New influencer e old format
Dove si parla di una nuova generazione di creator, degli influencer dell'apparenza, di regole da disattendere e della frustrazione di avere bellissime risposte e nessuno che ti fa la domanda giusta.
Carmen ha 7 milioni di follower su TikTok, e per lavoro cambia le cover e le pellicole agli smartphone. Per tutti è NewMartina, perché un tempo quel negozio non apparteneva a lei. Sa fare il suo lavoro, lo sa fare molto bene. È veloce, intrattiene la clientela, si ricorda i nomi delle sue cliente, sciorina nomi di pellicole tipo “opaca privacy” e rende i suoi video piacevolissimi grazie a suoni, movimenti, espressioni facciali da attrice consumata. Se ci dovessimo ritrovare una come Carmen (o Martina) nel cast di una serie come Mare Fuori, in futuro, io non mi sorprenderei.
C’è un’altra cosa che mi ha colpito di NewMartina: come tanti creatori della Post social media era, fa un lavoro manuale. Ha una abilità. Poi possiamo discutere se sia una abilità che meriti di tenere incollati agli smartphone milioni di persone grazie anche all’algoritmo di TikTok, ma le sue capacità sono incontrovertibili. Tanto che, per esaltarle, lei guarda altrove mentre lavora. Parla con i clienti, saluta ragazzi e ragazze che entrano, si interessa di vicende amene come la nuova casa di Simona e Carlo e nel frattempo trasforma smartphone da buttare in piccoli gioiellini.
Oggi, per portare un telefono da lei, bisogna fare circa un’ora di fila. In compenso la si può riprendere mentre lavora. Ha pubblicato un libro (che non penso leggerò) ed ha aperto un secondo punto vendita a Bologna dopo quello di Napoli. Insomma, definirla soltanto “quella che cambia le cover”, mi sembra quantomeno riduttivo. Carmen è anche il simbolo di un mondo - quello dei creator - che sta cambiando rapidamente anche a causa, o per merito, di alcuni scossoni di cui hanno parlato abbondantemente altri miei colleghi nelle scorse settimane. Lì dove gli influencer dell’apparenza sono in crisi, assistiamo all’ascesa di nuovi creator più creativi, più spontanei e meno costruiti.
L’influencer marketing non è morto, è soltanto cambiato. Ci sarà sempre qualcuno o qualcuna, a prescindere dalla piattaforme che usa per comunicare, al quale vorremo essere associati per parlare del nostro prodotto o servizio. Sta iniziando una nuova, meno patinata ma più sincera. Preferisco parlare di NewMartina che fare l’opinionista sul caso di Stato del momento. Ci sarà modo di farlo, a bocce ferme.
Contenuto > Forma
“E comunque è brutto avere la risposta perfetta e nessuno che ti fa mai la domanda giusta”.
(Santa Maradona, Bart)
La settimana scorsa ho viaggiato in auto, da Bari alle Marche. Autostrada adriatica libera, a me non piace correre. Mi godo il paesaggio, sempre lo stesso. Non ho mai fretta di arrivare. Ho, piuttosto, premura del mio tempo. Quale migliore occasione per recuperare l'intervista di Matteo Caccia ad Alessandro Baricco?
"Secondo me abbiamo fatto una cosa" dice Matteo alla fine, a Baricco. Uso il cognome per il secondo e il nome per il primo, perché Matteo è un amico. Uno di quegli amici che invidi - Giulio Xhaet dice una cosa bellissima sull’invidia e ci invita a provarla più spesso, è un sentimento più costruttivo dell’ammirazione, ad esempio - molto, perché sono talmente bravi che tu vorresti essere come lui. E infatti non sbaglia una domanda, un tempo, una attesa, un fiato. Nell'epoca dei reel di TikTok, delle "pillole audio", dei libri riassunti in una nota vocale, loro hanno realizzato un podcast di 2 ore.
Due ore durante le quali ti devi godere tutto. Anche i silenzi. Che sono l'antitesi di un podcast, ma qui è diverso. Si parla di amore, di scuola, di fede, del rapporto con il proprio corpo, di Fenoglio, di arroganza, di borghesia, di successo e detrattori. Si parla di morte. Si parla del Toro. È un regalo che bisogna farsi.
