Realizzarsi senza smarrirsi
Dove si parla di emozioni, di carisma, opinioni e virtù. Dell'ansia da Personal branding e di quella per le telefonate out of the blue.
L’obiettivo dei grandi marketer non è vendere qualcosa, ma creare un significato attorno al prodotto. Anche se sembriamo esseri razionali, guidati dal prezzo, dalle caratteristiche o da freddi dati, finiamo per acquistare da chi ci ha fatto sentire bene, da chi ci ha trasportato in un mondo diverso, da chi ci stimola o da chi sentiamo essere simile a noi.
Le persone acquistano e si fidano dei modelli a cui sentono di “appartenere".
Tu sei il promemoria di chi sono o di chi vorrebbero essere. (Skande)
È successa una cosa molto bella, e non è la prima volta.
Il viaggio in Sardegna è servito a ritrovare il tempo per conoscere meglio persone che frequento tantissimo online, ma poco dal vivo. Skande è uno di questi. Lo stimo da tempo, sono iscritto alla sua newsletter, leggo il suo blog regolarmente, ci siamo incrociati ad alcuni eventi. Ma una cosa è incrociarsi, un’altra incontrarsi.
Io voglio andare ad eventi in cui le persone si incontrano, e continuare a creare eventi in cui avviene qualcosa di tangibile: è una questione di clima. Mai prima d’ora avevamo avuto il tempo di parlare per più di un’ora di persona. Né ero riuscito a spiegargli perché lo Storytelling Festival è un evento nel quale uno come lui - in mezzo a noi - ci sta benissimo. Questa volta sono riuscito a farlo: Riccardo Scandellari parlerà delle narrazioni che creano significato il 25 e 26 ottobre a Bari.
È stata una settimana particolare.
Qualche giorno fa mi ha scritto Federica.
“Posso emozionarmi? La lacrimuccia è lecita? Sono felicissima per te, Cristiano!”
Parlava dell’annuncio dell’uscita di Professione Content Marketer. Non ho potuto fare a meno di pensare che il tempo dell’emozione è sempre meno, sostituito da quello del Personal branding e della promozione, e questo è un peccato. Io, lo ammetto, non ho proprio avuto tanto tempo di emozionarmi, e questo non posso permettermelo. Lo ha fatto Federica per me, e mi ha fatto riflettere tantissimo. Ci sbattiamo per creare qualcosa, passiamo giorni e notti a lavorarci e poi dobbiamo iniziare a promuoverlo. Stavolta, voglio godermelo un po’ di più. Non so a che numero di libro sono arrivato, certamente non sono pochi. Ho scritto Facebook Marketing, tre libri sul Content, un paio di For Dummies, il titolo su LinkedIn, Post social media era, Smart Working, a maggio uscirà questo che parla della professione del Content Marketer, sulla scia di quello - fortunatissimo - scritto da Veronica Gentili: Professione Social Media Manager. È stata una mia idea, ero sicuro che Veronica potesse vendere ancora di più di quanto avesse fatto con i libri precedenti. È successo.
E se ti stai chiedendo come sono andati gli altri miei libri, la risposta è abbastanza semplice: o l’editore è pazzo che continua a farmene fare, oppure sta cosa mi riesce discretamente. Avevo bisogno di dirlo, magari al decimo libro ci si emoziona un po’ meno, ma un paio di somme si possono tirare. Ho deciso, ad esempio, che questo sarà l’ultimo libro tecnico che scrivo. È una questione di stimoli e di ispirazione. Ho voluto fortemente fare Professione CM perché sono sicuro di avere ancora tanti buoni consigli da dare per chi vuole fare questo mestiere. Consigli che vengono da 15 anni di lavoro, da esperienze felici e da errori.
“Che consigli daresti a Cristiano di 15 anni fa?”
“Di godersi tutti gli errori “
(Debrief - podcast in uscita)
Ho una proposta in ballo per il 2025, un libro molto diverso e che mi stimola moltissimo. Spero di potertene parlare già nelle prossime puntate.
A proposito di Personal branding
Artisti, scrittori e musicisti sono costretti a promuovere il proprio lavoro online.
Jonathan Bazzi (che amo) ha pubblicato, su Instagram e per Domani Editoriale, un post molto interessante:
Il sistema in cui siamo incita al Personal branding, ognuno è una piccola ditta di carisma, opinioni o virtù. I social funzionano così: un unico, grande discorso che si spalma ovunque e sfrutta le questioni politiche per il profitto e l’auto-sponsorizzazione. Nessuno vuole più rischiare, tutti sono terrorizzati dal dire o fare qualcosa di disturbante, dal perdere il sostegno della “community”. Ma senza rischio l’arte muore.
“YOU’RE GETTING WORSE AT [YOUR ART], BUT YOU’RE BECOMING A GREAT MARKETER FOR A PRODUCT WHICH IS LESS AND LESS GOOD”
“Penso di essere una scrittrice, un'attrice e un'artista", ha scritto Tavi Gevinson del suo rapporto con Instagram. "Ma non credo alla purezza delle mie intenzioni da quando sono diventata anche io una venditrice di me stessa".
