Ricordati di lasciare lo spogliatoio pulito
Dove si parla di Legacy, di censura, di boicottaggi non riusciti, di imprese epiche. E di geronotofilia e tranquillità, di lavorare insieme e celebrare le vittorie.
I giapponesi, dopo aver battuto la Germania – cosa che non era successa nemmeno ai tempi di Holly e Benji, quando avevano pareggiato grazie ai gol di Mark Lenders e Oliver Hutton –, hanno lasciato lo spogliatoio pulito.
Non è una novità, lo avevano già fatto ai Mondiali del 2018, dopo aver perso agli ottavi di finale contro il Belgio. In realtà, lo fanno sempre, ma fa notizia in un mondo abituato a pensare che dopo di noi, dopo il nostro lavoro, passerà qualcuno a pulire. Gli All Blacks, la nazionale di rugby della Nuova Zelanda, ne ha fatto uno dei valori fondanti: “pulire gli spogliatoi e lasciarli nelle migliori condizioni possibili per chi verrà dopo”. Si chiama Legacy e, per iniziare ad applicarla, basterebbe impegnarsi a lasciare pulita la propria postazione – sì, anche solo la scrivania, magari – dopo aver finito di lavorare.
L’Iran è rimasto muto
I calciatori dell’Iran hanno scelto di non cantare l’inno per esprimere dissenso contro il regime e supporto alle rivolte in atto nel Paese per i diritti delle donne. La situazione è precipitata a metà settembre, quando si è diffusa la notizia della morte in carcere di Mahsa Amini, la ragazza di ventidue anni che era stata arrestata dalla polizia per aver violato il rigido codice di abbigliamento islamico. Indossava il velo in maniera non corretta. E per questo meritava di essere imprigionata. Il giorno dei suoi funerali, il 17 settembre, è partita una lunga protesta che, col passare delle settimane, è costantemente aumentata di intensità. Così come la repressione. Ne ha parlato anche la mia amica Pegah Moshir Pour alla Masterclass de La Content.
La Svizzera ha battuto il Camerun 1-0, con un gol di un ragazzo nato a Yaoundé
In Camerun, appunto. Tanti hanno contestato al ragazzo la scelta di non esultare – “Poteva scegliere il Camerun” –, ma è molto difficile comprendere certe decisioni. Resta pur sempre il posto in cui sei nato, dove sei cresciuto, che ti ha offerto una possibilità quando eri bambino. Io, personalmente, non me la sento. Ma la trovo una scena molto forte e molto attuale.
La Germania si è coperta la bocca
La FIFA ha minacciato sanzioni (anche disciplinari) per chi indossa la fascia di capitano con l’arcobaleno LGBTQ+, e così la Germania ha scelto di lasciare un altro scatto importante: tutti i giocatori si sono coperti la bocca, simulando il segno della censura.
Troppo facile, sostengono in molti. E magari tra questi ci sei anche tu, in questo caso ti prego di scrivermelo, sono da sempre aperto a ogni tipo di discussione. Dico solo che boicottare un evento sportivo come il Mondiale, anche uno assurdo come questo del Qatar – sappiamo benissimo che sono oltre 6.000 le persone che hanno perso la vita nei cantieri –, è una scelta molto complicata. In primis, per ragioni sportive: i Mondiali sono ogni quattro anni (noi italiani lo sappiamo bene, gli ultimi due li abbiamo saltati), e per molti giocatori non c’è una seconda possibilità in carriera. Poi, c’è una ragione economica (gli sponsor, gli accordi, l’indotto) e, infine, una di tifo. Chi si assume la responsabilità di spiegare agli inglesi che l’Inghilterra salta un Mondiale e ci ripensa tra quattro anni?
La verità è che spesso i Paesi che riescono ad aggiudicarsi l’organizzazione dell’evento sono quelli che, per un motivo o per un altro, sono interessati allo sport come leva del consenso. Fu così nel 1934, quando l’Italia di Mussolini si aggiudicò e vinse – per molti in maniera regolare, ma alcune fonti ci instillano un dubbio legittimo – i Mondiali di Roma. O nel 1936, alle Olimpiadi di Berlino. Quelle durante le quali la Germania mostrò al mondo tutta la sua efficienza, la sua magnificenza e la sua potenza comunicativa. Ci sarebbe molto da dire su quell’evento: l’America pensava di boicottare ma, alla fine, mandò i suoi atleti a Berlino. Se non l’avesse fatto – va detto che Brundage, all’inizio molto scettico, aveva preso qualche accordo con i nazisti –, non avremmo visto Jesse Owen vincere in volata la staffetta dalla quale erano stati esclusi i velocisti ebrei. E che dire del Mondiale del 1978 in Argentina? Quello dei desaparecidos, quello di Videla che rastrella le strade di Buenos Aires e delle madri che non trovano i propri figli. E dell’Argentina che vince, per dimenticare. Ci sono molte ombre anche sui Mondiali di casa nostra, Italia ’90. Le raccontiamo come Notti Magiche, ma la mafia ebbe un ruolo importantissimo, tanto che solo due anni dopo saltarono per aria Falcone e Borsellino. Tanto magiche quelle notti non erano, ma ci è piaciuto pensare fosse così. Ci sarebbe da spendere due parole anche sull’organizzazione di Corea e Giappone 2002 e sugli Europei in Polonia e Ucraina del 2012, quando sparirono tutti i cani dalle strade. Su Russia 2018 meglio non esprimersi nemmeno.