Se non altro perché fa venire voglia di ascoltare, di pazientare prima di dare un giudizio. E fa venire voglia di porsi domande e provare a dare risposte.
Trovatelo, questo tempo.
La domanda che mi sono posto io come se a qualcuno interessasse qualcosa delle risposta e sulla quale ho argomentato, da solo, nei successivi 20 minuti è:
"Tu, che barese sei?"
E quindi ho deciso di rispondere.
Sono un barese atipico. Ho imparato il dialetto per sopravvivenza. A casa mia non si parlava, un po’ perché i miei genitori non erano baresi, un po’ perché c’erano cose consone e cose meno consone, a casa mia. E a tavola bisognava parlare italiano. Eventuali termini dialettali dovevano essere usati con cautela, possibilmente in contesti ironici, ma mai volgari. In compenso mia madre mi portava, la domenica, a vedere le commedie in dialetto barese in teatro.
Col senno di poi ho apprezzato molto questo sforzo che faceva. Mi ha fatto capire la musicalità e la teatralità della lingua del posto in cui sono nato e cresciuto, gli ha permesso di avere grande dignità grazie a compagnie come l’Anonima GR, attori come Nico Salatino, Nicola Pignataro, il compianto Gianni Colajemma. E la ringrazio per questo. Sono un barese che non impazzisce per i frutti di mare, e se li mangia ci mette il limone (perdonatemi, non me la sento.). In compenso impazzisco per le orecchiette con le rape, la focaccia e l’assassina.
Sto male per il Bari, ma proprio fisicamente. Mio padre mi ha insegnato la sportività e l’accettazione della sconfitta, e non lo ringrazierò mai abbastanza per questo. Però anche se ho subito lutti gravissimi - provo sempre un senso di vergogna a dire questa cosa -; faccio fatica a riprendermi dal dolore del 11 giugno. Sono doppiofedista, perché la mia parte milanese tiene all’Inter. Ma il Bari calcio è il mio destino che si compie o non si compie mai. La promessa di un Eden che non arriva. Il Bari mi fa soffrire. Sono un barese che ama la sua città, ma pensa che abbiamo solo pareggiato un gap che avevamo con altre città italiane e che adesso dobbiamo ambire a diventare uno dei place to be del Mediterraneo. Non guardare ad altre città del Sud Italia, ma a città come Valencia, Marsiglia, Barcellona. Sono un barese visionario, un po’ illuso, molto innamorato.
E tu che domanda vorresti che ti facessi in una intervista in cui puoi prenderti tutto il tempo che vuoi per rispondere?
(Ok, mettila pure qui sotto, nei commenti, magari un domani te la faccio io)
Io sono Cristiano Carriero, speaker, autore e storyteller, e questa è L’ho Fatta a Posta. Se ti è piaciuta questa newsletter scrivimelo nei commenti e magari rispondi alla domanda che vorresti ti venisse fatta. Oppure mi puoi offrire un caffè qui.
Ieri è iniziato “La mia famiglia e altri animali”, il primo corso de La Content con Lucy Sulla Cultura (sold out).
Quando in una famiglia nasce uno scrittore, quella famiglia è finita (Czeslaw Milosz)
Il secondo corso sarà in presenza, a Bologna, dal 8 al 10 marzo e si chiama “Il giro del mondo in 12 libri” (abbiamo ancora posto).
Ottobre (25 e 26) è lontano, ma abbiamo aperto le vendite per lo Storytelling Festival. Per il momento ad un prezzo super scontato, perché dobbiamo ancora annunciare la line up degli speaker. Però senti cosa ti dice un amico: compralo prima.
Ah posso dirlo, a breve consegno il mio ultimo libro per Hoepli: Professione Content Marketing. Si parlerà dell’evoluzione di questo lavoro e delle competenze necessarie oggi per farlo.
La settimana prossima sarò in Puglia, quella successiva a Bologna, Firenze, Brescia e Milano. Magari facciamo colazione insieme.
Fa buon fine settimana e riposati!
Ciao Cristiano, sabato e domenica prossima sarò a Bari. Disponibile se puoi per un caffè insieme.
Questo commento nasce con un errore... dopo 5 minuti che stavo scrivendo ho schiacciato il tasto sbagliato e si è cancellato tutto. Quindi resetto veramente tutto e dico solo che ci si vede a Bari in ottobre. Per ora, solo grazie