Lo storytelling sta benissimo, siamo noi che ce la passiamo così così
Dove si parla di rientro dalle ferie, di continuità e propositi, di Cynar che irrompe sul mercato degli Spritz grazie ad una sponsorship perfetta, di narcisismo narrativo e di overtourism.
Se ti dicessi che sono tornato riposato e carico (che brutta parola “carico”) dalle vacanze, ti direi una bugia. E non perché non abbia passato una bellissima estate. Sono una persona fortunata: ho avuto l’opportunità di lavorare da Marsiglia a giugno e da Dublino a luglio, - come dice la mia amica Serena, cantare Don’t back in anger a squarciagola in un pub di Temple Bar è uno dei 10 motivi per cui vale la pena vivere - ad agosto, per due settimane, ho finalmente mollato un po’ il lavoro per dedicarmi all’arte dell’ozio. Sono andato a mare, ho letto romanzi che non ricordavo di avere nella mia libreria, sono andato a trovare vecchi amici, ho scritto solo per piacere e mai per ricordare al mondo che esisto.
Credo e sostengo ormai da anni che le vacanze servano principalmente a farci riflettere su quanto ci piace (o meno) la nostra vita e il nostro lavoro. Non tutti possiamo permetterci di fare un lavoro che amiamo, che ci appassiona, che ci fa svegliare contenti. E anche chi, come me, ama ciò che fa ed è spinto dal sacro fuoco dell’intraprendenza e dell’imprenditorialità, può stancarsi. A me, ad esempio, mi crea un po’ di frustrazione - può sembrare un paradosso, lo so - che molte delle mie passioni siano diventate un lavoro. E quindi finisco per farle per soldi. È un rischio che si corre quando si sceglie il famoso “lavoro che si ama”. Quello che dovrebbe permetterci, secondo i saggi, di “non lavorare più nemmeno un giorno della nostra vita”. E invece ci porta a non riposare davvero mai, a privarci di quella strana sensazione di fare una cosa per il gusto di farla, e non perché ci porterà un ritorno.
Non mi serve essere risposato, perché è altrettanto vero che ho la fortuna (creata nel tempo, non calata dal cielo) di non avvertire una grande stanchezza. Non mi serve essere carico, perché non è la motivazione che cerco, ma la continuità. Quella che mi permette di fare le cose nel giusto tempo e nel giusto modo. La stessa che mi consente di dedicarmi al come del mio lavoro, oltre che al perché. Ho smesso di stilare liste di buoni propositi settembrini, deciso di abolire i nuovi inizi, sebbene gli impegni condivisi aiutino a mantenere le promesse. I miei progetti sono quasi tutti a medio lungo termine, l’unica cosa che mi interessa davvero è spostare pian piano il mio focus verso progetti appaganti e persone di valore. A luglio ho dedicato tempo a persone che avevano fretta di ricevere progetti “da valutare prima dell’inizio delle ferie”. Alcuni di questi non si sono degnati di dare una risposta e siamo al 30 agosto. Con queste persone, oggi posso permettermi di dirlo perché mi sono costruito una professionalità e una reputazione, io non voglio lavorare più. È da loro che voglio staccare, non ad agosto, ma per sempre. Da quelli che non sanno più fare una telefonata, da quelli che si appropriano degli spazi del tuo calendario, quelli che chiedono sempre e non danno mai. Da quelli che non decidono mai, in un epoca in cui chi non decide è già morto, perché il tempo passato a fare riunioni che non portano a nulla è lo stesso di quello che investiamo in ore che producono idee.
È un piccolo lusso, quello di potersi permettere di scegliere con chi lavorare. E io me lo voglio prendere tutto.
Di maglie da calcio e sponsor
Chi mi conosce sa quanto sia appassionato di branding sportivo, tanto da investire in una startup dedicata alle maglie da calcio che si chiama Goallections (spolier).
Per funzionare, uno sponsor deve essere coerente con la maglia. Meglio ancora se quel brand ha un legame con la città, con i tifosi, con la cultura del luogo. La storia è fatta di tanti sponsor dimenticabili, sopratutto in un epoca in cui si tende a riempire tutti gli spazi della maglia. Ma chi davvero si ricorda cosa c'è scritto sulla maggior parte delle maglie delle squadre di calcio? Nessuno, in compenso, dimentica Barilla sulla maglia della Roma, Buitoni su quella del Napoli, Mediolanum su quella del Milan, Ariston su quella della Juventus e Misura su quella dell'Inter.
La combo tra Venezia (che per i tifosi si chiama Unione perché unisce, appunto Mestre e Venezia) e Cynar Spritz è una delle idee più brillanti degli ultimi tempi. Il brand è local ma con un respiro internazionale, esattamente come la squadra. È heritage, così come heritage sono gli spot, la fotografia, le bandiere, la palette di colori. Ma, soprattutto, Cynar irrompe sul mercato dello Spritz, già popolato da altri competitor (Aperol, Campari, Select) posizionandosi come lo Spritz veneziano.
