Quale sei?
Dove si parla di raccontare la propria vita in relazione a quella degli altri, del ritorno dello storytelling analogico, di oligocultura e autodisciplina, e di come farai a tornare a lavoro lunedì.
La foto della scuola non mi assomiglia più, ma i miei difetti sono tutti intatti
(Jovanotti, Mezzogiorno)
Ti scrivo mentre sto preparando la presentazione che farò venerdì prossimo (alle 19) a Puglia Women AI, a Bari. Ho trovato una vecchia foto delle elementari e ho deciso che chiederò al pubblico quale tra quei bambini è il sottoscritto. Ho pensato a tutte quelle volte in cui iniziamo i nostri speech dalla domanda Chi sono?, quando invece dovremmo iniziare a domandarci più spesso Quale sono?
Quale persona sono in un determinato contesto: è da qui che iniziano le storie, quelle che funzionano. Quelle che si sviluppano, che appassionano, che diventano narrabili e memorabili. Nessuna storia personale è davvero interessante se non ci raccontiamo in relazione ad altre persone.
Quella che sto per raccontarti non è la mia storia, è la tua (auto-cit).
Sono stato un bambino piuttosto ribelle, in una scuola cattolica. Nella foto sono quello senza grembiule. A me quella distinzione tra bianco e blu non è mai piaciuta.
Sono stato uno studente di Lettere dell’ultima ora. Ad un certo punto non sapevo più a che facoltà iscrivermi e quali pesci prendere, e così ho deciso di seguire l’unica strada praticabile: fare qualcosa che mi piacesse.
Sono stato un laureato in lettere atipico e, per sconfessare la mia scelta - o forse per confermarla chissà -, mi sono iscritto ad un Master in Marketing e Comunicazione. Ero quello che “non veniva da economia”, e quando sono andato a lavorare in azienda ho dovuto sentire questa filastrocca per i successivi 5 anni. Sono quello che doveva sempre dimostrare qualcosa.
Sono stato un dipendente, una partita iva, un imprenditore, sono ancora tutte e tre le cose perché ho un dannato bisogno di guardare il mondo da più prospettive per capire davvero dove sto andando e soprattutto se lo sto facendo bene. Ho bisogno di essere leader e di essere follower, di insegnare e di imparare, di attenermi alle regole - e se no come resistevo 25 anni a fare l’arbitro di calcio -, e di stravolgerle.
Tu quale sei?
Perché scrivere una newsletter?
Ne ha parlato Federico Favot con Alessia Carlozzo, sempre a Sorgono, dove io e Fede avevamo registrato l’episodio sul Personal branding. Non so se anche loro hanno camminato mentre parlavano, ma mi sembra che la location si sia prestata bene anche in questo caso.
Scelgo un passaggio del podcast che condivido particolarmente e sento mio:
Ogni settimana mi devo sfidare a trovare un argomento che sia interessante, affascinante nei limiti del possibile, che in qualche modo possa toccare delle corde e questo è un esercizio estremamente faticoso. Ma il lato positivo è l’autodisciplina: essermi data una scadenza settimanale è molto utile anche nel mondo del lavoro perché mi ha aiutato ad essere molto più costante e attenta.
Il ritorno dello storytelling analogico
In questi ultimi mesi ho lavorato parecchio con l’IA. Ho seguito il corso Prompt chi parla, ho scaricato tantissimi programmi, ho iniziato a conversare con Chat GPT, persino a contribuire in parte ad educarlo:
Ma a parte questi piccoli inconvenienti figli del patriarcato che prima o poi estirperemo, sto scoprendo un sacco di tool interessanti. Tipo quello per convertire gli articoli in audio di alta qualità; quello che trasforma i testi in video; il tool per pianificare la struttura di una landing page o quello per ottimizzare continuamente i testi.
E poi c’è Sora la nuova IA che genera video. Sei mesi fa pensavamo che ci sarebbero voluti 10 anni per arrivare a generare video realistici. In realtà ci abbiamo messo meno tempo del previsto. Ok, possiamo andare anche più piano:
Il rischio, evidente, è quello di passare da una oligocultura ad una monocultura. O, come scrive Andrea Girolami, da una monocultura di massa a una individuale.
Immaginatevi seduti sul divano, - ha scritto Andrea in Scrolling infinito - mentre indossate un visore immersivo che vi mostra una serie tv costruita espressamente sulle vostre richieste. Un’immagine tanto vicina alla distopia quanto alla prossima realtà. Da un presente in cui i meccanismi di raccomandazione, sociali e tecnologici, spingono tutti a consumare gli stessi prodotti, andiamo verso un futuro in cui ciò che vedremo e leggeremo sarà creato su misura per ciascuno di noi (post social media era).
Il rischio è quello di passare da una monocultura ad un’altra: da una di massa ad una individuale. Anche nell’era dell’intelligenza artificiale e dei contenuti infiniti, il divario tra contenuti di successo e quelli di nicchia continuerà ad essere enorme, anzi diventerà ancora più estremo. La coda lunga della frammentazione sarà davvero infinita, e alla testa rimarranno solo una manciata di nomi e servizi così grandi da monopolizzare buona parte dell’attenzione mondiale, come mai accaduto prima nella storia dell’umanità. Penso a popstar che vendono miliardi di dischi, videogame di una complessità inaudita, serie tv che costano più di 100 milioni di dollari a puntata e, ovviamente, il Festival di Sanremo.
La domanda che ti pongo io però è questa:
Trovi più affascinante il video degli elefanti polari o la mia foto delle elementari?
No, non rispondermi. Ma non essere troppo preoccupata/o. Sai cosa succede quando tutto diventa una commodity? Quando le immagini, i video, i testi possono essere generati in pochi secondi? Semplice:
Accade che vince chi ha la storia migliore.
