Questione di Forma(t)
Dove si parla di cinque programmi televisivi che hanno fatto la storia ed hanno influenzato tantissimi format che oggi vediamo online. Ed è solo l'inizio.
Big Ben ha detto stop
Erano le 20.50 di un venerdì di maggio del 1977, quando Enzo Tortora, con la sua proverbiale gentilezza, diede per la prima volta il benvenuto al pubblico.
Tortora si ispirò a Portobello Road, un luogo in cui tutto può succedere, un crocevia più che un mercato dell’usato. Il numero di telespettatori che il programma riuscì a raggiungere è quasi surreale per gli standard di oggi: 20-25 milioni a puntata, con picchi che toccavano i 28 milioni. Ma cosa aveva di speciale?
Facile: mettere in comunicazione chi cercava qualcosa o qualcuno, e non solo oggetti.
In studio, l'elemento più stravagante era il pappagallo, che portava lo stesso nome del programma. Il ruolo era quello di fare da compagno di scena e, ogni tanto, diventare il protagonista di un vero e proprio tormentone. Ogni settimana qualcuno tentava di farlo parlare, ma il pappagallo, per quanto chiacchierone durante il giorno, si rivelava tutt’altro che socievole nelle puntate serali. Finché, nel 1982, il miracolo accadde: l'attrice Paola Borboni riuscì a farlo pronunciare il suo nome.
Eppure, il cuore pulsante di Portobello non erano solo le sue trovate. Erano quelle rubriche che segnavano il ritmo della puntata. Da “Fiori d’arancio”, l’agenzia matrimoniale che anticipava il fenomeno di programmi come «Uomini e Donne», fino alla più curiosa delle rubriche, quella degli inventori, che dava spazio a chiunque avesse un’idea (per quanto bizzarra) per risolvere i problemi del mondo. Poi c’era Dove sei?, la rubrica che mescolava emozione e curiosità, facendo ritrovare persone che si erano perse nel tempo. Una continua sequenza di format. Ogni venerdì sera, quando la puntata finiva, Tortora non mancava mai di salutare con la sua ormai celebre frase: «Big Ben ha detto stop». Portobello ha mostrato come un format può diventare un appuntamento fisso, una finestra sulla vita quotidiana delle persone, un modo per raccontare storie in maniera unica. Oggi, guardiamo ai social e ai programmi televisivi con occhi diversi, ma Portobello è stato uno dei primi esperimenti di vera interazione con il pubblico.
Sì, la vita è tutta un quiz
La televisione italiana deve tanto a Renzo Arbore. Ma non solo la televisione. È un tema di contro-narrazione. Negli anni in cui Fininvest punta quasi tutto sui quiz e sulla possibilità di cambiare la propria vita vincendo una ingente somma di denaro e dimenticando “i problemi che c’abbiamo” (cit.), Renzo Arbore si inventa Indietro Tutta. Nord contro Sud, giochi che non prevedono alcun tipo di sforzo se non quello di tentare la fortuna, uno sponsor inventato dal nulla che però ha tutto quello che serve: una canzone destinata a diventare virale, le ballerine, una brand identity destinata a durare nel tempo: quella del Cacao Meravigliao.
Nel format di Indietro Tutta c’è una bravo conduttore, ma è guidato del deus ex machina (Renzo Arbore, appunto). Ogni volta che prova ad inventarsi qualcosa, viene riportato all’ordine. I suoi slanci, volutamente goffi, di creatività, vengono interrotti, e lui deve ritornare alla logica dello show business: lo sponsor, gli spettatori, la volontà del management che permette al programma di essere prodotto. Si tratta di uno dei format meno politically correct della storia della TV italiana con forti intenti satirici verso la televisione stessa, i suoi stereotipi ed i suoi contenuti. Arbore non fa che stigmatizzare un certo tipo di televisione, sempre più commerciale e di basso livello culturale, fra salotti televisivi sempre più frivoli, ragazze sempre più svestite, - le ragazze Coccodè, ispirate alle ragazze fast food di Drive In - e giochi a premi sempre più banali che distribuivano milioni a pioggia.
La trasmissione originariamente doveva andare in onda alle 23.10, come Quelli della notte, ma fu lo stesso Renzo Arbore a chiedere che venisse anticipata alle 22.30, così da andare in onda prima del telegiornale: non a caso la sigla di chiusura della trasmissione, scritta dallo stesso Arbore con Claudio Mattone si chiama Vengo dopo il tiggì ed è, insieme a Sì la vita è tutto un quiz uno dei tormentoni.
Renzo Arbore dimostra di essere un vero e proprio talent scout, lanciando Francesco Paolantoni, Paola Cortellesi, il mago Forest, Maria Grazia Cucinotta, ma soprattutto attira ospiti come Maurizio Costanzo, Paolo Villaggio, Franco Franchi e Ciccio Ingrassia e Massimo Troisi che prende parte a diverse puntate nelle vesti di un personaggio telefonico di nome Eugenio. La vera innovazione è questa: esattamente come Frassica e Arbore, ogni ospite può divertirsi e uscire dalle logiche promozionali, autoreferenziali e di personal branding - anche se allora non si chiama così - della televisione.
