. All’epoca rappresentavo il maschio Alfa di Tre metri sopra il cielo: i miei personaggi erano tossici, e in parte lo ero anche io. Solo che non me ne rendevo conto. Dicevo queste cose con superficialità e mi sentivo a posto con la mia coscienza, anche perché alle mie fan piaceva così. Oggi, certamente, non mi sentirei a posto con la coscienza. E quei diciotto anni passati li sento tutti. Quindi sì, ho cambiato idea.”
Risposta di Riccardo Scamarcio:
“Cosa ho detto di sbagliato? In un gioco delle parti, in un nucleo familiare ci sta. Poi sono sempre stato con donne indipendenti e nei fatti non posso essere tacciato di essere una persona arretrata. Che dobbiamo lavare a terra noi? A volte glielo dico a Benedetta: "Mi hai lavato le mutande?".
Su questa frase ho preso il telefono e chiamato la mia amica Letizia Costantino di mutandine permalose. La foto è d’archivio, ma lei si è già messa al lavoro.
Quando il rosso fa paura
È stata inaugurata nel giardino degli aranci di Palazzo Madama la panchina rossa, simbolo della lotta alle violenze contro le donne. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha voluto aggiungerci il Tricolore: “Abbiamo voluto rimarcare che la questione non deve appartenere a una parte, ma a tutta l’Italia. Ecco il significato della bandiera italiana sulla quale io mi sono permesso di insistere perché fosse presente nella panchina”. La decisione ha provocato polemiche perché la panchina dipinta di rosso rappresenta in tutto il mondo il sangue delle donne vittime di violenza e non il colore di una parte politica.
Visto che il 90% dei femminicidi è commesso da maschi italiani, mi sembra corretto metterci una bandiera sopra.
Siccome è già tempo di film di Natale, ecco il mio commercial preferito!
Lo spot inizia nel flagship store di John Lewis, mentre un’acquirente dell’ultimo minuto cerca frettolosamente un regalo per la sorella. Mentre sbircia attraverso uno scaffale di vestiti, precipita, in stile Narnia, in un altro mondo, dove i ricordi di sua sorella Lauren prendono vita. Vediamo Lauren rappresentata in diverse fasi della sua vita: da bambina curiosa ad adolescente tempestosa, ritratta in modo appropriato in una scena di camera da letto bagnata dalla pioggia, dove ha luogo una discussione.
Vediamo Lauren rappresentata in diverse fasi della sua vita, da bambina curiosa ad adolescente tempestosa, rappresentata in modo appropriato in una scena di camera da letto bagnata dalla pioggia in cui ha luogo una discussione. Tutto ciò che resta è storytelling.
Io sono Cristiano Carriero, maschio etero che si impegna ogni giorno ad essere meno basico, e questa è L’ho fatto a Posta scritta in vista della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne.
Lunedì, a Locorotondo, modererò un incontro gratuito con Vera Gheno perché l'eliminazione della violenza passa anche e soprattutto dal linguaggio.
Mercoledì 27 novembre sarò invece al liceo Palmieri di Lecce per parlare ai ragazzi e alle ragazze del Classico di come le storie possono aiutare a superare le paure. Non vedo l’ora!
Se questa newsletter ti è piaciuta sostienila condividendola e facendola arrivare a più persone possibile. Fallo per il tempo e la cura che ci metto nello scriverla, lontano dalla tentazione dell’intelligenza artificiale. Perché questo è la nostra nicchia di lentezza, quella da custodire gelosamente.
Ah domani a Jesi facciamo questa cosa bella qui! Passeggiamo tutti insieme tra le vie che portano il nome di donne. Per averne sempre di più.
Ti abbraccio.