E non solo, aspetta. Vince chi decide meglio come va raccontata, con quali strumenti, quando (in che tempi). Se è un film, con quali attori e che espressione devono avere, autentici o artificiali che siano. Vince (anche l’Oscar) chi disegna a mano libera. Vince chi trova la musica più adatta a quel contesto, non la migliore. Vince la fotografia, la luce, il silenzio, i dialoghi. Già, i dialoghi.
Certo che tutto questo lo puoi riprodurre con l’IA, ma a chi spetta trovare connessioni emotive come quelle di Piero di Ovosodo, quando descrive il suo incontro con Tommaso?
Tommaso fu l'incontro centrale della mia adolescenza, come Brian Eno per gli U2 e Bearzot per la Nazionale. Gloria e infamia lo ebbero come centro propulsore. Con lui mi avventuravo in un mondo sconosciuto di persone e cose che non c'entravano nulla con le abitudini di quartiere, le amicizie del palazzo, i pomeriggi a studiare nell'alimentari della mamma di Mirco. Dei primi mesi della nostra amicizia mi ricordo un gran casino di pasti saltati, Tianamen, il Comandante Marcos, Malcolm X, Mandela e il movimento della Pantera, Zhang Yimou, Peter Jackson, Tondelli e Thomas Bernhard, sbronze, Kurt Cobain, baci dati e ricevuti, nuove Posse, puzzo di piedi e rientri a casa all'alba con la testa rintronata.
E così, pur continuando a smanettare sui tool, a provare a generare video in AI, a generare immagini di pop corn che esplodono in un cinema, resto incantato ad ascoltare le scrittrici e gli scrittori dei nostri corsi, a vedere le facce felici di persone che scelgono di passare un weekend a parlare di realismo magico e di letteratura della meraviglia. È successo lo scorso weekend a Bologna, e adesso so che dovremmo farlo più spesso.
“E adesso come faccio a tornare a lavorare, domani?”
Se dovessi scegliere un claim de La Content, dovrei fare una seria riflessione su questa frase. Ne parlavo con Irene Schillaci, nostra amica e corsista. Ogni volta che finisce un nostro evento, le persone vengono a dirci questa cosa. È successo anche lo scorso fine settimana.
Per una Impresa che fa formazione, potrebbe sembrare un controsenso. Ma inizio seriamente a considerare l’idea che non sia così. E che la nostra missione sia quella di far sì che sempre più persone si facciano questa domanda. “Ma come faccio a tornare a lavorare, domani?”
“Rendendo (anche) il lavoro un luogo migliore”
Noi ci proviamo, io ci provo. E lo sappiamo che è una fatica, che nulla si ottiene solo con i proclami, che la felicità e la serenità stanno in un insieme di cose e non sempre basta avere una missione professionale. Però andremo avanti così. Il primo ringraziamento voglio farlo a tutti i collaboratori e le collaboratrici de La Content: sono educati, intelligenti, studiosi. Hanno passioni e interessi, stanno attraversando un momento di trasformazione dell’azienda e si stanno mettendo a disposizione con il lavoro e l’entusiasmo. A tutte e tutti loro, grazie.
A proposito, abbiamo un’offerta di lavoro per una/un Account & Business coordinator
Io sono Cristiano Carriero, quello senza grembiule, e questa è L’ho fatto a Posta. Grazie per essere parte di questa community.
Ti ho già detto di Puglia Women Ai e del fatto che cerchiamo un/una business coordinator, quindi passere velocemente ad annunciazioni e link:
Quasi tutto pronto per Professione Content Marketer, usciamo a maggio!
Ad aprile inizia La gioia di scrivere: si scrive, si riscrive, si ricevono feedback
A maggio, a Bari, ci chiudiamo un weekend in aula con Nicola Lagioia, Antonella Lattanzi, Andrea Piva e Enzo Mansueto per andare A caccia dell’invisibile.
A breve partirà Off the record, dall’idea al podcast: saranno con noi Pablo Trincia, Ester Memeo, Fabio Ragazzo, Likeabee e molti altri. Se vuoi info, scrivimi a cristiano@lacontent.it
Dall’autunno prossimo La Classe di Digital Storytelling diventa learning by doing grazie alla commistione tra Academy e Agency de La Content: chi si iscrive lavora con noi sui progetti da novembre ad aprile (e farà pure tanta fatica, lo dico da adesso). Colmiamo un gap evidente, quello della pratica e lavoriamo su soft skills come la capacità di gestire un progetto, un cliente (interno in questo caso), un team, l'approccio strategico. Il mercato dei social media manager - devo scriverlo - è cambiato parecchio. Se sei interessata/o stessa mail di cui sempre. Massimo 25 partecipanti. Scrivimi anche se vuoi un confronto di 15/20minuti con me sul tema, sarò felice di trovare un momento per te.
A giugno farò remote working da Marsiglia
A luglio da Dublino!
Credo sia tutto, ricordati di dirmi Quale sei.
Fa buon weekend e riposati un pochino!
La cosa più spaventosa non è l’AI, che magari in alcuni settori può essere molto utile, quanto la polarizzazione di noi persone comuni. Già i social ci polarizzano e bisogna fare un grande sforzo per andare a leggere le notizie in modo “attivo”, magari da diversi punti di vista; o di entrare in libreria e comprarsi un libro non “in base a quello che hai letto” - come dice il mio Kindle.
Se i social ci hanno anestetizzato il cervello ed estremizzato le idee, chissà in che direzione andrà l’AI.
L’unico modo per non farsi inghiottire è di ricordarsi che siamo umani con possibilità di scelta e lei è solo uno strumento a nostra disposizione.