Velocità e lentezza
Dove si parla – live dal WMF – di profeti in patria, di Batman e Robin (più di Robin), di mare a sinistra, di nicchie di lentezza e di social pressure.
Come ti senti? Stanco, calmo, soddisfatto. (Pep Guardiola)
Approfitto della pausa del Web Marketing Festival – oggi sono moderatore, speaker e, all’occorrenza, intrattenitore – per scrivere queste poche righe. Ieri mi ha fermato una ragazza, Valentina, e mi ha detto: “La tua newsletter mi ha aiutato a non impazzire”. Lì per lì ho provato un pizzico di imbarazzo (credo persino di essere arrossito), poi le ho chiesto perché.
“Perché a volte non trovo un senso a tutto questo. Al lavoro, al suo ritmo folle, a questo continuo rincorrere. La tua newsletter è un’oasi di calma, pace, gratitudine”.
Mi sono immediatamente venute in mente le parole di Pep Guardiola, subito dopo aver vinto la Champions League, una settimana fa. “Come ti senti?”, gli ha chiesto il giornalista. “Stanco, calmo, soddisfatto”, ha risposto lui. Tre parole senza iperboli, ma colme di significato, di forza, di virtù. Pesate attentamente.
Mi sono sentito più o meno così dopo ABCD, non sono uno che eccede in facili entusiasmi. Mi piace fare il mio lavoro, mi piace farlo bene. Amo curare i dettagli e, ogni volta che finisce un evento, penso a cosa posso fare per migliorare e migliorarmi nel successivo. Chi mi conosce sa che A Bari Capitale Digitale non è stato un vento semplice. Nessuno è profeta in patria, e provo sempre un po’ di timore per gli eventi organizzati nella mia terra. È una questione di aspettative. E poi dovevo affiancare uno come Nicolò Andreula, l’ideatore di ABCD. Istrionico, iperbolico, esuberante.
Il mio opposto
Credo sia venuta fuori una coppia affiatatissima, “partner in crime” ci definisce Giulio Xhaet. Come ho scritto su LinkedIn, ho iniziato a organizzare questo evento con un competitor, l’ho concluso con un amico. Amico a cui ho dedicato un post sull’importanza di saper essere (anche) Robin.
Ci ho messo qualche giorno, stavolta. A metabolizzare, a capire cosa fosse successo, a scrivere le mie sensazioni, le emozioni, la gratitudine. ABCD, A Bari Capitale Digitale, lo hanno raccontato in tanti. Non so quanto la mia narrazione possa aggiungere a quanto già detto dall’ideatore, dagli speaker, dai partecipanti e dalle istituzioni, Regione Puglia su tutti.
O da quanto ho già detto io sul palco di Spazio Murat: per avere una visione, bisogna avere coraggio. Immaginare, scrivere, raccontare una Puglia e un Sud migliore. Perché raccontare è promettere, e vent’anni fa – come ha detto Nicolò – ci siamo fatti una promessa.
Andare, per tornare.
A livello personale, il più bel complimento me lo ha fatto sabato sera Giulio Xhaet quando, tra una canzone e l’altra (sì, ho fatto anche il chitarrista a piazza del Ferrarese), mi ha preso da parte e mi ha detto: “Sei stato il partner in crime perfetto per Nicolò. Lo hai capito, supportato, completato”. L’ho ringraziato e lo faccio anche qui adesso. Giulio ha capito il mio ruolo, e credo che questo scatto di Alessandro Lupelli dica molto. Se lui è stato Batman – con i cambi di costume, gli effetti speciali e la Batmobile – io sono stato il suo Robin. E sono molto contento di averlo fatto, perché credo che un bravo organizzatore di eventi (e io sono bravo grazie anche a chi mi supporta: tutta La Content con una menzione speciale per Lucrezia Giambartolomei in questa occasione) debba definire il suo ruolo, i suoi confini, il suo modo di stare sul palco. Capire il momento, curare i dettagli, fare il gregario, se serve. Sono un fantasista dai piedi molto buoni che all’occorrenza sa fare anche il mediano. In questo mondo di eroi, uno che sa pure essere Robin.
È stato splendido, ho iniziato a curare ABCD insieme a un competitor, un collega, l'ho finito con un amico. Grazie Nicolò per questo viaggio, se scrivere è promettere, io ti prometto che è solo l’inizio.
Il mare a sinistra
La mia immagine preferita di ABCD resta quella del mare a sinistra. È una fotografia che ho raccontato nel mio romanzo, nei miei post, sul palco dell’evento. Ma meglio di me ha saputo raccontarla chi ha assistito – sarebbe più corretto dire partecipato – all’evento: il direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Lino Patruno.
