Mark Zuckerberg ha annunciato che, se l’Europa continua così, ci toglie il giochino. Ci sarebbe da strapparsi i capelli, ma la mia sensazione è che nessuno la stia davvero vivendo così. La natura del problema è duplice: il fondatore di Facebook sta dicendo che senza pubblicità lo show non può andare avanti, e tutto sommato non ha torto visto che lo spettacolo è sempre stato gratuito. Il punto è un altro, a mio parere: il vero spettacolo lo abbiamo creato noi utenti, dando in pasto a Meta i nostri pensieri, le nostre parole migliori, le nostre opinioni, i nostri dati. E se fossimo noi, invece, a esserci stancati di tutto questo?
Da qualche mese ho iniziato a scrivere questa newsletter, che per me è una sorta di diario. Lo faccio perché amo il mezzo – la posta –, ma anche e soprattutto perché credo che non sia più tempo di regalare i nostri contenuti migliori ai social network. Non sono un ribelle né un radical-chic. Penso solo che in una strategia di contenuti debba esserci una scala di priorità. Se sei iscritto a questa newsletter, è perché vuoi che nella tua casella di posta arrivi qualcosa che non hai già letto altrove, che non sia un rimpasto di notizie già date e già commentate, che non sia un copia/incolla di post che hanno avuto successo su Facebook (ma ci metterei anche Instagram e persino LinkedIn, che ultimamente mi annoia parecchio).
Selezione vs ipercontenuto
Abbiamo la possibilità di selezionare contenuti qualitativi e di sceglierne la frequenza. E ancora, la piattaforma. Eppure continuiamo – soprattutto la mia generazione – a regalarli a Facebook. Perché ci hanno raccontato la storia, giusta per carità, che tutti sono lì, che tutti ci leggono, che tutti non vedono l’ora di comprare i nostri servizi. E di scambiare opinioni con noi. C’è una cosa che ho notato nelle ultime settimane e di cui ti volevo parlare da un po’. Anzi, sono due le cose, perdonami. La prima è che siamo ufficialmente entrati nell’epoca dell’ipercontenuto. Tu che sensazione provi quando entri in un negozio di abbigliamento dove c’è tutto, dove c’è troppo, dove le luci sono sparate, i camerini affollati, tutti provano e pochi comprano? Succede che ne esci stordita/o, questo succede. Nessuno ha fatto una selezione per te, nessuno ti consiglia, nessuno filtra. Siamo noi e una mole eccessiva di contenuti: alcuni interessanti, alcuni di poco rilievo, altri dannosi.
Nostalgia canaglia
La seconda parola chiave è “nostalgia”: quando ci siamo innamorati di Facebook, lo abbiamo fatto perché avevamo molto terreno da recuperare. Le nostre foto cartacee che si trasformavano man mano in album digitali – utilissimi tra l’altro a evitare quelle sfiancanti serate a guardare le fotografie dell’estate –, l’opportunità di ritrovare vecchi amici del liceo, ma soprattutto la possibilità di poter recuperare video e fotogrammi di eventi che noi, Generazione X, avevamo visto in televisione. Gli anniversari. E così, ogni volta che arrivava Sanremo, potevamo postare i video dei Festival degli Anni Novanta, i ricordi di eventi sportivi, quelli di vecchi film e molte altre cose. Abbiamo recuperato tutto ciò che potevamo recuperare, mentre sono venute su, nel frattempo, due generazioni che hanno già salvato tutto. A loro basta andare su YouTube o su Google e scrivere ciò che cercano. Per loro, il gusto della ricerca non c’è, e la nostalgia ha un sapore completamente diverso. Ammesso che esista.
Forse è di questo che dovrebbe preoccuparsi Mark. Di una generazione che non ha bisogno della malinconia e la riconosce anzi come una cosa molto cringe, tanto per usare una parola ormai entrata nel gergo.
Quando con La Content abbiamo lanciato La Circle (non c’è link perché non scrivo questo per promuoverla), abbiamo voluto puntare su una membership platform: ovvero una fee mensile anziché pubblicità e dati in cambio, un social basato sui contenuti contro uno costruito sulla potenza dell’algoritmo. E infine: la curatela del contenuto contro l’ipercontent. Certamente non siamo concorrenti e nemmeno me lo sogno, però tra qualche anno questa dinamica potrebbe essere realtà. Con La Circle o no. Ricordati di me, e di noi, se succede.
“Chi usa i social si sta rompendo i coglioni”
La citazione non è mia, ma di Vera Gheno. Mentre la stavamo intervistando per il prossimo libro che sto scrivendo con Sebastiano Zanolli – si chiamerà Post Social Media Era –, ha tirato fuori questa frase dirompente.
“Siamo piccoli esseri umani che cambiano velocemente in un contesto che cambia più velocemente di noi. Come fa una società della comunicazione a produrre qualcosa di diverso da quello che vediamo sui social media tutti i giorni?”.
La risposta proviamo a dartela – grazie anche a Vera – nel libro. Uscirà ad Aprile, ma ti aggiorno sulle prossime interviste, il backstage è sempre una cosa fighissima.
“Siamo passati dai mezzi di comunicazione di massa ai mezzi di comunicazione della massa”.
Ho scritto una canzone
Come forse sai, mi definisco un multipotenziale. E mi piace. Perché credo che la comunicazione sia un esercizio costante, continuo e che debba passare da forme differenti. Allargando continuamente la zona di comfort.
In realtà, la canzone non l’ho scritta io, ma Fabrizio D’Elia che, oltre a essere un amico, è un bravissimo cantautore. Ha preso il mio romanzo, 24 Dicembre (Les Flâneurs) – anche qui niente link perché tanto c’hai Google – e lo ha trasformato in una bella canzone. Da questa settimana il brano è su tutte le piattaforme di streaming musicale, compreso Spotify. Non è scontato che ciò accada, te lo dico altrimenti pensi che tutti possano caricare una canzone, e non è così. Il testo parla di attese, di vigilia, di ricordi e anche di Bari, la mia città.
E tu vivi in una città che è menzionata in una canzone? Se sì, mi dici quale?
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta. Abbiamo superato i 600 iscritti e sarebbe bello un giorno incontrarci tutte/i. Magari arriviamo a 1000 prima, per cui se vuoi condividere questa newsletter mi fai un grande regalo.
Ti auguro un buon fine settimana e spero di leggere – anche questa è diventata una bella usanza – una tua risposta. Come si diceva una volta, alla fine delle lettere,
Tuo, Cristiano
ciao,condivido in pieno,non c'è piu' divertimento su facebook,non puoi cercare una cosa su google che ti ritrovi un sacco di pubblicita',forse sono io che sono anziana e non so gestire la cosa ma all'inizio non era cosi.un caro saluto.loredana
È vero: mi sto un pochino rompendo, i coglioni o quel che sia. E vado a momenti sul mondo dei social. Mantengo più stretto Twitter, un microcosmo che, fin ora, mi disturba meno di Facebook, Instagram, ecc., e che per ora mi è utile. La scelta di condividere il tuo diario con noi, con chi vuole leggerti, ascoltarti, come se fosse una chiacchierata al bar, è un gesto di generosità e un bel esempio di come si possa comunicare portando un valore, proprio quello scelto da chi ti sceglie :) Grazie!