Questa bellissima riflessione la trovi in un articolo di Vox chiamato Everyone’s a sellout now.
Internet ha fatto sì che, a prescindere da chi si è o da cosa si fa - dai middle manager agli astronauti, fino agli addetti alle pulizie - non si possa sfuggire alla tirannia del Personal branding. Per alcuni, si tratta di aggiornare i propri contatti su LinkedIn ogni volta che si ottiene una promozione; per altri, di chiedere ai clienti di assegnare cinque stelle su Google Reviews; per altri ancora, di creare un personaggio coinvolgente ma autentico su Instagram.
E per chi spera di pubblicare un bestseller o un disco di successo, è "costruire una piattaforma" in modo che i dirigenti possano usare il vostro pubblico esistente per giustificare i costi di ingaggio di un nuovo artista.
Credo che i prossimi anni ci porranno davanti a importantissime riflessioni sulle nostre narrazioni. Quanto valgono, quanto ci costano - non solo in termini economici - e dove ci stanno portando.
Soprattutto, a scapito di cosa.
Abbiamo voluto lo storytelling?
Queste sono le storie che siamo riusciti a meritarci. Da un bellissimo pezzo di Paolo Iabichino: La caduta degli eroi.
“Gli eroi devono battersi per riprendersi il favore degli dei, per questo arrivano le sirene degli uffici stampa, scatenati dentro le redazioni ossequianti, anche loro perfettamente in sync con il design emotivo programmato dagli algoritmi. Ma questa è un’altra storia.
Paginate in cui la bellissima eroina insegna che la bellezza non è tutto. Video, radio, podcast e nuove paginate, in cui il ricchissimo eroe ci dice che i soldi non fanno la felicità. Nessuno dentro le pagine di Omero s’interroga sul suo giaciglio, ma chiunque sa che la sua casa è Itaca ed è a Itaca che tornare si deve, a qualsiasi costo”.
Di questi tempi basta l’incarto di un pandoro a scrivere la caduta degli eroi.
Hashtag #Telephobia
Lo ammetto, da piccolo avevo la fobia del telefono. Quando squillava, a casa, andavo a nascondermi o mi fingevo in altre faccende affaccendato. Nessuno ha mai pensato di dedicarmi un trattato, e io ho mi sono dato da fare per superare questa fobia. Per l’Irish Time la chiamata out of the blue merita un articolo.
It’s ironic: we’re spending more and more time on our phones, but we’re using them less and less for calls.
Avete presente quel senso di disagio, fino ad assumere i contorni di una vera e propria forma di ansia sociale, che sale quando sentiamo squillare il telefono all’improvviso? Se a questo domanda avete risposto di sì, probabilmente siete dei Millennial o fate parte della Gen Z. Con l’avvento dello smartphone, la cornetta (o quel che ne resta) è sempre meno all’orecchio e sempre più in mano: in parallelo, è cresciuta la paura di dover effettuare o ricevere una telefonata all’improvviso, o anche solo di sentire lo squillo. Oggi ci sono molti modi per evitare le telefonate, sia che si tratti di inviare un'e-mail, un testo o un messaggio diretto sui social media. Forse di conseguenza, non solo la fobia del telefono è diventata più comune, ma è anche diventata culturalmente più visibile. Esiste un subreddit "Telephobia". Su TikTok ci sono migliaia di video sull'argomento, con hashtag come #phoneanxiety, #howphoneanxietyfeels e #phoneanxietyismybitch.
Ansia da prestazione e da risposte
In Giappone, ad esempio, una ricerca ha misurato la portata del fenomeno, concludendo che quasi tre ventenni su quattro hanno sviluppato un qualche mix di disagio, insofferenza se non proprio terrore di fronte alle chiamate o all’impiego del telefono fisso sul posto di lavoro (Japan Times, Cosmopolitan). Ciò è dovuto, ad esempio, al timore di essere colti alla sprovvista dalle domande di chi si trova dall’altro capo, oppure alla difficoltà di dialogare senza vedere in faccia l’interlocutore. Secondo gli studi si tratta in fondo di manifestazioni della paura di essere giudicati, tanto da chi parla con noi, quanto da chi ascolta per caso.
Le chiamate “vecchia scuola”, se proprio indispensabili, tendono, quindi, a essere programmate e concordate in anticipo. All’effetto sorpresa e alla viva voce - pratiche che rimangono appannaggio delle generazioni meno giovani - si preferiscono, semmai, email e messaggi di testo via chat, poiché ci danno la possibilità di raccogliere e organizzare le idee e, in alcuni casi, anche di modificare dopo aver premuto invio.
Tu cosa ne pensi?
A me piace molto alternare le call con le telefonate. Credo che a volte “non vedere” l’interlocutore sia estremamente utile per allenarsi a raccontare meglio.
Oltre al fatto che mentre telefono mi muovo e “camminando i pensieri si levigano, è una regola fisica”. Mi sento abbastanza contemporaneo nel dire che anche io, in linea di massima, preferisco essere avvisato preventivamente, sia per una questione di organizzazione dell’agenda, che di focus sui progetti.
