Raccontare è promettere
Dove si parla del mare a sinistra, di paure e pulsioni, di frasi fatte - e senza più significato alcuno -, di lavorare 20 ore al mese, della cultura che salva il pianeta e di queer family
Non è mai facile un ritorno non è impresa da niente, ma finalmente arriva il giorno che tu fai pace con te (Renato Zero, Ancora qui).
Faccio parte della generazione che 20 anni fa ha creduto che cambiare Bari e la Puglia fosse possibile. Non abbiamo accettato il compromesso che per fare qualcosa di importante dovevamo andare via di qui. E se lo abbiamo fatto, lo abbiamo fatto per tornare. Per "Riportare tutto a casa" (alert, spoiler). Oggi siamo qui per questo, A Bari Capitale Digitale non è uno slogan, è molto di più. È pulsione, vita, idea che si trasforma continuamente in azione, comunità che diventa metropoli e viceversa.
Quando ero piccolo mi hanno insegnato ad aver paura. Paura di tornare tardi la sera perché Bari era pericolosa, paura di uscire da soli in motorino perché ce lo avrebbero rubato. Paura di rispondere alle ingiustizie perché sarebbe arrivato sicuramente un fratello maggiore a farci capire che non era il caso. Poi arrivò una strana estate, e la nave Vlora. Ventimila - forse molti di più - albanesi. Mia madre e mio padre mi dissero che dovevamo andare allo stadio Della Vittoria a portare cibo, vestiti, giochi per i bambini. Capii quel giorno che avevamo paura di tante cose, ma non di chi da altre parti veniva considerato diverso. E che noi volevamo rendere ancora più accogliente la nostra città, per tutti quelli che sarebbero arrivati da quel giorno in poi.
Partirà da qui lo speech che farò ad ABCD; parlerò di tante altre paure. Quella di non trovare lavoro, quella della precarietà, “trovati un posto fisso” la paura di andare via e, dopo tanti anni, persino quella di tornare. “Che torni a fare qui, non vedi che non c’è futuro?” “Le cose non cambieranno mai al Sud”. E noi, giorno dopo giorno, quelle cose iniziavamo davvero a cambiarle. Nei lab della politica, nelle università, negli incubatori, nei coworking, chi da vicino, chi a mille e più chilometri di distanza da Bari sempre con quella idea in testa di tornare. Se verrai ad ABCD mi sentirai parlare del mare a sinistra - ho avuto il privilegio di nascere in una città di mare - e dell’impresa del ritorno.
Accetteresti di lavorare 20 ore al mese per 2500 euro netti (circa)?
La frase più sbagliata di sempre resta “trova un lavoro che ti piace e non lavorerai un giorno in vita”. Bisognerebbe avere il coraggio di disegnare una settimana da 20 ore.
Siccome non ho mai sopportato troppo questo strumento, ho deciso di farlo diventare una rubrica. Ho chiesto quindi a Giorgio Soffiato di spiegarmi questa frase. L’avevo letta su LinkedIn qualche giorno prima; una riflessione scatenata dalla lettura di un libro che si chiama “Ma chi me lo fa fare - come il lavoro ci ha illuso, la fine di un incantesimo”. E lui mi ha mandato un messaggio vocale:
Il punto è che ci sono persone che si alimentano del lavoro, e in parte lo siamo anche noi (si riferisce a me). Un conto è dire che il lavoro è una cosa che ti piace, un altro dire che facendo una cosa che ti piace non fai fatica. Perché io sono abbastanza sicuro che facendo una cosa che ti piace, come è per me svegliarmi alle 5 domani per essere a pranzo a Milano, ho uno 0,3 per cento di possibilità di morire prima. Perché il livello di stress non è sempre dipendente da quanto ti piace o ti appaga ciò che fai. Impatta sulle abitudini alimentari, sulla fatica, sul sonno. Progettare una settimana da 20 ore vorrebbe dire, per persone che fanno i consulenti e hanno raggiunto un certo tipo di branding, che sono 80 ore al mese che uno bravo vende a 400 euro al giorno circa. Se ci pensi il ragionamento regge benissimo: accetteresti di lavorare 20 ore al mese per 2700 euro netti? Eh cavolo, divento bravo a tennis, vado in vacanza, faccio un sacco di cose. Potenzialmente l’intelligenza artificiale - a proposito, ci stiamo preoccupando troppo o troppo poco dell’AI? - farà questo: ci permetterà - non ci costringerà attenzione, ci permetterà - di lavorare tutti meno. C’è un’utopia Keynesiana che prevedeva che avremmo lavorato 15 ore in questa epoca, la nostra. Non sta succedendo perché siamo masticati dal lavoro e non riusciamo a costruire questa cosa. Non sono certo che la scelta giusta sia una settimana da 4 ore, perché lì ci sarà un problema di coperture, ma una diversa distribuzione dei compiti e del reddito.
È proprio quando mi girano le palle e mi sento schiacciato dalle cose “da dover fare” - li chiamano task - che cerco di battere strade alternative e dedicarmi a cose nuove, cose che mi fanno stare bene. Per fortuna. (questa è mia, ma se vuoi usala)
La cultura può salvare il pianeta?
Secondo Nicola Lagioia, sì. Non so se avete mai sentito il podcast Fare un fuoco, se non lo avete fatto potreste farlo iniziando da questa puntata dedicata a Monopoli.
