Cosa provi a riguardo?
Dove si parla di cambiare letto e lingua, di pensare e provare, del ruolo del Chief Vision Officer e della differenza tra I have a dream e I have a plan.
Non è che la gente sia meschina o crudele: semplicemente ha da fare.
Ieri mattina ho preso un taxi alle 4, anzi alle 3.50 per la precisione. Ho imbarcato il mio bagaglio, ho preso l’aereo alle 6 e sono arrivato a Dublino poco prima delle nove. Il tempo di prendere due bus, arrivare in hotel, fare la seconda colazione - la prima l’ho fatta tra la veglia e l’incoscienza - e trovare uno spazio, un bello spazio, nella hall per lavorare.
Non finirò mai di sorprendermi per questa possibilità di iniziare a lavorare dall’altra parte dell’Europa, dopo aver preso un aereo, mentre alcuni sono ancora nel traffico per arrivare un ufficio. Rende l’idea di quante alternative abbiamo e di come non sempre le sfruttiamo a dovere. Resterò qui, a Dublino, per una ventina di giorni. Un anno fa ho iniziato a sentire il bisogno di uscire più spesso dalla mia, dalle mie, zona di comfort. Vivere, seppur per brevi periodi, in luoghi diversi, parlare un’altra lingua, conoscere nuove persone. E così dopo Liverpool, Fuerteventura e Marsiglia eccomi qui in Irlanda.
La costante di questi viaggi è che, nonostante i miei 45 anni suonati e sette inter-rail di cui mi pregio manco fossero sette dei Campioni, un giorno prima di partire penso sempre: “Quasi quasi non vado. Sto tanto bene qui. Domani me ne vado a mare”. A furia di sentirla, quella stupida vocina, ho imparato a ignorarla. A non darle alcun peso. Fosse stato per lei non sarei andato in Messico, in Perù, negli States, A Fuerte a novembre, a Marsiglia a giugno, a Liverpool e a Dublino. E chissà quante cose ancora non avrei fatto. La verità è che non è così stupida quella voce, se ci pensi.
Visto che il cervello si trova troppo a suo agio nell’ambiente quotidiano, bisogna creargli qualche disagio: si tratta di passare del tempo in un’altra terra, tra gente con abitudini diverse. Quando si viaggia, il mondo sembra nuovo, stimolando il cervello a lavorare di più.
(Ruba come un artista, Austin Kleon)
Perché al di là della bellezza della scoperta e del nuovo, mica è semplice mettersi continuamente in gioco: cambiare città, cambiare clima, cambiare abitudini, orari, lingua. Cercare di farsi nuovi amici, e in fretta, per non rimanere da soli. Cambiare letto (ancora), postazione di lavoro, organizzazione. Tu cosa ne pensi? Hai un lavoro o una situazione famigliare che non ti permette di farlo e se potessi non ti faresti tutti questi problemi, oppure un po’ mi capisci?
Che poi, la frase corretta non è mai “Cosa pensi” ma “Cosa provi a riguardo?”
Provaci, a cambiare quel verbo. Chiedi a qualcuno cosa prova e andrai più a fondo su quelle che sono le sue emozioni. Quando proviamo qualcosa iniziamo a raccontare, e se scrivendo tocchiamo i tasti giusti, sarò molto più semplice invitare qualcuno a dirci cosa sta davvero provando.
La settimana scorsa sono stato a Yell
Ringrazio ancora una volta Nicolas, Francesca, Roberta, Maria Carla e tutto il team di Likeabee per aver organizzato l’evento. Ha ragione il mio socio Alessandro quando dice che:
Agli eventi le foto vanno scattate alle persone, non alle e agli speaker. Perché, pare retorico, ma è solo guardando le espressioni delle persone che capisci se lo spettacolo è piaciuto. Come quando all’uscita del cinema guardi le espressioni di chi ha appena finito di guardare il film per capire se è stato bello. Un po’ come quando guardi nei piatti degli altri prima di ordinare al ristorante. E poi gli amici di Likeabee hanno inviato e condiviso le foto su Flickr. Due premi e mention speciali per loro. Uno per aver usato Flickr (adoro), l’altro per averle inviate presto, non con i tempi biblici di un album di un matrimonio; che foto di un evento sono, non bisogna aspettare mai tanto come se fossero opere di Cartier Bresson o Leibovitz.
E le espressioni delle persone dicono molto di questo evento.
Io e Nicolò abbiamo parlato di un “articolo molto speciale”: la calma del surfista.
Con lei aspetti l'onda
E parti alla conquista
Di una strada sempre diversa
Di una vita che sembra persa
Che si riprende in colpo di reni
O con una caduta senza problemi.
(Venti Bottiglie di Vino, Bandabardò)
Abbiamo cavalcato le onde delle emozioni partendo non dalle solite case study di brand noti, ma da storie che vengono dal passato: le storie ci dotano di un archivio mentale di situazioni complesse che un giorno potremmo trovarci a dover affrontare, unitamente a una serie di soluzioni operative. Così come i giocatori di scacchi memorizzano risposte ottimali a un’ampia gamma di attacchi e difese, noi ci attrezziamo per la vita reale assorbendo schemi di gioco finzionali. Abbiamo quindi spiegato come si progettano le storie e quali obiettivi e visioni devono guidarle.
