Solo posti in piedi
Dove si parla di come sopravvivere ad una settimana senza pc, di scrittura in piedi e scrittura da seduto, di Ted talk e vita rurale, noia e cold mail
Martedì 21 febbraio ore 16.42, esterno giorno
Questo numero di L’ho fatto a Posta è scritto a puntate e con mezzi di fortuna. È successo che il mio computer ha deciso di abbandonarmi proprio nella settimana in cui devo affrontare gli spostamenti meno probabili della mia vita. Da Rovigo a Laconi (Oristano), fino a Larino (Termoli), passando per le Marche. Quando ieri ho portato il computer in assistenza, dopo aver sentito “Dobbiamo tenerlo una decina di giorni” mi sono sentito spiazzato. Poi, siccome mi hanno insegnato a trasformare i problemi in occasioni (opportunità sarebbe troppo, quindi opto per il low profile), ho deciso di firmare e tornare a casa senza il Mac.
Scrivo la newsletter sulle note dell’iPhone, che fa tanto canzone di Coez, in piedi mentre sono in fila al gate dell’aeroporto di Bologna (lo sto facendo davvero, immagina puoi). Apprendo immediatamente che c’è una scrittura “da seduto” e una scrittura in movimento. Pensieri forse meno approfonditi, ma decisi, veloci. Grazie all’iPad e allo smartphone posso fare le call, entrare nelle chat di project working come Teams e Slack, condividere note e documenti. Non posso usare power point e Keynote, faccio più fatica ad allegare i file alle mail, ho meno destrezza con la tastiera. Mi conviene dedicare più tempo alle telefonate, alla lettura, alla pianificazione su un’agenda di carta. Devo lavorare diversamente e sono obbligato a delegare di più.
Sto lavorando peggio?
La difficoltà non è sinonimo di mancata produttività, anzi. Certo, il numero delle risposte alle mail viene dimezzato (è un male?), per una presentazione in ppt qualcuna o qualcuno deve darmi una mano - va da sé che con un ruolo più operativo a quest’ora starei sbattendo la testa contro il muro -, ma aumenta notevolmente il tempo per pensare, prendere decisioni strategiche sotto la (giusta) pressione del timing e non solo sotto il peso schiacciante delle notifiche. Ah, ho scoperto che l’aeroporto è un posto bellissimo per lavorare: sospensione del tempo e timing come stile di vita.
Sabato 18 febbraio ore 11, interno giorno
Come nelle migliori sceneggiature, tutto inizia da un flashback. Sono sul treno che mi porta da Bologna a Rovigo, e sto rileggendo ad alta voce il discorso che (non) porterò sul palco del TedX. L’ho provato due volte in video call, lo proverò una terza prima di calpestare il fatidico cerchio rosso. Mi tornano in mente gli esami dell’università. Io che non ripeto mai prima. Perché tanto “senza la pressione dell’esame, le parole giuste non mi vengono”. Ma ho capito che le performance vanno comunque preparate, mai improvvisate, per cui ho continuato a ripetere. Salvo dire altro sul palco. Lì ho parlato di come sono cambiati e quanto ci hanno cambiato i social, dell’idea di intrattenimento che non può prevaricare la mia sacra idea di noia - abbiamo urgenza di tornare ad annoiarci più spesso -, di inclusione generazionale. Nell’agenda politica del futuro prossimo e della post social media era, ci deve essere spazio per un dialogo costruttivo tra le generazioni. I social network non hanno fatto - con il loro effetto nostalgia - che accrescere a dismisura questo divario. Fortissimo a lavoro, in famiglia, nella società. Inclusività vorrà dire anche e soprattutto dialogo tra boomer, millennial, Gen Z.
A tal proposito, ho letto un libro molto interessante - pardon, in Captain Fantastic il protagonista dice che non bisognerebbe mai usare la parola interessante per un libro -, che si intitola Boomers contro Millennials. Seguendo il filo conduttore di sette “storie” che caratterizzano la mentalità con cui i millennials sono (stati) cresciuti - dallo studio alla casa, passando per il lavoro e il rapporto con la politica - Beniamino Pagliara, founder di Good Morning Italia, affronta il conflitto tra le generazioni in chiave ironica, disillusa, ma non per questo rassegnata.