Select ha fatto un'operazione del genere qualche anno fa, con uno spot in cui diceva di essere il vero aperitivo veneziano. Ma posizionandosi sulle maglie dell'Unione, all'alba di un campionato di Serie A, Cynar fa la voce grossa potendo contare anche su un brand storico (direi anche vecchio prima dell'operazione di riposizionamento) a cui questa operazione dà nuova vita e nuova linfa. Non solo maglie: Cynar Spritz ha creato anche delle bandiere, e a nessuno dà fastidio che ai colori della squadra venga accostato un marchio commerciale.
Semplicemente perché questo abbinamento è straordinariamente azzeccato, straordinariamente coerente. Merita un focus anche lo sponsor tecnico, Nocta. Non tutti sanno che Nocta è una estensione di brand di Nike creata dal rapper Drake, che questa estate ha rilevato delle quote del Venezia FC con un sostanzioso finanziamento che ha permesso ai lagunari di iscriversi al campionato di Serie A.
Da sottolineare che Cynar, Aperol e Campari sono competitor particolari, tutti stessa proprietà, Gruppo Campari. E qui incomincia un’altra storia, che voglio raccontarti e che può esserti utile.
Si dice spesso che i post di Linkedin devono generare valore. Ma che tipo di valore deve essere? Quando faccio un post promozionale e ricevo 100 like da persone che lavorano nella mia stessa nicchia, amici e conoscenti, ho creato davvero valore e investito bene il mio tempo? Quello che è successo con il post che hai appena letto su Cynar Spritz e Venezia è molto differente. Oltre ai like (molti) ci sono state diverse condivisioni, la maggir parte da marketing manager di aziende di altissimo profilo. Sono entrato in contatto con il management di Campari che mi ha scritto in privato per farmi i complimenti, con due giornalisti che mi hanno chiesto di saperne di più su Goallections, con altri due decision makers di aziende del Veneto che mi hanno chiesto informazioni su Storytelling Festival.
A proposito, codice sconto lhofattoaposta per te, ultimi posti (ne mancano 35…)
Quando parliamo di lead qualificati, parliamo di questo. Proviamo a tirarne fuori una ricetta, per quanto io creda che poi le ricette ripetute e portate all’estremo non funziono:
Autorevolezza + competenza + passione + case study inedita ( non scopiazzata da altre fonti) di un brand + PR + community management
Non è banale, ma è una ricetta che, se applicata correttamente una volta ogni due settimane, può portare molti più risultati dei classici tre post a settimana creati ad hoc per un piano editoriale che nessuno leggerà. Ultimo consiglio: più casi virtuosi, meno critiche, ma questa per me è una regola di vita generale. Pensaci.
Sto leggendo da più parti che lo storytelling è morto.
Eppure, lo storytelling sta benissimo. Non è la pratica di comunicare attraverso delle storie ad essere in crisi, ma il nostro narcisismo narrativo. È l'aneddotica esasperata, ad essere in crisi. L'iperbole forzata, il viaggio dell'eroe fine a se stesso: quello sempre uguale, quello di cui conosciamo ormai i segreti, i trucchi, gli inganni persino. Prima di diventare abili storyteller dovremmo chiederci che lettori siamo. Che ascoltatori di storie ambiamo a diventare. Cosa ci piace, cosa ci attira, cosa non funziona più.
Siamo davanti ad un cambiamento importante, ad una stagione nuova. Si sente la stanchezza del già visto, del già detto, delle ricette preconfezionate.
Lo storytelling è vivo, ma è cambiato. Abbiamo confuso l'abilità narrativa con la retorica del parlare continuamente (e spesso parlarci sopra), dell'essere costantemente presenti, dell'avere ogni giorno qualcosa da dire. Le persone si sono concentrate sul proprio racconto, ma hanno smesso di formarsi sulla skill più importante: farsi raccontare da altri. Diventare narrabili, memorabili.
Non ego-storytelling, ma universi narrativi che raccontino storie giuste, storie necessarie. È una stagione nuova, non vince più chi scrive il post più lungo, chi usa più parole chiave o posta tutti i giorni, ma chi organizza meglio i touchpoint delle proprie storie.
Il 2024/2025 ci vedrà impegnati con un calendario di corsi incentrati su questo macro obiettivo: liberare lo storytelling dai trucchi e dagli inganni, emanciparsi dalla narratologia e renderlo un mindset in grado di farci raggiungere i nostri obiettivi a lungo termine.
