L’ascetismo del fare e la seduzione dell’essere
Dove si parla di ottimi violinisti, di pessimi programmatori, di calcolatori elettronici che scrivevano poesie nel 1962, di giochi che uniscono boomer e Millennial, di "Karen" e di iper-romanzo.
Al mondo non mancano ottimi violinisti. Le orchestre stabili ne hanno fin troppi di suonatori e di timpani ubbidienti. Non cercano musicisti così e, anche se li cercassero, l’offerta supera di gran lunga la domanda. No, l’unica cosa che permetterà a questi studenti incredibilmente talentuosi di andare avanti sarà la capacità di essere originali, di suonare come nessuno si aspetterebbe che loro facciano. (Seth Godin, “Quel pollo di Icaro”)
Ieri mattina sono stato al Dipartimento di Studi Umanistici, all’Università di Macerata.
Ogni volta che devo parlare per due ore agli studenti mi chiedo: “Che cosa posso raccontargli per farli appassionare e fargli capire che il tempo dello studio è tremendamente importante?”.
La seconda cosa che mi domando è se rifarei le stesse scelte. Oggi sceglierei ancora la Facoltà di Lettere? Dopo quasi vent’anni – cazzo, come passa il tempo –, dico di sì. Non è un “sì” semplice però, non ci ho dormito diverse notti in passato. Tipo quella volta in cui il mio HR mi disse, per congedarmi: “Non hai certo performato male, ma sai quanti ne troviamo come te che escono da facoltà umanistiche?”; o quando un imprenditore mi disse: “Ma lei, che ha una laurea in lettere, perché vuole lavorare in una azienda? Qui contano i numeri”.
No amico mio, avrei dovuto rispondergli. Qui contano i fatti e le storie. Qui conta la realtà, e la realtà non è data solo dai numeri, perché i numeri bisogna anche saperli raccontare. E conta comunicare perché non è vero che noi non salviamo vite. Lo chieda a quelli che, comunicando male, hanno fatto fallire imprese, licenziato persone, messo in difficoltà famiglie. Avrei dovuto, ma non gli dissi un cazzo perché questa consapevolezza io non ce l’avevo.
Però, qualche anno più tardi scrissi un blog post. Oggi è ancora il più letto sul mio sito: La (piccola) rivincita dei laureati in lettere.
Nel 2012 scrivevo:
Le aziende adesso hanno bisogno di te, ma non vogliono dirtelo. Di te che sai scrivere, di te che studi, che conosci l’arte della diplomazia, che sai destreggiarti tra la storia, la geografia, il cinema, il mito, lo sport e l’arte. Che sei curioso, che ami le lingue e le sai parlare. Che sai essere formale e informale, che sai usare toni e registri diversi – prima lezione di italiano, quarto Ginnasio, alla faccia di chi diceva che ero distratto.
Le aziende non lo ammetteranno mai, ma ti stanno cercando per evitare di fallire. Ovvio, se ti dicessero che ti cercano, poi dovrebbero pagarti, e bene, ma questo è un altro discorso e io non starò qui a farti discorsi su come venderti meglio. Dovrei imparare io, prima. La piccola rivincita dei laureati in lettere passa attraverso lo studio e la specializzazione. Attraverso i fallimenti. Attraverso i tentativi. Attenzione, non vi sto dicendo che una laurea umanistica vi trasforma in scrittori, anzi. Ho visto molti laureati scrivere peggio di chiunque altro, con l’aggravante della presunzione. Gli scrittori sono merce rara e chi mi conosce sa che mi guardo bene da reputarmi tale. Al massimo mi ritengo uno scrivente, non saranno due libri a cambiarmi la vita.
Nell’immaginario collettivo la laurea umanistica viene ancora vista come qualcosa di arcaico, più sentimentale che spendibile. Ma non è più così.
Sulla scia di quel pezzo scrissi un sequel cinque anni dopo: La (grande) rivincita dei laureati in lettere.
Alla fine, mi sono convinto scrivendo. Ci ho costruito un mestiere, una reputazione, una stabilità economica. E sai qual è la cosa incredibile?
Maggiore è l’incedere della tecnologia, maggiore la necessità di umanesimo
Così come gli anni ’10 sono stati quelli dei social network, la seconda parte dei ’20 sarà quella del Prompt. Ci vorranno capacità tecnologiche, ma la facilità e la fruibilità di questi strumenti non sono in discussione. Quello che è in discussione è la capacità di mettere in connessione le cose, di discernere, di mettere in comunione. Nell’Almanacco Letterario Bompiani 1962. Le applicazioni dei calcolatori elettronici alle scienze morali e alla letteratura c’è un esperimento incredibile. Si tratta di un’intelligenza artificiale ante-litteram. L’esperimento si chiama Tape Mark.
Letteratura e arte – cita il testo – hanno nell’ultimo cinquantennio costantemente prestato una attenzione vivissima a fondamenti dei propri processi immaginativi e costruttivi, individuabili e riassumibili nelle successive fasi di decomposizione dei materiali precostituiti, e di ricomposizione in un risultato creativo.