Il vero fardello delle generazioni successive è cercare di portare dei nuovi valori in un mondo in cui chi può davvero fare la differenza oggi è la stessa generazione che, 30 anni fa, aveva creato i modelli in base ai quali abbiamo vissuto. Pensiamo per un istante, ad esempio, al ruolo delle donne nella società, a quello degli uomini nella genitorialità: le nuove generazioni faticano, non poco, a cambiare quei modelli. Sono le generazioni che vivono un perenne stato di attesa, quasi di rassegnazione e che da tutta la vita subiscono nel bene e nel male le conseguenze delle scelte di chi alla loro età era, giustamente, la generazione protagonista. Oggi, però, quella generazione non può più rappresentare il nuovo mondo in cui viviamo. Un mondo che avrebbe tanto bisogno delle decisioni di chi ora sta affrontando la vita in una fase di costruzione.
In questo conflitto - sostiene l’autore -, il futuro è l’elefante nella stanza. I millennials non possono pensare a ciò che non funziona solo quando ci si confrontano personalmente. Il rinvio e l’inerzia non sono più accettabili perché anche se le generazioni passano, i problemi non affrontati restano.
Alla fine, il TedX è venuto bene: posso dirlo con un certo sollievo più che con orgoglio. Ho tirato fuori quel caro vecchio aneddoto su Picasso e i vampiri che mi fa fare sempre bella figura.
Nella biografia di Picasso scritta da John Richardson, c’è un episodio divertente. Pablo Picasso era noto per prosciugare l’energia delle persone che incontrava. Sua nipote Marina dichiarò che strizzava le persone proprio come i tubetti di colore. Molti si adeguarono alla situazione pur di stare vicini a Picasso, ma non lo scultore Constantin Brâncuși. Era romeno, originario dei Carpazi, e sapeva riconoscere un vampiro quando ne vedeva uno. Non aveva intenzione di permettere a Picasso di rubargli l’energia, così si rifiutò di avere qualsiasi contatto con lui.
Non c’è cura per i vampiri. Dovessi ritrovarti vicino a uno di loro, fai come Brâncuși e bandiscilo per sempre dalla tua esistenza.
Eccoli, i tre punti della mia agenda per la post social media era: meno network e più community, dialogo e non scontro tra le generazioni (inclusione e non esclusione), bandisci i vampiri.
Facile no?
Giovedì 23 febbraio ore 9.49, interno giorno
La signora Bonaria, che non vuole essere chiamata signora ma Bonni, fa un cappuccino meraviglioso. Per il secondo giorno consecutivo mi sono svegliato a Laconi (Oristano) e la cosa è già di per sé molto curiosa. La chiamano vita rurale, e io sono qui come speaker dell’evento Once Upon a Place, dedicato al marketing territoriale in tutte le sue forme: storytelling, tradizione, turismo, sperimentazione. La colazione di Bonni e Alberto mi ricorda un tempo perduto: crostate, omelette, pane e salame, spremuta, frutta fresca e frutta secca. L’aria è frizzante, la vita lenta. La sera si vedono in maniera nitida le stelle. Mica si vedono più in città, le stelle.
Cosa posso aggiungere io?
Che ultimamente frequento più volentieri eventi più piccolini, con meno gente, dove però è possibile conoscere davvero qualcuno, parlarci, farci colazione con calma e senza notifiche, camminare. Ho rivisto Nicola Muscas, autore di Isla Bonita, ho conosciuto Luca Barra, docente di storia della televisione, visto dal vivo Licia Azara, una corsista de La Content che vive a Tempio, Claudio Visentin che mi ha incantato con la sua scuola del viaggio; e parlato a lungo con Federico Favot che grazie al suo hacking creativity, mi ha dato l’opportunità di spiegare lo storytelling in un podcast.