Chi cambia canale è un truffaldino
Qualche anno dopo ci arriverà anche Mediaset, grazie alla Gialappa’s band. Altri meravigliosi inventori di format, partono da alcuni concept tanto assurdi quanto geniali. Si sarebbe dovuto chiamare “Di imbecilli è pieno il mondo” il porgramma che Giorgio Gherarducci, una delle tre voci del trio, chiamò “Mai dire Banzai”, dando vita ad una vera e propria legacy destinata a durare oltre 25 anni.
Insieme a Marco Santin, Giorgio fingeva di essere un esperto in collegamento dal Giappone, con tanto di inarrivabili traduzioni dal giapponese, mentre Carlo Taranto (il signor Carlo) era la controparte italiana, puntualmente sbigottita delle cose che gli venivano riferite dai due inviati. I dirigenti Mediaset avevano acquistato i diritti dei programmi giapponesi pensando di realizzare una trasmissione con la conduzione di Claudio Lippi, all’epoca conduttore di Giochi senza frontiere. Si erano però presto resi conto che le immagini dei giochi giapponesi non erano adatte a quel genere di conduzione; ma grazie all’espediente delle voci fuori campo quello che sembrava un programma senza alcun senso per il pubblico italiano diventò l’antesignano di una serie di cult.
In realtà la Gialappa’s band aveva già testato un format dedicato al calcio. Mai dire Mundial è stato trasmesso su Italia 1 prima dell'inizio dei campionati del mondo del 1990. L’idea era quella di commentare a posteriori le fasi salienti di alcune partite dei campionati mondiali precedenti, come Italia - Germania Ovest del 1982; Argentina - Olanda del 1978; Germania Ovest - Olanda del 1974.
Era una scelta coraggiosa: chi avrebbe guardato una partita del passato, dal risultato giù noto, solo per il gusto di sentirla commentare dai tre?
L’esperimento ebbe talmente successo che il trio commentò i Mondiali di Italia 90 in radio e in tanti - io tra questi - iniziarono a guardare le partite abbassando il volume della televisione, scegliendo una cronaca in grado di sdrammatizzare quanto di più serio al mondo esiste per noi italiani: il calcio. È con Mai dire Gol che il trio inizia a sperimentare format ancora più arditi, prendendo in prestito alcuni espedienti di altre trasmissioni.
Rilanciano il bravo presentatore, Claudio Lippi, perfetto per quel ruolo, e una serie di talent tra comici già famosi come Teo Teocoli e Gene Gnocchi, che però toccano vette altissime con personaggi come Caccamo e Rubagotti, fino a scoprire campioni come Antonio Albanese e Aldo Giovanni e Giacomo o rilanciare Francesco Paolantoni e Bebo Storti. In Mai dire gol si sperimenta tanto, per vedere ciò che realmente funziona. Forse è questa la grandissima novità del programma: ci sono le idee, ci sono le intuizioni, ma ci sono anche molti cambiamenti in corsa. Non tutti sanno, ad esempio, che inizialmente Frengo e Stop - Antonio Albanese - era l’inviato del Lecce. Ispirato all’inviato di Novantesimo minuto Franco Strippoli, dal quale prende in prestito il riporto dei capelli, segue una delle due squadre pugliesi di Serie A che all’epoca sono Lecce e Foggia. Solo quando inizierà a parlare foggiano, a parlare di “recchie d’goumm” e “cumplanaar” diventerà un cult. Fino a questo strepitoso video insieme al suo idolo, “simpatia” Zeman. Da vedere e rivedere:
Una tovaglia imbandita a quadri bianchi e blu
…e una grande ruota a forma di piatto. Questa la scenografia de Il pranzo è servito. Nelle intenzioni di Berlusconi, il programma avrebbe dovuto essere lanciato nella fascia oraria del mezzogiorno, fino ad allora non ancora utilizzata dalla Rai e poco considerata dalle prime televisioni private. Partendo da questo presupposto, Corrado e i suoi autori svilupparono una trasmissione in grado di giocare sulle abitudini alimentari degli italiani, lontanissime - lo vedremo a breve - dalla dieta.
Le postazioni dei concorrenti erano formate da una pila di dieci piatti su cui erano posizionati due display che sarebbero serviti da supporto per alcune domande. Corrado allora lavorava anche per la Rai, eppure quel format, ad un orario così poco consono per le abitudini degli italiani, lo convinse a scegliere il progetto Fininvest. Un po’ come se oggi un conduttore decidesse di preferire una media company alla televisione (Hai presente Cattelan?).
Il pranzo è servito era un gioco a quiz a cui prendevano parte due concorrenti che si misuravano in varie prove. Lo scopo era quello di completare un tabellone raffigurante le cinque portate tradizionali del pranzo (degli anni ‘80, evidentemente): primo, secondo, formaggio, dolce e frutta. Ogni risposta esatta o prova superata consentiva ai concorrenti di girare una ruota che girando permetteva - attraverso un apposito foro - di vedere le portate da conquistare apparirvi dentro; alle cinque portate si aggiungevano il jolly che permetteva di guadagnare una portata a scelta, e la "Dieta", che invece non faceva guadagnare nulla ai concorrenti. Un format tanto semplice quanto vincente che superò le 500 puntate - epica quella con Vianello contro Lino Banfi in cui il primo che rideva perdeva (ti ricorda qualcosa?).
