Tesoro, ci stiamo tiktokizzando
Dove si parla di imparare a non fare niente, di economia dell'attenzione, di come i social si stiano uniformando anziché differenziarsi. E dell'importanza di fare quello che i clienti non sanno fare.
«Non c’è niente di più difficile da fare del non fare niente. In un mondo in cui il valore di ciascuno è determinato dalla produttività, ci ritroviamo spesso con ogni nostro singolo minuto catturato, sfruttato o confiscato come una risorsa finanziaria dalle tecnologie che usiamo tutti i giorni. Sottoponiamo il tempo libero a valutazione numerica, interagiamo con versioni algometriche di ciascuno di noi, creiamo e alimentiamo brand personali. Alcuni provano, forse, una sorta di soddisfazione ingegneristica nel fare streaming e mettere in rete la propria intera esperienza di vita. Eppure, permane una certa nervosa sensazione di essere sovrastimolati e incapaci di sostenere un flusso di pensieri.
Nonostante possa essere difficile da individuare prima che scompaia dietro il paravento della distrazione, in realtà si tratta di una sensazione pressante. [...] Ma la parte del cattivo qui non è necessariamente affidata a Internet e nemmeno al concetto di social media in sé, quanto invece alla logica invasiva di social commerciali e all’incentivo finanziario per tenerci tutti in un redditizio stato di ansia, invidia e distrazione. Da tali piattaforme emerge inoltre il culto dell’individualità e del brand personale, cose che influenzano il modo in cui consideriamo il nostro io offline e il luogo in cui viviamo realmente».
Come non fare niente – Resistere all’economia dell’attenzione, Jenny Odell.
Sono il curatore della collana di Digital Marketing di Hoepli, e da qualche anno a questa parte abbiamo iniziato a pubblicare meno volumi tecnici, prediligendo quelli ispirazionali. Come non fare niente è un libro destinato a durare nel tempo: il titolo può ingannare, soprattutto se suggerito da un workaholic come me (lo sono e non me ne vergogno). È un libro che spiega l’importanza della noia in quanto ozio, spazio della creatività e del pensiero. Su questo filone ti consiglio anche il bellissimo Come annoiarsi meglio di Pietro Minto, un invito a riprendere il controllo della propria mente e del proprio tempo:
«Ai giorni nostri le persone sono in difficoltà rispetto al passare anche solo una serata da soli senza far niente e dunque da lì ho cominciato a riflettere anche sulla noia. Che non può essere vissuta come quello che ti succede quando non hai niente da fare, perché siamo circondati da stimoli folli – vedi gli smartphone, Internet, servizi di streaming – che ci illudono di farla sparire, ma che invece, per assurdo, l’hanno acuita».
Nei giorni scorsi ho partecipato a Social Media Strategies, a Bologna
Una delle domande che mi fanno più di frequente, quando vado a questi eventi, è:
“Tu a che ora parli?”.
“No, non parlo”.
“Ah, e come mai?”.
Deve risultare molto strano, per qualcuno, partecipare a un evento senza essere protagonista a tutti costi. A me invece piace, e credo sia importante prendersi del tempo per farlo. In fondo, è fin troppo semplice andare solo agli eventi dove ci invitano a parlare e sminuire quelli in cui non si è stati invitati – in questo caso, sinceramente, non ho nemmeno mandato una proposta. Io non la penso così. Anche perché dopo un evento come La Masterclass, organizzato e condotto, avevo proprio bisogno di prendere penna e taccuino e sedermi nelle prime file ad ascoltare gli speaker.
Mi ha colpito molto l’intervento di Elena Farinelli
Dice una cosa sensata, a tratti scontata, che però mi ha fatto riflettere: ti ricordi quando dicevamo – a proposito di social – che ogni piattaforma aveva il suo linguaggio e tutte dovevano essere utilizzate in maniera differente? Cosa facevamo, per esempio, per raccontare un evento? Mentre eravamo lì, facevamo un Live-tweet (siamo la generazione di quelli con le dita più veloci del pensiero) per andare in trend topic, poi scattavamo delle foto: quella più bella la mettevamo su Instagram con una lunga caption in cui raccontavamo le emozioni dell’evento, su Facebook pubblicavamo anche le foto più bruttine – basta che ci siano le persone, le persone funzionano –, su LinkedIn gli davamo un taglio professionale e lo storytelling era fatto.