Zero biglietti da visita, ma nuovi amici, amiche, persone con le quali farò progetti nei prossimi mesi.
A proposito di Federico Favot, mi ha colpito molto la sua presentazione 108 tips, su tutti te ne lascio uno: annoiati. In un’epoca in cui non ci si annoia più, quando siamo in fila dal medico o quando aspettiamo una persona abbiamo sempre uno smartphone e le famigerate app dedicate all’intrattenimento, abbiamo perso il gusto dell’otium e di conseguenza tanti stimoli creativi. Come possiamo fare ad annoiarci? Mettiamo un paio d’ore di smartphone free su calendar. Sembra un eccesso, ma non lo è. Dobbiamo tornare a farlo. È urgente.
Altro consiglio di Federico che seguirò già da lunedì: “invia una cold mail al giorno”. A qualcuno che non conosci, e che stimi. La cosa peggiore che potrà succederti è che non ti risponderà. “Cold” perché probabilmente la persona che riceverà la tua mail non sa chi sei. Warm, aggiungo io, perché lo stile deve essere caldo, il contrario di tante mail che riceviamo ogni giorno. Impersonali. Artificiali.
Se l’argomento ti interessa, venerdì 10 marzo e sabato 11 marzo (18:00 – 19:30 e 10:00 -12:00) terrò un workshop sulle newsletter per il percorso di Digital Storytelling de La Classe. Ospito volentieri i primi 10 lettori di L’ho fatto a Posta che mi rispondono a questa mail.
Venerdì 24 febbraio, ore 10 esterno giorno
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta, note dell’iPhone edition. Ringrazio gli organizzatori del TedX di Rovigo, Maurizio Orgiana e lo staff di Once Upon a Place per avermi voluto a Laconi e avermi fatto visitare il Parco Aymerich, gli abitanti di Laconi e la loro vita rurale. Questo di scrivere una newsletter intera senza pc è un esperimento molto interessante che spero di non fare mai più citando un libro di Wallace, ma adesso ho ben chiaro che le ore di produttività reale non sono direttamente proporzionali a quelle passate davanti allo schermo del computer.
Abbiamo bisogno di rimodulare l’idea stessa che abbiamo del lavoro. Lavorare non può essere solo sacrificio, la mia paura è che quando sdoganeremo definitivamente la settimana da 4 ore - perché accadrà -, faremo le cose ancora più in velocità e con maggiore ansia, come scrive (a modo suo) il mio amico Giorgio Soffiato:
“La settimana lavorativa di 4 giorni riduce lo stress e aumenta la produttività. E tutti ad esultare, e tutti a bramare l’idea. Quando però Gladwell ha studiato i fuoriclasse ha scoperto “la regola delle 10.000 ore”. Ha scoperto che lavoravano tanto. E sapete perché queste due teorie possono coesistere? Perché lavoriamo in fabbrica. Nessuno è fuoriclasse, crediamo di pilotare tecnologie che ci pilotano. E ci raccontiamo la cazzata che il venerdì vogliamo partire o fare il corso di cucito di quella influencer, che tanto poi non lo finisci mai. La settimana va bene anche di 3 giorni, ma va preso atto del fatto che scappiamo da un lavoro che non ci piace, che non ha più nulla di creativo. Ma siccome ci eravamo promessi un lavoro figo, e l’idea di tirare l’aratro digitale non è abbastanza cool, allora ci vogliamo flessibili. E anziché arredare con passione e dignità il lavoro scappiamo, e poi scappiamo dagli affetti e dalla vita. È ora di rendersi conto che purtroppo è tutto uno scherzo.”
Tu che ne pensi?
Ora sì, è davvero tutto.
Sto per decollare e sto per mettere il telefono in modalità aereo. Che poi pensavo che potremmo anche proporre di cambiare nome a questa modalità. Possibile che l’unico modo per non essere sovraesposti alle notifiche sia l’aereo?
Per ora pare di sì.
Scrivimi, ci tengo. Buon fine settimana!