La gerontofilia dello sport
Più cresciamo, più diventiamo grandi, più tifiamo per certe imprese. Non sono mai stato un grande tifoso di Cristiano Ronaldo, ma adesso che si avvia alla conclusione della sua carriera, ora che ha fatto all-in sulla sua nazionale, adesso che inizia anche lui ad avere qualche piccolo acciacco, qualche allenatore che non lo vuole tra i piedi, e gioca in una squadra che non vince sempre, mi sta molto più simpatico. Si chiama gerontofilia: invecchiano gli atleti imbattibili e diventano più umani. Mi era capitato già con Valentino Rossi, che ho amato molto di più negli ultimi anni, quando correva per amore dello sport e per passione, con Totti che non riusciva a smettere, con Federer. E comunque ‘sto signore qui ha fatto gol al quinto Mondiale consecutivo. È un record, fai pure i conti di quanti anni sono.
Ci sarebbero tanti altri aneddoti, e spero tu possa averli apprezzati anche se non segui il calcio o se hai deciso di boicottare la visione del Mondiale. Aspetto di leggere il tuo parere. Ci tengo.
La tranquillità è la chiave
Il richiamo della tranquillità giunge in silenzio; il mondo moderno si propone in modo del tutto opposto. Oltre al rumore, agli schiamazzi, agli intrighi e alle lotte intestine a cui erano abituati i contemporanei di Seneca, noi dobbiamo fare i conti con clacson, impianti stereo, suonerie dei cellulari, notifiche dei social media. E non è finita: i nostri problemi personali e professionali sono altrettanto invadenti. La concorrenza sgomita in ogni settore; abbiamo scrivanie sommerse di fogli e caselle email straripanti di messaggi. Essere costantemente raggiungibili non ci permette mai di prendere le distanze da discussioni e aggiornamenti. La morsa del lavoro ci sfinisce e sembra non mollare mai la presa. Siamo sovralimentati, ma denutriti. Sovrastimolati e iperimpegnati, ma soli.
Chi ha la forza per fermarsi? A chi è rimasto del tempo per pensare? Ryan Holiday ne parla in questo bel libro: in un’epoca di distrazione costante, la capacità di scegliere la concentrazione e la quiete interiore è più importante che mai.
TikTok, Boom
Ne ho parlato nella newsletter della scorsa settimana, ma oggi voglio consigliarti un bel documentario (è gratuito, ti servirà anche per migliorare il tuo inglese) che approfondisce tanti aspetti da me non toccati.
Che cosa significa essere un nativo digitale? Il film analizza la piattaforma attraverso diverse sezioni – algoritmica, socio-politica, economica e culturale – per esplorare l’impatto dell’app che ha rivoluzionato la percezione dei social e dell’intrattenimento. Bilanciando un genuino interesse per la comunità e i suoi meccanismi innovativi con un sano scetticismo, si approfondiscono i problemi di sicurezza, le sfide politiche globali e i pregiudizi razziali alla base della piattaforma.
Vieni a lavorare un’ora con me?
Ne La Circle – iscriviti, è gratis – stiamo facendo un bell’esperimento. Un’ora di lavoro su un progetto vero, durante la quale facciamo brainstorming, ci confrontiamo, vediamo insieme tools & tricks, come si fa un budget e tanto altro. Iniziamo lunedì 28, dalle 12 alle 13, con un progetto di influencer marketing. Se ti interessa, basta che ti iscriva qui (se non ti fa accedere, iscriviti pure a La Circle e dopo clicca su “Partecipa”). Il lavoro collaborativo è un argomento sul quale voglio investire parecchio tempo nei prossimi mesi.
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatta a Posta. Questa settimana sono andato decisamente lungo, ma credo ne valesse la pena. Almeno lo spero.
Fa’ buon fine settimana e scrivimi!
Cristiano, la tua narrazione su quanto è sempre avvenuto contestualmente agli eventi sportivi è condivisibile ma merita una riflessione.
Questi mondiali aprono ferite profonde sulla contemporaneità e consentono di divulgare fatti e situazioni quasi sempre oggetto di censura. Il fatto che sia già accaduto non ci consente di restare inermi.
Oggi leggevo le storie di Pegah e davvero trovo raccapricciante che dietro lo sport si nasconda la più alta violazione dei diritti umani.
Vorrei poter pensare ai
Mondiali come una occasione per poter rendere visibile ciò che si vuole rendere invisibile agli occhi.
Dello sport in generale mi hanno sempre più affascinato le storie che accompagnano l’evento che le gare. Credo e spero che si raccontino più storie di questo mondiale e che soprattutto si riescano a divulgare.
Grazie