Eppure qualcosa ha funzionato
Dove si parla dell'importanza di pianificare, ma anche di quella di saper cambiare i piani. Di capire chi è il pubblico, di quale libro salveresti, di una bella iniziativa per la festa della mamma.
Devo ammettere che qualcosa effettivamente è cambiato. Adesso quando dico “bambini venite” si muovono solo i maschi. Le bambine restano ferme lì. (Una insegnante allo speech di Vera Ghena sul linguaggio ampio, Salone del Libro, spazio di Chora Media).
Stamattina giravo solo nei padiglioni del Salone del Libro di Torino, senza una meta. Finalmente, dopo due giorni di Fiera, ho potuto fare quello che mi piace di più fare: seguire il flow, curiosare, scoprire parole. Non che non siano stati belli anche i giorni precedenti, quelli che ho vissuto da “addetto ai lavori”, ma rinunciare a correre da un panel all’altro, non avere la tensione (poi ve la racconterò) di uno speech, mi ha permesso di fare delle bellissime scoperte. Torno a casa con 5 libri, la consapevolezza - vi prego di non prenderla come una mancanza di umiltà - di poter stare a certi tavoli, l’idea che la sindrome dell’impostore a volte ce la impongono gli altri, la certezza che per me gli eventi belli sono un po’ più piccoli di così e quindi a dimensione di uomo e di donna, la convinzione che a volte è meglio buttare all’aria le slide e rivedere tutto piuttosto che seguire uno schema preparato a tavolino ma che non funziona.
L’antefatto: La Content e Lucy sulla Cultura hanno stretto una partnership circa un anno fa e l’hanno rinnovata anche per il 2025. Quest’anno, l’occasione di partecipare al Salone insieme, in una sala tematica curata dalla redazione del magazine Lucy. Il menu prevedeva Telmo Plevani, Loredana Lipperini, Stefania Auci e Viola Di Grado in un talk su “Come si racconta il Sud Italia”, Diane Williams, Walter Siti, Antonella Lattanzi, Paul Lync, Andrea Piva, le Eterobasiche e, tra gli altri e le altre, il sottoscritto. Ecco, se la domanda che vi state ponendo è la stessa che mi sono posto io, allora siamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Quando ho visto la Sala Madrid, una classica sala da conferenze e non il palco a cui sono abituato (la mia zona di comfort sono eventi per lo più dedicati al digital in cui io sono un nome e non un outsider), ho iniziato a pensare che quello che avevo preparato non andava bene. Tutti, in quella sala, facevano talk, parlavano senza slide, dialogavano, e poi dovevo arrivare io a fare una lezione di storytelling? A chi poi? (l’importanza di leggere il pubblico) A persone che erano venute al Salone del Libro per sentire parlare di romanzi e di storie? Mi sono resto conto subito che qualcosa non andava, ma avevo una notte per pensare e una mattina per cambiare tutto.
E così è stato.
Quando il giorno dopo ho incontrato Federica Trezza, le ho chiesto soltanto: “Te la senti di moderare un panel?”. C’è una cosa che adoro delle persone e un grande pregio che mi riconosco, e vanno messe assolutamente in quest’ordine. Adoro quando le persone si fidano, quando non fanno troppe domande, quando si preparano senza sabotare. Quando capiscono il momento e dicono “Ok, io ci sono. Che idea avevi?”. Federica è una di queste persone. Il mio pregio è invece quello di mettere a proprio agio le persone, darle il giusto ruolo, capire chi è la persona più adatta per fare una determinata cosa. Ma qualcosa mancava, ancora. Il panel non era ancora al completo senza una scrittrice. Camminando per i padiglioni, mi sono imbattuto in una presentazione allo stand RAI. C’era Giulia Ciarapica. Ovviamente era impensabile parlarci, c’era troppa gente e lei era impegnata. Sono andato sul suo profilo Instagram, ho visto gli impegni che aveva al Salone. Praticamente aveva solo un’ora libera, e io le stavo per chiedere di impegnarla con me. Mica facile.
Non è mai facile prendersi il tempo per scrivere il messaggio giusto.
Giulia mi risponde che c’è.
Alle 13.45 sono riuscito a mettere su un panel, un’ora dopo si va in scena.
“È una tremenda sventura per questo mio libro, ma ancor più per la Repubblica delle Lettere, - tanto che la sventura mia al confronto sprofonda nel nulla, - che questa ignobile smania di sempre nuove avventure si sia radicata a tal punto nelle nostre usanze e umori, — e noi si sia così esclusivamente propensi a soddisfare quella bramosia, — che non mandiamo giù altro se non le parti più grossolane e carnali di una composizione letteraria. Le allusioni sottili e le esperte informazioni della scienza se ne volano via come essenza verso l’alto, la ponderosa morale si rifugia verso il basso; e sia le une che l’altra vanno perse per il mondo come se fossero rimaste in fondo al calamaio”
(Laurence Sterne, La vita e le opinioni di Tristram Shandy)
Ti ricorda nulla questa citazione? Anche se siamo alla fine del 1700 sembra davvero parlare di noi e della nostra epoca. Della bramosia di avventure e della necessità di tagliare tutto in parti grossolane. Dell’enorme occasione che sprechiamo ogni volta che gli aneddoti - non l’aneddotica - e la curiosità restano nel fondo del calamaio (o del nostro smartphone).