Non funzionò allo stesso modo né con lo sfortunato Claudio Lippi, poi rilanciato proprio dalla Gialappa’s, né con Davide Mengacci.
Ma forse erano semplicemente cambiati i tempi, e il format non aveva più la forza di un tempo.
Quelli che…
Quelli che quando perde l'Inter o il Milan dicono che in fondo è una partita di calcio
E poi vanno a casa e picchiano i figli, oh yeh,
Quelli che dicono che i soldi non sono tutto nella vita, oh yeh[...]
Quelli che l'ha detto il telegiornale, oh yeh
Quelli che lo status quo, che nella misura in cui, che nell'ottica, oh yeh.
Il testo di Jannacci è del 1975, mentre la prima puntata di Quelli che il calcio, condotta da Fabio Fazio e Marino Bartoletti, è del 1993. La canzone scritta - leggenda narra la sera prima - per la trasmissione ha però un testo completamente diverso rispetto alla versione originale. Il format nasce come una traduzione televisiva del programma radiofonico di Rai Radio 1, e consiste nel trasmettere i risultati delle partite i quali compaiono in successione sulla parte bassa dello schermo.
Nella parte alta appare la partita commentata in diretta dagli inviati vip di turno, e questo permette a Fabio Fazio di poter contare, con il passare delle domeniche, su ospiti sempre più importanti che scelgono di dedicare la domenica ad una cosa che li appassiona e li diverte: la propria squadra del cuore. Fino ad allora, si era abbastanza restii a comunicare il proprio tifo e a lasciarsi andare. La novità di Quelli che il calcio è anche questa: scopriamo che Fabio Fazio è tifoso della Samp, il regista Paolo Beldì non si fa problema a far partire l’inno della Fiorentina ogni volta che segna Batistuta, Suor Paola è una accanita tifosa della Lazio e Carlo Sassi, inappuntabile giornalista e moviolista, mette per la prima volta i panni di tifoso della Cremonese.
Il tutto senza trasmettere immagini di gol in diretta, cosa vietata alle tv in chiaro, in una continua gara tra inviati allo stadio, ospiti in studio e interventi radio di Tutto il calcio minuto per minuto. Anche in questo caso il format si basa su una regola semplicissima di storytelling: il racconto è autentico, gli stimoli sono continui e arrivano da diversi codici narrativi. Una rete può essere comunicata da un intervento radiofonico, da una bandiera, da una canzone - se parte Urlando contro il cielo ha segnato l’Inter - dalla voce di un ospite o da un altro che si mette le mani nei capelli. Al fianco di Fabio Fazio si avvicendarono, oltre a Teo Teocoli e Anna Marchesini, l’astrologo olandese Peter Van Wood, il tifoso juventino Idris, il designer giapponese Takehide Sano tifoso del Piacenza e l'esperto di statistiche Massimo Alfredo Giuseppe Maria Buscemi. Per la precisione.
Io sono Cristiano Carriero, consulente di storytelling e speaker, e questa è L’ho fatto a Posta. Ho scelto di raccontare queste cinque storie mentre preparo uno speech per il WMF - We make future - dedicato ai format e mi è sembrato giusto prendere la rincorsa, partendo da alcuni che sono stati di grande ispirazione non solo per la TV, ma anche per tante idee che oggi vediamo su YouTube, su TikTok e online.
Questa puntata di L’ho fatto a Posta è collaborativa
Mi aspetto tanti contributi sui format: quali hai amato di più, cosa ti hanno insegnato, quali ispirazioni ritroviamo in alcune idee di oggi!
Se ti va di scrivermi, nei commenti o in privato rispondendo a questa newsletter, mi piacerebbe inserire il tuo contributo nelle due puntate che mi accompagneranno allo speech del 4 giugno a Bologna e magari nella stessa presentazione, con la dovuta citazione e la menzione per i format che verranno scelti.
Nella prossima puntata ti dirò quali sono le 10 cose che ho imparato facendo questa ricerca sui vecchi format e che dovresti tenere a mente per i tuoi progetti di storytelling di oggi.
Ma adesso tocca a te, buon fine settimana!




Eh niente su mai dire banzai e quelli che il calcio mi è scesa la lacrimuccia
"Harem"va in onda il sabato, in tarda serata, alla fine degli anni ‘80 Catherine Spaak, intervista tre donne (non sempre famose) e a seguire un uomo, un ospite segreto, “costretto” all’ascolto prima della sua intervista.
Non è solito allora raccontarsi in modo intimo in tv. Non c’è gossip, pura narrazione ed esibizione del sé.
I temi sono i più svariati, la conduzione asciutta, attenta e mirata, piena di charme e garbo.
Si dà voce alla donna su temi come l’erotismo, la sessualità, il dolore e la bellezza.
Si parla e si ascolta, ci si conosce, ci si incontra.