In poche parole, l’intervento del “calcolatore elettronico” consiste nella composizione di una poesia di 6 strofe, formata ciascuna da una diversa combinazione parziale del testo dato. Le strofe dovranno risultare di 6 versi ciascuna, ogni verso costituito da 4 unità metriche. E qui viene il bello.
Questo primo tentativo è stato condotto su un testo breve e con istruzioni per la sua elaborazione molto semplificate e in numero limitato, in modo da permettere facilmente controlli e verifiche. Nuovi esperimenti, oltre che impiegare un testo più ampio, potranno tenere conto anche di regole grammaticali, dei valori semantici e fonetici del linguaggio, e di una metrica più complessa. Risultato:
Sono circa cento anni, forse molti di più, che l’uomo prova a usare la tecnologia per semplificare il suo lavoro. Per produrre contenuti migliori e più efficaci e per far sì che l’impatto della scrittura – e quindi delle storie – sulla comunità sia sempre più importante.
OK BOOMER!
Sabato scorso passeggiavo nel centro di Senigallia e mi sono imbattuto in un negozio di giocattoli. Era da tempo che non mi soffermavo a guardare con attenzione l’offerta di giochi da tavolo, e ho deciso di entrare a studiarli da vicino. Chi è iscritto a questa newsletter da più tempo sa della mia ossessione per il dialogo generazionale. L’ho portato a un TEDx e ho approfondito con alcune letture un tema che dovrebbe entrare nell’agenda politica. Mi ha colpito molto vedere tutti questi giochi che parlano del conflitto generazionale (boomer contro Millennial, Generazione X contro Z) e ne ho comprato uno.
Oltre ad averci giocato il 1 maggio con alcuni amici (e i loro figli), ho trovato interessante fare un piccolo esperimento su Instagram. Se mi segui su @ilcarriero, vedrai che posterò ogni sera delle domande “generazionali”. Alcuni esempi:
Questa invece è una domanda per la Old School (il gioco è “invertire” le domande: la Old deve rispondere domande sulla New e viceversa).
Per la cronaca, la risposta alla prima è Marcellino pane e vino (sono andato a scuola dalle suore, l’avrò visto circa dieci volte); la risposta alla seconda è “Una donna privilegiata, di solito bianca, molto esigente e che vuole parlare con un titolare, possibilmente maschio”. Se hai voglia di saperne di più, scrivimi; se vuoi leggere qualcosa sul tema, ti consiglio Boomers contro Millennials di Beniamino Pagliaro.
L’impresa romanzo
Nella scorsa puntata ti ho accennato questo concetto, che è la mia ossessione del momento. Lo ammetto, sono fatto per il 70% di acqua e per il 30% di ossessioni. L’impresa romanzo richiede autori pur non avendo l’ambizione di diventare letteratura. Necessita di imprenditori e manager che sappiano narrare la loro visione facendosi aiutare da chi la narrazione la conduce tutti i giorni. Persone che hanno interiorizzato il dinamismo narrativo, il montaggio fatto di paragrafi e capitoli, la capacità di declinare immagini in parole, la visione del possibile che include l’impossibile.
Il tutto con una scrittura precisa, chiara, efficace perché le parole in azienda sono importanti.
L’impresa romanzo richiede di mettere insieme l’ascetismo del fare e la seduzione dell’essere. Il rigore e la fantasia. Il metodo e le emozioni. Come nelle migliori epopee, l’impresa romanzo narra, e nel farlo compie un percorso, la possibilità di trovare il giusto equilibrio tra velocità e lentezza, complessità e semplicità. L’impresa romanzo è, prima di tutto, un luogo di senso per le persone che lo compongono. Lo è anche perché le sfide che un’azienda ha di fronte sono sempre più dense di responsabilità.
L’iper-romanzo diventa uno strumento prolifico per affrontare la complessità in una struttura ramificata e al contempo lineare. Se vuoi approfondire, sai dove trovarmi (niente link a ‘sto giro).
Bonus Track – costruisci buoni contenuti
Io sono Cristiano Carriero, e questa è L’ho fatto a Posta. Nelle prossime settimane girerò molto e parlerò di storytelling a Bari, il 19 maggio, al Business Marketing Talks, e a Rimini, al Web Marketing Festival con Best Ads are stories, dal Cacao Meravigliao ai reel di TikTok. Fa’ buon fine settimana e, come al solito, se ti è piaciuta la newsletter, offrimi un caffè!
Ciao Cristiano. Nei anni ‘60 in Italia l’umanesimo industriale è stato il fiore all’occhiello di tante aziende. Per uomini come Olivetti, circondarsi di intellettuali e gestire un’azienda con una curvatura tecnologica. è stato un punto di arrivo e di svolta per il brand e per l’economia italiana.
Ho sempre amato questa storia, ho sempre ammirato chi si sperimenta, i linguaggi che si mescolano, gli intellettuali quando perdono l’aureola e gli imprenditori quando non si sentono sl centro del mondo.
L’umanesimo industriale sta tornando e ogni professionalità un dono da saper apprezzare per un sogno comune umano ed economico.
Grazie per le tue riflessioni.
A presto