Ci sarà La Classe di digital marketing, content e storytelling, per accrescere il valore del proprio brand sul mercato. Ci sarà Imprendautrici con Leandra Borsci e Federica Trezza, con un focus sulla scrittura per il business. Ci sarà il nostro Storytelling Festiva, l'evento di ispirazione per eccellenza, quello dove le storie accadono, sul palco. E ancora i corsi di scrittura creativa e letteraria con Lucy - Sulla Cultura, per ampliare i propri orizzonti narrativi e ritrovare due cose perdute: il gusto e il piacere di comunicare. E più in là, il corso di podcast "Off the record" che ha permesso, la scorsa stagione, a quattro corsiste di presentare un pitch al POD Festival.
Io sono pronto, noi siamo pronti. E se hai domande per me, se ti interessa approfondire uno di questi temi, dallo storytelling per il tuo business a come funziona La Classe, scrivimi pure o fissiamo un appuntamento. Il mio numero è 338 6287834, la mia mail cristiano@lacontent.it
Io sono Cristiano Carriero e questa è L’ho fatto a Posta, la mia nicchia di lentezza di un mondo che va veloce. Siamo alla terza stagione e siamo più di 3000. Se in qualche modo questa newsletter ti ha aiutato nel tuo lavoro o nella tua vita, condividila e aiutami a farla conoscere ad un numero maggiore di persone.
Prima di andare, una lettura interessante sull’argomento dell’estate: l’overtourism. Si chiama “Il buon turista non esiste” ed è un articolo pubblicato da Lucia Tozzi su Lucy Sulla Cultura.
Esiste il turismo sostenibile? A quanto pare no. Chi viaggia animato da buone intenzioni dovrebbe rassegnarsi, perché soddisfare i propri desideri ha un prezzo.
Anche io ho fatto una riflessione in merito, con un focus sulla turistificazione della mia terra, la Puglia. Uscirà su Amazing Puglia, ti anticipo un estratto:
“Sono lontani, e per fortuna, anche i tempi di Professione Vacanze, il telefilm – all’epoca le serie TV si chiamavano così – in cui il protagonista, Jerry Calà, viene mandato per punizione a gestire un villaggio a Monopoli. Per la cronaca quel villaggio era, ed è tutt’ora, Cala Corvino. Non ho mai capito se quella coincidenza del nome dell’attore e del villaggio fosse causale o voluta, ma era evidente che la scelta di ambientarlo in Puglia si basava su uno stereotipo che abbiamo abbattuto solo un paio di decenni dopo: se Rimini era la meta degli abbronzatissimi, Forte dei Marmi la location degli yuppie di Sapore di Mare e Cesenatico una delle mete privilegiate dei calciatori, la Puglia era una scommessa, il luogo dove mandare un giovane e intraprendente animatore con la testa calda che avrebbe dovuto convincere le persone a scambiare la mancanza di servizi adeguati (per turisti, appunto) con un po’ di sana improvvisazione e tanto spirito di adattamento. Lo stesso che adesso bramiamo di trovare in certi posti. A patto di non uscire mai da quel villaggio, perché fuori non c’era nulla da fare, nulla da vedere, nessuno di interessante da incontrare. We are the world, we are the village”
Prima di andare, qualche news interessante:
A settembre uscirà su Audible l’audiolibro di Domani No, è un esclusiva e verrà accompagnata da una riedizione del romanzo
Ho firmato un nuovo contratto per un libro che farà parte della collana “Le voci del lavoro” di Franco Angeli. La parola che ho scelto è “Presenza”.
Sarò autore di un podcast sulle partite di calcio “mai giocate”, tra leggenda e storia. Il podcast sarà propedeutico al lancio di un film.
Tra un paio di settimane lanceremo il nuovo city brand di Jesi, una città che amo e di cui sono felicissimo di raccontare le virtù e le evoluzioni
Prosegue il progetto Mare a sinistra, con la valorizzazione e l’attrazione di talenti nella mia Puglia. Ci vediamo alla Fiera del Levante!
Forse dimentico qualcosa, anzi no. Bari ha un assessore alla Blue Economy, dovrei averne parlato qualche mese fa in una puntata di L’ho fatto a Posta, quando era ancora un desiderio, un’utopia, e adesso è diventata una realtà anche per merito di chi sa che le belle storie sono ancora più belle se diventano azione.
Il mare non solo come elemento, turistico, poetico, letterale, ma opportunità di sviluppo, sostenibilità economica, impresa duratura destinata ad evolvere nel tempo. La Bari del futuro deve investire nella Blue economy e in tutta l’economia che ruota intorno al mare che non è solo turismo, cultura e sport, ma anche alimentazione, benessere, cantieristica e infrastrutture. Perché il mare è un alleato, ma anche una risorsa per Bari e per i suoi cittadini, secondo il modello della Blue Economy, definita dalla Banca Mondiale come “l'uso sostenibile delle risorse oceaniche e marine per la crescita economica, il miglioramento delle condizioni di vita e la creazione di posti di lavoro, preservando al contempo la salute dell'ecosistema”.
Non fare buoni propositi, impegnati a far accadere le cose.
Buon fine settimana.