E questa è una bellissima occasione per dirvi due cose. La prima è che dal 3 al 7 giugno si terrà, proprio a Monopoli, il Festival internazionale del cinema dedicato ad ambiente, sostenibilità e giustizia sociale. Vi consiglio di seguire, se ne avete occasione il panel “Raccontare il cambiamento: l'importanza della letteratura e del cinema nella crisi climatica”, eventi realizzato in collaborazione con Lucy.
E proprio a proposito di Lucy sulla cultura, ecco la seconda cosa che devo dirti, ed è una grande notizia. Sarà partner de La Content, per la stagione 2023/2024, dei corsi di scrittura. Se vuoi saperne di più segui i canali di Lucy e de La Content dove nelle prossime settimane verrà annunciata la partnership e i tutti i corsi di storytelling e scrittura fiction che faremo online, a Bari e in un’altra bellissima città italiana.
Frasi fatte - ed espressioni trite e ritrite - che non voglio sentire e leggere più
Le serate (sostituire con qualunque parola tipo “le rimpatriate”), quelle belle
Conosco posti peggiori da cui lavorare…
Buona vita
Vendere il ghiaccio agli esquimesi (poveri esquimesi, ma sopratutto povero chi pensa che sono scemi gli esquimesi, è la nemesi del cattivo commerciale)
Mi aiuti ad arrivare a 10?
Io sono Cristiano Carriero, imprendautore e speaker, e questa è L’ho fatto a Posta.
Se ti piace questa newsletter, ne trovi tante altre belle qui su Newsletterati.
Se vieni al Web Marketing Festival dal 15 al 17 giugno, ti aspetto non solo per il mio intervento (sabato mattina ore 9.20), ma anche come moderatore in Sala Content Creator e per un dialogo tra storyteller con Elizabeth Gelfi e Libri di marketing giovedì 15 alle ore 14. Praticamente devo fare almeno tre cambi d’abito. Anzi quattro perché in realtà grazie a Likebee animeremo, con i podcast, anche lo stand della Regione della Puglia.
Se vuoi venire a fare due chiacchiere su marketing, storytelling e luoghi meravigliosi - non necessariamente in quest’ordine - scrivimi e ci vediamo a Rimini!
Sto per lanciare Imprendautori
Il corso di personal storytelling. Ancora qualche giorno di pazienza e sarà online. Se sei curiosa/o e vuoi anticipare il link, c’è una bella sorpresa per te. Scrivimi a cristiano@lacontent.it
Chiudo con un pensiero che ho maturato nelle ultime settimane: oggi non possiamo chiedere al lavoro di offrire tutto il senso della vita. Non possiamo pretendere che definisca appieno la nostra identità, perché siamo complessi, mutevoli e abbiamo bisogno di strumenti molteplici per esprimere ciò che siamo.
Ecco perché oggi più che mai abbiamo bisogno di raccontarci. E anche se non vuoi farlo in pubblico - io consiglio sempre di trovare un modo, perché raccontare è promettere - devi imparare a farlo per te stessa/o. Ci scriviamo presto.
ps: questa newsletter esce eccezionalmente di giovedì perché mi prendo qualche giorno per andare a Bari. Andrò al mare, allo stadio, rivedrò vecchi amici, passerò da Ora Fest e da lunedì in poi mi concentrerò su ABCD. Saranno settimane intense le prossime, deciderò di volta in volta se uscire di sabato come da nostra abitudine o in altri giorni della settimana, in modo che possa raccontarti il meglio degli eventi in cui sarò impegnato.
Ti lascio con un pezzo del mio romanzo, si chiama 24 dicembre e sta per essere tradotto in Spagna. Di solito non pubblico mai cose che scrivo io, preferisco quelle degli altri. Ma siccome in questo periodo si parla molto - finalmente - di queer family, mi piace l’idea di condividere con te questo passaggio
Ho pianto tanto ultimamente. Ma oggi è stata una bella vigilia. Alla fine i mappamondi sono serviti solo a far giocare i bambini, hanno spostato le puntine un po’ come abbiamo fatto noi in questi anni. Chi passando per l’America, chi tornando, chi facendo il giro del mondo in nave. Chi accogliendo turisti di tutto il mondo a Bari. Ti avrei voluto raccontare tutto subito, anche che presto avrai un fratellino - si chiamerà Ernesto, come me - ma non ho voluto svegliarti.
Noi al solito, abbiamo fatto un po’ come ci pare con i legami di sangue. Sì, Ernesto avrà un altro papà, che è un fratello per me. Come è mio fratello Giovanni. E Sandro. Come è mia sorella Valeria. Non ci avevamo capito nulla, Amaranta. Non è una questione di dove vai, ma di chi scegli di diventare. E siamo tornati tutti perché questa città non solo non ha colpe, ma ha il merito di averci aspettati. Adesso aspetta te, ancora una volta. Tu fregatene sempre, fai le tue scelte. Non permettere a nessuno di farti spiegare chi fa parte della tua famiglia e chi no. Di chiamare fratellastro qualcuno solo perché ha un genitore diverso dal tuo. Questa è la mia storia, figlia mia, ed è anche la tua. Amaranta dolcissima, tra poco è Natale.
Ah, una bella notizia: stanno tornando di moda i treni notturni. Le mie migliori storie, le ho scritte lì.
Ora è davvero tutto, o quantomeno tanto. Se questa newsletter ti è piaciuta, mi puoi offrire un caffè. Se ti è piaciuta tanto, ti prego di scrivermelo al 3386287834. Dovremmo andare meno di fretta e ringraziarci più spesso.