“Io non sono uno scrittrice, - dice Giulia - non mi sento a quel livello. Preferisco essere definita autrice”.
“E allora se tu sei autrice, io sono uno che scrive libri” le rispondo.
Eppure qualcosa ha funzionato, e ha funzionato davvero bene. Federica ha fatto tutto ciò che un’ottima moderatrice deve fare, i tempi sono stati giusti, si parlato di libri - io ho scelto l’unico libro che non era al Salone del Libro - il Tristram Shandy - ma anche di comunicazione, di storytelling, di vendite. Di come si costruisce un progetto editoriale oggi, di come una media company può fare soldi (che frase volgare, lo so). Di come, infine, si può uscire dal circoscritto, dal già sentito, dal prevedibile, attingendo dalle storie e quindi anche dai romanzi. Tutto quello che faccio, è una conseguenza di questo.
Questa mattina, dicevo, giravo per i padiglioni e mi sono fermato a sfogliare, e quindi inevitabilmente a comprare, dei libri di cui ti parlerò nelle prossime puntate. Uno è “L’inconfondibile tristezza della torta al limone” e mi ha riportato al pezzo che ho scritto qualche settimana per parlare della pizza Rossini.
Quindi ogni cibo ha un sentimento, riassunse George quando provai a spiegargli del rancore acido nella gelatina di uva. Mi sa di sì, dissi. Un sacco di sentimenti, precisai.
Nello stand di Blu Atlantide mi sono imbattuto in Naoise Dolan, una delle mie scrittrici preferite. Non nel senso di persona donna che scrive, ma nel senso più ampio e inclusivo del termine. Una delle mie “persone che scrivono preferite”. Sembra strano dover fare questa precisazione, ma è tremendamente necessario. Lei ha scritto due libri che ho amato e di cui ho già parlato in passato: Tempi eccitanti e La coppia felice. Il mio desiderio è quello di invitarla a Bari, allo Storytelling Festival. Il mio desiderio è esaudibile.
Io sono Cristiano Carriero e questa è un’edizione leggermente ridotta di L’ho fatto a Posta. Esce di domenica perché ieri ero impegnato a disfare il mio panel e reinventarlo. È stata scritta sul treno di ritorno da Torino ad Ancona, ma da mercoledì sera sarò di nuovo a Bari. Abbiamo un evento a La Content, si chiama A caccia dell’invisibile, proprio con Nicola Lagioia. Ci sono ancora posti.
Venerdì pomeriggio, invece, sarà al BMT a parlare di Content Marketing e innovazione digitale.
E, visto che ci siamo, sono usciti gli orari di alcune presentazione che farò al WMF:
Giovedì 13 giugno alle 15.20 talk con Maurizio Vedovati e Riccardo Scandellari su Essere leader, pensare da leader di Greg Hoffman
Pensate alla vostra tipica routine in ufficio. Per la maggior parte dei manager che incontro, la giornata inizia di solito con un rapido controllo delle email più urgenti, seguito da una se- rie di lunghe e noiose riunioni e teleconferenze con il team e con i clienti. I viaggi incessanti, la carenza cronica di talenti e l’elevato turnover dei mercati emergenti, o la contrazione di quelli più maturi, aggiungono un ulteriore carico di lavoro. Con la moltiplicazione delle iniziative aziendali, delle procedure di conformità e delle richieste urgenti che arrivano da ogni dire- zione, le incombenze non fanno che accumularsi. Al termine di una lunga giornata l’inbox è di nuovo piena e i rapporti da consegnare (o i budget, o le analisi) non sono ancora terminati. Ci manca il tempo per chiederci perché facciamo quello che facciamo, per interrogarci sul significato e lo scopo del nostro lavoro al di là dei risultati immediati. Non c’è da stupirsi che la routine abbia la priorità sulla strategia.
Giovedì 13 giugno alle 19, talk con i Newsletterati
Venerdì 14 giugno alle 15 presentazione (prima mondiale) di Professione Content Marketer.
Sabato 15 giugno, alle 13.40 speech: Influencer marketing dalla A alla (Gen) Z
Inizia a segnare le date!
Ti auguro una buona domenica e una serena festa della mamma con questa bellissima iniziativa della Lega Calcio! I nomi delle mamme sulle maglie: la Serie A celebra la Festa della Mamma rivendicando il diritto all'identità personale.
Un'iniziativa - pensata e ideata dal Milan e poi proposta a Lega Serie A e agli altri club - che trovo più che giusta, soprattutto per i calciatori stessi: se sono arrivati dove sono arrivati, è anche grazie alle loro mamme. Al pari dei loro padri.
Quante storie possono creare certe belle idee.
Un abbraccio.