Duettare con Nicolò è sempre un grande piacere. Mi piace pensare che la nostra intesa si sta affinando giorno dopo giorno, all’inizio non era semplice entrare nei suoi tempi, nel suo ritmo. Fondamentalmente è sempre una questione di ritmo. E la differenza tra tempo e ritmo la spiega benissimo David Bevilacqua in un bel pezzo per Senzafiltro.
Nel lavoro il ritmo conta più del tempo.
Sì, perché il ritmo è quello che ti dà l’idea del controllo di quello che stai facendo. Tutti questi stimoli esterni a cui siamo sottoposti interrompono il nostro ritmo e quindi la nostra concentrazione. Secondo degli studi ogni volta che la nostra concentrazione è interrotta ci vogliono ben 23 minuti per recuperarla, e noi siamo bombardati di continuo da stimoli e richieste di attenzione. È chiaro allora che non solo la produttività, ma anche la soddisfazione per il lavoro che si sta svolgendo, ne vengono danneggiate. Credo allora - dice Bevilacqua ex CEO di Cisco-, che sia urgente costruirsi degli spazi e dei tempi liberi da distrazioni.
Diventa un CVO
Le parole contano. Imprimono una direzione alle cose, danno loro un significato. Scegliere le parole sbagliate modifica i propositi e fa sì che le cose non vadano come sperato o previsto.
Prendiamo il celebre discorso “I have a dream” di Martin Luther King. Ecco, il discorso non recitava “I have a plan”. Eppure, non c’è dubbio che avesse anche un piano. Sappiamo anche che ha partecipato diversi incontri per discuterne. Ma in qualità di CEO del movimento per i diritti civili, Martin Luther King non era responsabile della sua attuazione. Era responsabile del sogno e doveva assicurarsi che i responsabili del piano lavorassero per realizzare quel sogno.
Se la persona più in alto, all’interno di una organizzazione, deve concentrare il proprio sguardo “oltre”, “al di là”, allora serve un titolo professionale che aiuti a inquadrare quella che è la sua responsabilità principale. Questo titolo, secondo Simon Sinek è quello di Chief Vision Officer (CVO): il direttore, o meglio responsabile, della visione. Questo è il ruolo che compete a chi guida: essere il detentore, il comunicatore e il protettore della visione. Il suo compito è garantire che tutti comprendano con chiarezza la giusta causa. Là dove i CVO guardano fuori, oltre, al di là, CFO e i COO devono concentrarsi verso l’interno, andare in profondità. Il primo ruolo rchiede uno sguardo sul piano dell’orizzonte infinito, gli altri due uno sguardo sul piano aziendale.
Il primo immagina un futuro a lungo termine, gli altri considerano i passi da compiere nel futuro immediato.
Questo è uno dei motivi per cui le organizzazioni che funzionano meglio sono spesso gestite in tandem: la combinazione tra il custode della visione (CVO) e l’operatore (il CFO e il COO) permette alle imprese di prosperare.
Io sono Cristiano Carriero, sono un CVO - l’ho messo anche su Linkedin - che poco potrebbe senza la sua Managing Director, Vanessa Carmicino, senza il suo CFO, Marco Napoletano e senza il suo CMO, Alessandro Piemontese, oltre che senza la sua socia Luisa Ruggiero e tutte le collaboratrici e i collaboratori de La Content, e questa è L’ho fatto a Posta, la mia nicchia di lentezza in un mondo che va (troppo) veloce.
Se il tema della Visione ti interessa, se lo vuoi approfondire davvero e se ne hai colto la portata, l’appuntamento è per il 25 e 26 ottobre a Storytelling Festival. Ci sono ancora 100 biglietti e vale la pena esserci. Quello che non troverai al nostro Festival è la cassetta degli attrezzi. Ma sono certo che troverai la strada per avere una visione chiara. Diventa il o la responsabile del tuo sogno; probabilmente quello che stai facendo mentre rimandi è il lavoro che dovresti fare per il resto della tua vita.
Abbi cura di te.
ps: Se vuoi seguire il mio viaggio in Irlanda puoi seguirmi su Instagram, se hai consigli su Dublino e dintorni, sono felice di ascoltarti!
Spostarmi dove mi va quando mi va è la parte più bella del lavorare online. Un saluto dal Kirghizistan 😊
Non mi sposto per lavoro, ma per piacere. Quando sono fuori dall’Italia da un po’ di tempo a questa parte, affitto case. Ho deciso che non vado più in hotel. Questo lo faccio per fare la spesa nel supermercato più vicino, per decidere di non cucinare e andare a mangiare nel ristorante ricercato nel pomeriggio tra i tanti in zona, per fare colazione, se voglio, nel baretto sotto casa, per osservare dalle finestre la vita che scorre in una città che non è la mia. Così dalla gente che vedo affacciandomi, decido ad esempio come vestirmi. Se ha il kway vuol dire che soprattutto io italiana terrona, me lo devo portare con me…