Oggi assistiamo a una tiktokizzazione del contenuto e dello storytelling
OK, va da sé che nove panel su dieci tra quelli che ho seguito parlavano di TikTok o lo menzionavano. Ignorare questo è un errore madornale. Ma lo storytelling odierno pare non possa prescindere da tanti mini video da montare per realizzare un Reel di 30 secondi in grado di raccontare tutto. Prendilo e postalo ovunque.
(Bisogna essere anche capaci di farlo, e non è scontato)
Non è un ricetta universale, eh; però fa riflettere. Anni passati a spiegare a chiunque che i contenuti dovevano essere pensati e realizzati diversamente per le varie piattaforme, ed eccoci qui a dire il contrario. È il bello del nostro lavoro: è in continua evoluzione. Ma ci permette anche di discernere, di controbattere. Davvero i testi sono morti per sempre?
Io, per esempio, ho scelto un nuovo media, da qualche tempo a questa parte. È la lettera che stai leggendo – e se sei tra quelli che hanno ancora voglia di dedicare 10 o 20 minuti a un testo, benvenuto nel club –, una forma più intima e privata rispetto a un social network, ma capace comunque di creare una community. Ne parlo anche nel mio libro Post Social Media Era: non tutto è tiktoktizzabile, e comunque il punto non sono i Reel.
Di TikTok – che non si definisce un social network proprio perché i social stanno per fare una brutta fine, ma UNA PIATTAFORMA DI INTRATTENIMENTO – c’è, tuttavia, una cosa che apprezzo tantissimo ed è lo schema di storytelling:
l’hook iniziale;
la intro;
il ritmo del contenuto;
il bonus;
il finale aperto;
ad libitum sfumandum (che ci sta sempre, ma oggi più che mai, perché i video vanno in loop).
Prendi questo schema e adegualo anche ad altri media, ad altre forme di comunicazione, come i podcast, i testi scritti, le presentazioni.
Credo di aver portato tanti spunti a casa – e parte spero di averli a mia volta condivisi con te –, ma anche un grande dubbio: ho come l’impressione che ci sia una distanza enorme fra i trend dei social media che ci raccontiamo in questi eventi e la necessità (oltre che le possibilità) delle aziende. Ora che devono diventare tutti videomaker o allocare 2/3k al mese in video editing, che succede?
Voglio lasciarti con questa riflessione e con la consapevolezza che lo storytelling resta il miglior mindset per poter rispondere ai trend, alle mode, ai budget. In conclusione, ti voglio salutare con un pensiero che ho condiviso con il mio team proprio due giorni fa, dopo un progetto venuto bene e piaciuto particolarmente al cliente – oh, ogni tanto diciamolo, va bene l’umiltà, ma anche meno:
Noi siamo pagati per fare quello che i clienti non sono in grado di fare. Quello che non sanno fare e non quello che non hanno tempo o voglia di fare.
Credo che la differenza sia tutta qui.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta. Se ti è piaciuta questa lettera, condividila con un amico o un’amica (o sui tuoi canali) e invitali a iscriversi.
P.S. Ultima chiamata per La Classe! Se sei interessato/a al digital storytelling, c’è un corso meraviglioso per te! Dato che inizia oggi, mandami un messaggio su WhatsApp (3386287834) se vuoi unirti e poi all’iscrizione (e ai soldi) ci pensiamo la settimana prossima!
P.P.S. Visto che i social non si sentono benissimo, ti ricordo che c’è uno spazio senza rumore (e senza algoritmi e senza pubblicità, oltre che senza costi), dove possiamo raccontarci. Si chiama La Circle, e puoi entrare adesso.
Buon weekend!
Che bella questa! In tiktok il soggetto è il narratore sono la stessa persona? Oppure il narratore serve sempre?
Sempre tutto molto bello … ma con Tik Tok che porta agli estremi la violazione della privacy sistemica e profonda dei suoi utenti, ed il suo potenziale utilizzo come strumento di intelligence verso utenti "sensibili", frontiere molto lontane da altri social, direi che davvero non è il caso impelagarsi nel suo utilizzo e – anzi – sarebbe socialmente più utile il suo boicottaggio.
https://www.guerredirete.it/?s=tiktok per un primo riferimento contro questo media…