Sono giornate dense, il tempo per sedermi a lavorare – quello che chiamo hard work – è poco, ma sto raccogliendo tanto. Incontri, emozioni, suggestioni. Dopo anni che ci provavo, ho realizzato il video TikTok che ha avuto più successo di tutti. Mi sono seduto davanti alla camera fotografica e ho iniziato a parlare di quello che si prova a perdere la Seria A al 94’ davanti a 60.000 persone. A proposito, complimenti al Cagliari e a tutti i suoi tifosi per la Serie A. Non ti tedio, ulteriormente, con il calcio (anche se calcio non è, lo spiego in questo articolo uscito su Repubblica, qui nella versione post Instagram):
Tanto lo so che non dormirò. E allora scrivo, perché mi aiuta a capire, a conoscermi, a sentirmi parte di una comunità che stasera come me farà fatica a chiudere occhio. Ci diranno che ci sono problemi più grandi e hanno ragione. Ma un dramma sportivo non è mai da meno, perché ti ricorda una verità incontrovertibile, ovvero che il tempo passa. E che, sì, davanti a noi c’è un’altra stagione, ma noi saremo più adulti, i nostri figli più grandi, i nostri genitori più vecchi. Ci è passato tutto davanti, in un minuto. Mentre stavamo immaginando la festa, la prima telefonata, l’abbraccio più forte, dove eravamo l’ultima volta. Siamo entrati in quella élite di tifoserie che ha subito un dolore che ha una forma molto simile all’ingiustizia: quelli dell’Atletico Madrid, dello Schalke 04, del Benfica. L’11 giugno 2023 diventa il nostro piccolo Maracanazo, in uno stadio che non è quello di Rio de Janeiro, ma “un clima fantastico” ce l’aveva fino a che ha iniziato a piovere. E noi a insospettirci. E per allontanare questo sospetto abbiamo provato a cantare sempre più forte. All’uscita dallo stadio ho abbracciato sconosciuti, consolato bambini, sono stato avvicinato da un signore anziano che mi ha detto: “Tu hai tempo”. Ognuno provava a consolare un altro e un’altra perché questo siamo noi baresi: gente che si preoccupa degli altri. La verità è che possiamo raccontarcela in mille modi, ma oggi ci siamo fatti uno sbrego enorme all’altezza del cuore. Una ferita che diventerà cicatrice, ma spero anche diventi un tatuaggio un giorno. Di quelli da esibire. Perché amo questo sport persino quando ci mette davanti a certi dolori, mente odio il tempo che passa perché sono attaccato alla vita. Ma anche stasera tra la mia gente ho “sentito” la vita, l’ho respirata, anche quando sportivamente mi sono sentito morire. Ma è sempre meglio che morire davvero. Bari è più viva che mai, Bari tornerà in serie A perché non esistono i destini già scritti, ma i percorsi. Lo so, stasera non possiamo essere felici, è impossibile. Ma siamo nati e cresciuti nel posto più bello del mondo. Torneremo ad abbracciarci presto: più grandi, più adulti, più vecchi. Ma vivi, come questa città.
Torno a fare il mio dovere di moderatore. Ieri ho sentito speech bellissimi: Takoua Ben Mohamed che ha parlato dell’importanza del graphic journalism, Isabella Premutico con il suo merdoscopo pop, Aurora Caporossi che, parlando di social media e disturbi alimentari, mi ha regalato questa perla.
Diversity is being asked to the party, Inclusion is be asked to dance. (Vernā Myers)
La mia nicchia di lentezza
È quasi tutto, prima di chiudere vorrei spendere due parole sulle newsletter. Per me scrivere vuol dire prendere un impegno con il pubblico. L’ho detto diverse volte, raccontare è promettere. Ieri sera mi sono confrontato con altri newsletterati qui a Rimini, ed è venuto fuori che questa per noi è un nicchia di lentezza in un mondo che corre sempre più veloce.
Ecco quello che mi porterò a casa – a proposito, se stai leggendo questa email in diretta, sappi che il mio intervento di oggi è alle 9.20 in sala Content Marketing – di questo WMF: velocità e lentezza.
Da un lato, la velocità dell’intelligenza – a proposito, ho moderato un panel fighissimo con Jordi van den Bussche – e spesso del pensiero, artificiale. Dei video di TikTok, delle Stories che spariscono dopo ventiquattr’ore. Dall’altra, la lentezza delle storie, delle riflessioni che vanno fuori brief, dei post che chiedono tempo, delle newsletter. È come se, in un mondo che va sempre più veloce, avessimo bisogno di tempo, di fiato, di momenti.
Io sono Cristiano Carriero e questa la mia piccola grande nicchia di lentezza: si chiama L’ho fatto a Posta. Ti lascio con quattro motivi per aprire oggi una tua newsletter. Non dire grazie a me, ma a Jacopo Perfetti.
Una newsletter serve per conoscersi meglio: dove sto andando, quali sono gli argomenti di cui voglio parlare? Io, per esempio, una volta alla settimana mi chiedo cosa mi ha colpito, cosa voglio approfondire, come voglio divulgarlo (con quali parole, ma anche con quale forma).
Social pressure (no, non è una cosa negativa): ogni sabato so che ci sono 2.000 persone che aspettano una mia email. Anche questo fine settimana avrei potuto dire: “Sono impegnato in un evento, non casca il mondo se non la faccio”. E invece il mondo resta al suo posto, ma io un’oretta per scrivere me la ritaglio lo stesso. Lo devo a Valentina che mi ha detto che la mia newsletter l’ha salvata.
Fare test: la community che ho costruito con L’ho fatto a Posta mi aiuta a capire se le mie idee funzionano. Questa cosa mi fa risparmiare un sacco di soldi. Se un’idea è una merda, lo capisco subito.
Scrivere è uno stimolo creativo gigantesco.
Come mi sento? Stanco, calmo, soddisfatto. E tu?