Resta l’enorme tema della confidenza (chi chiama out of the blue ne ha o pensa di averne?), della leadership (sei il mio capo e quindi ti devo rispondere, sono il tuo capo e quindi mi aspetto tu risponda), della bellezza - a volte - di non avvisare. Tipo per darmi una bella notizia o per condividermi un’idea. Questa è una specialità di Nicolò, ad esempio.
Dal diario della gratitudine di questa settimana:
Far colare pian piano il miele sul pancake caldo.
Mantenere la promessa di consegnare un capitolo di prova del libro all’editore.
Uscire alle 16.30 nel mezzo del lavoro, prendere un caffè al bar, e andare a comprare la verdura.
La fotografia di Martina, la figlia del mio miglior amico, che sorride vicino al pullman del Bari, a Catanzaro.
Il maritozzo con la panna di Cascia prima di andare ad arbitrare una partita di Allievi la domenica mattina.
Scrivere ad un coworking di Marsiglia per chiedergli se hanno posto per me a giugno, dopo aver comprato il volo.
Aggiungere le acciughe nelle cime di rapa.
Le mail di acquisto dello Storytelling Festival (e scoprire che verranno persone da tutta Italia).
I feedback di Lorenza che mi lasciano sempre qualcosa.
L’idea (folle) de La Content di partecipare al Salone del Libro
Se vuoi approfondire il tema, ti consiglio di seguire Gratitude Polaroid di Federico Favot.
Ho respirato aria di YouTube vera, originale, di pura passione.
Grazie per la segnalazione, Fabrizio D’Elia!
Rileggevo la tua newsletter "New influencers and old format" e mi hai fatto venire in mente questa ragazza che secondo me è bravissima e inizia a fare numeri interessanti su youtube... ripara vecchie console o dispositivi, ma è davvero ipnotica e la sua genuinità ti da voglia di sostenerla!
A proposito: New Martina balla con Angelina Mango, ma io non vi ho detto nulla.
Io sono Cristiano Carriero, autore, speaker e imprenditore e questa è L’ho fatto a Posta. Se hai voglia di commentare, fallo qui sotto, se vuoi mandarmi una riflessione vocale o scritta puoi farlo al 338 6287834. Se mi vuoi chiamare, avvisa:)
La settimana prossima sarà a Bari (fino a giovedì) e da venerdì a Bologna. Accade una cosa bellissima che si chiama Il giro del mondo in 12 libri, insieme a Lucy Sulla Cultura. Ci sono ancora 5 posti, è un corso di lettura più che di scrittura e se hai bisogno di un codice sconto del 30% chiedi pure. Anzi te lo scrivo qui: lucy30.
Sono usciti i nomi dei primi speaker del WMF! (E ci sono anche io!)
Realizziamoci senza smarrirci. Fa buon fine settimana.
Ah, un regalo. Perché ci tengo sempre a farti un regalo. Se leggi questa newsletter sabato mattina, sappi che sarò impegnato con La Classe di Digital Storytelling, con una lezione di Influencer Marketing dalle 10 alle 13. Se vuoi entrare a vedere che aria tira, manda una mail e tommaso@lacontent.it con oggetto “mi manda L’ho fatto a Posta” e chiedi il link.
Mi devi una birra ghiacciata. Ciao!
Buongiorno Cristiano. Ho letto la tua mail oggi e non sabato. Mi aiuta ad iniziare meglio la settimana.
Mi ha colpito molto il titolo. "Realizzarsi senza smarrirsi" suona come un monito o più semplicemente una frase da scrivere sul post-it da attaccare al frigorifero. Un monito positivo intendo, un qualcosa che mi risuona a proposito dello smarrimento. E' come tenere addosso il giubbino salvagente mentre ti tuffi nel mare alla ricerca della tua realizzazione. E' come tenersi stretti senza smettere di guardare la bussola per non perdere la direzione.
Grazie mille. Ti leggo sempre molto volentieri.
L'ansia da telefono la vivo ogni volta che sono a casa coi miei e squilla il cicalino del cordless. Io non lo sopporto, mio padre lo ignora tanto le chiamate sono tutte per mia madre. Lei è contenta di rispondere anche se sta mangiando (io non tollero che qualcuno ti disturbi a pranzo o a cena). Il mio smartphone è costantemente in silenzioso, se ho bisogno di chiamare qualcuno gli scrivo prima per chiedergli se è disponibile e se non lo è in quel momento a che ora posso chiamarlo. Eppure, nonostante abbia maturato queste abitudini, da millennial non dimentico l'epoca dei telefoni a disco e delle infinite chiacchierate notturne con gli amici più stretti. Che forse oggi tra gli adolescenti sono solo state sostituite dalle call. Ho nostalgia di quell'epoca, ma non la rimpiango perché credo sia solo frutto della crescita. Credo che, da adulti, abbiamo solo più bisogno del controllo del nostro tempo, una chiamata inaspettata ci può rovinare i piani. Però, quando sono al telefono con le persone giuste, ci sto davvero con piacere a chiacchierare e il mondo esterno sparisce. 🙂 PS: se passi a Napoli non ti offro una birra, ma sempre una pizza. 🍕